Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 11/10/2018, n. 25300
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso 20356-2016 proposto da: (2L S R S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SANT'
ELENA
29, presso lo studio degli avvocati D G e E C, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
2018
- ricorrente -
1845
contro
B L, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO, 38, presso lo studio dell'avvocato C D M, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 3998/2016 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 11/07/2016 r.g.n. 639/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/04/2018 dal Consigliere Dott. A P;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STEFANO VISONA', che ha concluso pe l'inammissibilità o in subordine rigetto;
udito l'Avvocato E C;
udito l'Avvocato C D M.
Fatti di causa
1. Con ricorso ai sensi dell'art. 1, comma 48, Legge 28/06/2012 n. 92 L B adiva il giudice del lavoro del Tribunale di Roma per sentire accertare l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole in data 23.10.2013 e condannarsi la datrice di lavoro S R s.p.a. alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento.
2. Il ricorso, respinto nella fase sommaria, era parzialmente accolto dal giudice dell'opposizione il quale, accertata la illegittimità del recesso datoriale per difetto di proporzionalità ai fatti addebitati della sanzione espulsiva, dichiarava risolto il rapporto di lavoro condannando la società al pagamento di una indennità risarcitoria pari a sedici mensilità della retribuzione globale di fatto.
3. La Corte di appello di Roma, pronunziando sui reclami proposti da entrambe le parti avverso la sentenza di primo grado, respinto il reclamo della società, ha annullato il licenziamento e condannato la società datrice di lavoro alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro, al risarcimento del danno commisurato a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal giorno del licenziamento fino alla reintegra.
3.1. Il giudice di appello, all'esito dell'esame delle emergenze di causa, ha ritenuto l'insussistenza dei fatti contestati, osservando che la società era incorsa in importanti omissioni nella formulazione degli addebiti relativi alle condotte ascritte;
l'istruttoria espletata aveva colmato tali lacune ed evidenziato che alcuni dei fatti oggetto di addebito non erano stati provati nella loro materialità mentre gli altri erano risultati del tutto legittimi non violando alcuna disposizione normativa, né pattizia né legislativa .
3.2. Ha premesso che le condotte oggetto di addebito imputavano alla B: a) di avere interrotto l'attività lavorativa dando luogo ad una chiassosa forma di protesta nei confronti dell'azienda;
b) di avere, nella medesima occasione, inveito contro la collega S;
c) di avere apostrofato il Direttore della struttura, C, con le seguenti parole: "tu parli bene che hai tua moglie che lavora all'Università telematica e prende lo stipendio tutti i mesi! Anzi spiegaci bene perché viene pagata Via Marche! ";
d) di essersi, nonostante la disposizione di servizio che le assegnava un periodo di fruizione delle ferie, senza alcuna autorizzazione della Direzione operativa o della Direzione del personale, presentata ugualmente al lavoro timbrando l'ingresso e, invitata a dare seguito all'ordine di servizio, essersi aggirata per i reparti recando disturbo ai colleghi ed impedendo il regolare svolgimento delle attività sanitarie svolte dalla struttura. Nella lettera di contestazione si precisava, inoltre, che i comportamenti contestati assumevano rilievo in via autonoma, in quanto recidivi, attesa la precedente contestazione disciplinare di tre giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.
