Cass. civ., sez. V trib., sentenza 19/01/2021, n. 733
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Testo completo
FATTI DI CAUSA
1. A seguito di processi verbali della Guardia di finanza, l'Agenzia delle entrate notificò a S. s.p.a. (hinc anche: «S.» o «S. s.p.a.») un avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 2005 con il quale: a) recuperò a tassazione l'IVA (pari a euro 9.014,64) relativa ad acquisti intracomunitari (dall'Ungheria) sul rilievo che le 6 fatture concernenti tali acquisti non erano state integrate con l'indicazione dell'ammontare dell'imposta, come previsto dall'art. 46, comma 1, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e non erano state annotate (previa detta integrazione) nel registro delle fatture emesse di cui all'art. 23 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, come stabilito dall'art. 47 del suddetto d.l. n. 331 del 1993, ma solo nel registro degli acquisti di cui all'art. 25 del d.p.r. n. 633 del 1972;b) rilevato, tra l'altro, che dall'attività investigativa svolta nei confronti dei fornitori I. A. s.r.l. e M. s.r.l. era emersa la fittizietà di essi: b.1) negò la detraibilità dell'IVA risultante dalla fatture (passive) relative ai beni acquistati dalle dette società, in quanto ritenute relative a operazioni soggettivamente inesistenti;b.2) considerò inattendibili le scritture contabili e, di conseguenza, accertò induttivamente, ai sensi dell'art. 39, secondo comma, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, un reddito d'impresa di euro 160.000,00.
2. L'avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Bari (hinc anche: «CTP»), che rigettò il ricorso della contribuente.
3. Avverso tale pronuncia, S. s.p.a. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Puglia, che lo accolse con la motivazione che «[d]alla documentazione versata in atti, con particolare riferimento al p.v.c. della G.d.F. di Barletta, contrariamente a quanto determinato e deciso dai Giudici di Prime Cure, si osserva che»: a) «la omessa annotazione sul registro-IVA vendite delle fatture relative alla merce acquistata da un operatore ungherese intracomunitario, per un imponibile di Euro 90.146,00, ha determianto soltanto un errore formale senza evasione alcuna, giacché, da un lato, le fatture d'acquisto erano stare registrate come importazione senza alcuna detrazione dell'IVA e dall'altro, al momento della vendita, la società aveva applicato l'IVA al 10%, versandola puntualmente»;b) «così come accertato dagli stessi verificatori, tutta l'attività svolta dalla S. era riconducibile ad operazioni economiche effettive e reali, per cui vi era coincidenza tra la realtà commerciale e la loro espressione documentale, così come regolari dovevano essere considerate le operazioni di acquisto carni con le società I. A. s.r.l. ed M. s.r.I., presuntivamente coinvolte nella c.d. frode carosello con altre società cartiere, di cui però la S.I.C.E. era assolutamente ignara;conseguentemente la natura fittizia di alcuni degli operatori economici con cui la società appellante aveva intrattenuto rapporti commerciali, nessuna responsabilità diretta faceva ricadere in capo alla stessa che non aveva intrattenuto alcun accordo criminoso comune ai soggetti partecipanti, giacché mai dimostrato a suo carico, risultando incontestato il difetto dell'elemento psicologico dell'illecito. D'altronde non solo non risulta provato il coinvolgimento di S. in eventuali violazioni fiscali commesse dai fornitori, ma neppure una sostanziale differenza dai prezzi di mercato rispetto a quelli praticati dalla società appellante;peraltro tutte le forniture contestate risultano effettivamente pagate, per cui l'ipotesi di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti risulta priva di effettivi riscontri, con la conseguenza che il contribuente, così come statuito dalla Cassazione, Sez. V, con sentenza n. 1364/2011 e n. 8131/2011, ha diritto di detrarre l'imposta se non sapeva o non poteva saper di partecipare a un'operazione iscritta a frode. Tale orientamento, condiviso e statuito dalla Corte di Giustizia Europea, ha trovato ulteriore conferma in una recente sentenza della Cassazione, la n. 23560 del 20.12.2012, con cui la stessa ha precisato che "spetta all'Amministrazione Finanziaria, .... (omissis) provare che il contribuente, al momento in cui acquista il bene o il servizio, sapesse o potesse sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente abbia, con l'emissione della relativa fattura, evaso l'imposta o compiuto una frode". Le suddette conclusioni vengono fatte proprie e condivise anche da questo Collegio».
4. Avverso tale sentenza della CTR depositata in segreteria il 10 maggio 2013 e non notificata - ricorre per cassazione l'Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 27 dicembre 2013, a tre motivi.
5. S. s.p.a. resiste con controricorso, notificato 1'11 febbraio 2014.
6. In prossimità dell'udienza, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte in forma di memoria.
7. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 3 novembre 2020, nella quale il Procuratore generale, rinviando anche alla suddetta memoria, ha concluso come indicato in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo (riguardante la prima ripresa a tassazione), la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione dell'art. 47 del d.l. n. 331 del 1993 e dell'art. 1 del d.p.r. n. 633 del 1972, per avere la CTR affermato che l'inosservanza dell'obbligo di annotare, previa integrazione a norma dell'art. 46, comma 1, del d.l. n. 331 del 1993, le fatture relative agli acquisti intracomunitari nel registro delle fatture emesse di cui all'art. 23 del d.p.r. n. 633 del 1972 «ha determinato soltanto un errore formale senza evasione alcuna», atteso che, premesso che «l'imposta a debito resta comunque dovuta, anche se il diritto a detrazione non sia stato esercitato», la contribuente «riconosce di non aver applicato non solo la "detrazione", ma neppure l'IVA all'importazione [..], che le incombeva ex art. 1 D.P.R. n. 633/72 tilt. p., bensì solo quella alla rivendita, cioè al cliente finale: pertanto essa resta debitrice dell'imposta all'importazione, indipentemente dal fatto che non abbia poi detratto quanto versato in quella sede».