3.3. La sentenza impugnata ha, quindi, ritenuto, in relazione alle singole condotte, quanto all'addebito sub a), che l'interruzione dell'attività non era ascrivibile alla B ma si era realizzata, per quest'ultima come per gli altri operatori, in conseguenza della forma di protesta posta in essere dal collega Sergio Dell'Onda il quale, esausto per il mancato pagamento delle retribuzioni, si era sdraiato per terra con un cartello al collo;
quanto all'addebito sub b), che la B non aveva inveito inspiegabilmente contro la collega S cercando di attirare l'attenzione dei presenti in quanto tra le due era sorta discussione in merito ad un fatto ben determinato ( e cioè su chi avesse richiesto l'intervento delle forze dell'ordine);
tale discussione era stata connotata da reciproche battute di domanda e risposta in un contesto di per sé assai concitato e ulteriormente caratterizzato dalla risposta, se non altro oggettivamente provocatoria, rivolta dalla S alla B;
la situazione di caos, determinata dalla protesta del Dell'Onda, escludeva la necessità di attirare l' attenzione dei presenti, come, invece, contestato;
quanto all'addebito sub c), la società aveva omesso di precisare che ciò era avvenuto nel corso dell'assemblea indetta dopo la protesta del lavoratore Dell'Onda per discutere sulle ragioni del mancato pagamento delle retribuzioni;
in tale contesto conflittuale tra la società ed i dipendenti, determinato dal perdurare del mancato pagamento degli stipendi, la richiesta rivolta al C, in quanto proveniente dalla B in veste di sindacalista RSA, era del tutto legittima e non configurava, come contestato, un gesto di irrefrenabile insubordinazione;
quanto all'addebito sub d), la condotta ascritta, lungi dal rappresentare un'insubordinazione rispetto a un ordine di servizio, esprimeva una legittima forma di autotutela delle prerogative sindacali rispetto ad un atto datoriale che aveva chiaramente lo scopo ed il significato di allontanare dai luoghi di lavoro una "scomoda" sindacalista, dimostrare alla generalità dei dipendenti in tal modo chi comandava e dissuadere da ulteriori forme di protesta, essendo, peraltro, rimasto indimostrato che proprio il 7.10.2013 fosse il turno della B nella rotazione del forzoso godimento delle ferie;
l'ulteriore addebito che imputava alla B di essersi trattenuta nei luoghi di lavoro disturbando l'attività dei colleghi ed impedendo il regolare svolgimento delle attività sanitaria non aveva, invece, trovato riscontro fattuale.
3.4. La sentenza impugnata ha, inoltre, escluso la configurabilità della recidiva argomentando dalla insussistenza dei fatti contestati, dal fatto che il c.c.n.l. prevedeva come rilevante la formazione di tre recidive e non di due, dalla intervenuta transazione ex art. 1965 cod.
ELENA
29, presso lo studio degli avvocati D G e E C, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
2018
- ricorrente -
1845
contro
B L, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO, 38, presso lo studio dell'avvocato C D M, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 3998/2016 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 11/07/2016 r.g.n. 639/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/04/2018 dal Consigliere Dott. A P;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STEFANO VISONA', che ha concluso pe l'inammissibilità o in subordine rigetto;
udito l'Avvocato E C;
udito l'Avvocato C D M.
Fatti di causa
1. Con ricorso ai sensi dell'art. 1, comma 48, Legge 28/06/2012 n. 92 L B adiva il giudice del lavoro del Tribunale di Roma per sentire accertare l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole in data 23.10.2013 e condannarsi la datrice di lavoro S R s.p.a. alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento.
2. Il ricorso, respinto nella fase sommaria, era parzialmente accolto dal giudice dell'opposizione il quale, accertata la illegittimità del recesso datoriale per difetto di proporzionalità ai fatti addebitati della sanzione espulsiva, dichiarava risolto il rapporto di lavoro condannando la società al pagamento di una indennità risarcitoria pari a sedici mensilità della retribuzione globale di fatto.
3. La Corte di appello di Roma, pronunziando sui reclami proposti da entrambe le parti avverso la sentenza di primo grado, respinto il reclamo della società, ha annullato il licenziamento e condannato la società datrice di lavoro alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro, al risarcimento del danno commisurato a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal giorno del licenziamento fino alla reintegra.
3.1. Il giudice di appello, all'esito dell'esame delle emergenze di causa, ha ritenuto l'insussistenza dei fatti contestati, osservando che la società era incorsa in importanti omissioni nella formulazione degli addebiti relativi alle condotte ascritte;
l'istruttoria espletata aveva colmato tali lacune ed evidenziato che alcuni dei fatti oggetto di addebito non erano stati provati nella loro materialità mentre gli altri erano risultati del tutto legittimi non violando alcuna disposizione normativa, né pattizia né legislativa .