1.1. Il motivo non è fondato.
1.2. In base alla disciplina dell'applicazione dell'IVA alle operazioni intracomunitarie dettata dal Capo II del Titolo II (articoli da 37 a 56) del d.l. n. 331 del 1993 - emanato in attuazione della direttiva del Consiglio 16 dicembre 1991, n. 91/680/CEE - costituisce operazione imponibile, da tassare in Italia, l'acquisto intracomunitario di beni, a seguito del quale gli stessi sono introdotti nel territorio nazionale, effettuato da soggetti IVA italiani in altri Paesi dell'Unione europea (art. 38) Tali operazioni comportano che l'acquirente dei beni - sul quale incombono gli obblighi fiscali derivanti dall'operazione intracomunitaria (art. 44 del d.l. n. 331 del 1993) - debba: a) anzitutto, numerare la fattura ricevuta e integrarla con l'indicazione del controvalore in euro del corrispettivo e degli altri elementi che concorrono a formare la base imponibile, espressi in valuta estera, nonché dell'ammontare dell'imposta (art. 46, comma 1, del d.l. n. 331 del 1993);b) in secondo luogo, annotare la fattura, così integrata, sia (entro il giorno 15 del mese successivo a quello di ricezione) nel registro delle fatture emesse (o delle vendite) di cui all'art. 23 del d.p.r. n. 633 del 1972, sia - ai fini dell'esercizio del diritto alla detrazione - nel registro degli acquisti di cui all'art. 25 dello stesso decreto (art. 47, comma 1, del d.l. n. 331 del 1993).
In base a tale regime, cosiddetto dell'inversione contabile o reverse charge, il debito d'imposta che scaturisce dall'annotazione nel registro delle vendite risulta "compensato" dal credito che scaturisce dall'annotazione nel registro degli acquisti, di modo che, non permanendo alcun debito nei confronti dell'amministrazione finanziaria, l'operazione risulta fiscalmente neutrale (ovviamente, in assenza di cause di indetraibilità).
In altre parole, nell'ambito degli acquisti intracomunitari non si verifica alcun versamento dell'IVA tra l'acquirente del bene e il venditore e, poiché l'acquirente del bene è sì debitore, per l'acquisto effettuato, dell'IVA, ma può, al medesimo tempo, in linea di principio, detrarre la stessa imposta, nulla è dovuto - sempre in linea di principio - all'amministrazione finanziaria.
Ciò rammentato, a proposito dell'inversione contabile, la Corte di giustizia ha affermato che «il principio fondamentale di neutralità dell'IVA esige che la detrazione dell'imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi» (Corte di giustizia, 08/05/2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade s.p.a., punto 63).
Richiesta da questa Corte di chiarire la portata della locuzione «obblighi sostanziali», la stessa Corte di giustizia ha precisato che, «[p]er quanto riguarda gli acquisti intracomunitari di beni imponibili, i requisiti sostanziali esigono, come emerge dall'articolo 17, paragrafo 2, lettera d), della sesta direttiva, che tali acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest'ultimo sia parimenti debitore dell'IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili» (Corte di giustizia, 11/12/2014, causa C-590/13, Il. s.r.I., punto 43).
Alla luce di tale giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, questa Corte ha affermato il principio che, «[i] n tema d'IVA, con riferimento agli acquisti intracomunitari, il principio fondamentale di neutralità dell'IVA esige che la detrazione dell'imposta a monte sia accordata, nonostante l'inadempimento di taluni obblighi formali, se sono soddisfatti tutti gli obblighi sostanziali, di cui le violazioni formali non impediscano la prova certa, sicché il diritto alla detrazione non può essere negato nei casi in cui, pur non avendo l'operatore nazionale applicato la procedura d'inversione contabile ("reverse charge") ed in particolare avendo omesso la doppia registrazione delle fatture integrate o autofatture nei registri di cui agli artt. 23 e 25 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, è, comunque, dimostrato, o non controverso, che gli acquisti siano fatti da un soggetto passivo IVA e che le merci siano finalizzate a proprie operazioni imponibili» (Cass., 15/04/2015, n. 7576, 30/07/2020, n. 16367;in senso analogo, Cass., 17/04/2015, n. 7871 e n. 7872).
La giurisprudenza di questa Corte si è pertanto consolidata nel senso che «la violazione degli adempimenti previsti dagli artt. 46 e 47, d.l. n. 331/1993 non preclude il diritto alla detrazione, sempre che sia dimostrata, o incontroversa, la sussistenza dei requisiti sostanziali di tale diritto» (Cass. n. 16367 del 2020), cioè che «gli acquisti siano stati fatti da un soggetto passivo IVA e che le merci siano finalizzate a proprie operazioni imponibili» (Cass., n. 7576 del 2015 e n. 16367 del 2020).