3.2. Ha premesso che le condotte oggetto di addebito imputavano alla B: a) di avere interrotto l'attività lavorativa dando luogo ad una chiassosa forma di protesta nei confronti dell'azienda;
b) di avere, nella medesima occasione, inveito contro la collega S;
c) di avere apostrofato il Direttore della struttura, C, con le seguenti parole: "tu parli bene che hai tua moglie che lavora all'Università telematica e prende lo stipendio tutti i mesi! Anzi spiegaci bene perché viene pagata Via Marche! ";
d) di essersi, nonostante la disposizione di servizio che le assegnava un periodo di fruizione delle ferie, senza alcuna autorizzazione della Direzione operativa o della Direzione del personale, presentata ugualmente al lavoro timbrando l'ingresso e, invitata a dare seguito all'ordine di servizio, essersi aggirata per i reparti recando disturbo ai colleghi ed impedendo il regolare svolgimento delle attività sanitarie svolte dalla struttura. Nella lettera di contestazione si precisava, inoltre, che i comportamenti contestati assumevano rilievo in via autonoma, in quanto recidivi, attesa la precedente contestazione disciplinare di tre giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.
3.3. La sentenza impugnata ha, quindi, ritenuto, in relazione alle singole condotte, quanto all'addebito sub a), che l'interruzione dell'attività non era ascrivibile alla B ma si era realizzata, per quest'ultima come per gli altri operatori, in conseguenza della forma di protesta posta in essere dal collega Sergio Dell'Onda il quale, esausto per il mancato pagamento delle retribuzioni, si era sdraiato per terra con un cartello al collo;
quanto all'addebito sub b), che la B non aveva inveito inspiegabilmente contro la collega S cercando di attirare l'attenzione dei presenti in quanto tra le due era sorta discussione in merito ad un fatto ben determinato ( e cioè su chi avesse richiesto l'intervento delle forze dell'ordine);
tale discussione era stata connotata da reciproche battute di domanda e risposta in un contesto di per sé assai concitato e ulteriormente caratterizzato dalla risposta, se non altro oggettivamente provocatoria, rivolta dalla S alla B;
la situazione di caos, determinata dalla protesta del Dell'Onda, escludeva la necessità di attirare l' attenzione dei presenti, come, invece, contestato;
quanto all'addebito sub c), la società aveva omesso di precisare che ciò era avvenuto nel corso dell'assemblea indetta dopo la protesta del lavoratore Dell'Onda per discutere sulle ragioni del mancato pagamento delle retribuzioni;
in tale contesto conflittuale tra la società ed i dipendenti, determinato dal perdurare del mancato pagamento degli stipendi, la richiesta rivolta al C, in quanto proveniente dalla B in veste di sindacalista RSA, era del tutto legittima e non configurava, come contestato, un gesto di irrefrenabile insubordinazione;
quanto all'addebito sub d), la condotta ascritta, lungi dal rappresentare un'insubordinazione rispetto a un ordine di servizio, esprimeva una legittima forma di autotutela delle prerogative sindacali rispetto ad un atto datoriale che aveva chiaramente lo scopo ed il significato di allontanare dai luoghi di lavoro una "scomoda" sindacalista, dimostrare alla generalità dei dipendenti in tal modo chi comandava e dissuadere da ulteriori forme di protesta, essendo, peraltro, rimasto indimostrato che proprio il 7.10.2013 fosse il turno della B nella rotazione del forzoso godimento delle ferie;
l'ulteriore addebito che imputava alla B di essersi trattenuta nei luoghi di lavoro disturbando l'attività dei colleghi ed impedendo il regolare svolgimento delle attività sanitaria non aveva, invece, trovato riscontro fattuale.
3.4. La sentenza impugnata ha, inoltre, escluso la configurabilità della recidiva argomentando dalla insussistenza dei fatti contestati, dal fatto che il c.c.n.l. prevedeva come rilevante la formazione di tre recidive e non di due, dalla intervenuta transazione ex art. 1965 cod.
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