Cass. civ., sez. I, ordinanza 09/05/2023, n. 12424

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, ordinanza 09/05/2023, n. 12424
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12424
Data del deposito : 9 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

3 CC ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n.19823/2019 R.G. proposto da : KOS INVESTMENT MANAGEMENT S.P.A., in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliata in

ROMA VIALE ANGELICO

32, presso lo studio dell’avvocato G C (GCCCRD56B19D539M) che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato S C (SBCCRL73A22H501J) per procura speciale in calce al ricorso -ricorrente-

contro

B R, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FULCIERI PAULUCCI DE'

CALBOLI

60, presso lo studio dell’avvocato A C (MMRCNZ66R58C349Q) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati P I (PLNLRI69R47F205H), D P (DNZPLA59T70L424H), C M (CLRMSM53D25F205R) per procura speciale in calce al controricorso -controricorrente- Avverso la SENTENZA d ella CORTE D'APPELLO MILANO n. 1706/2019depositata il 17/04/2019 . Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/04/2023 dal Consigliere L N.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 16 febbraio 2017, dichiarò improcedibile la domanda di contestazione del valore delle azioni, come determinato dal consiglio di amministrazione della Kairos Investment Management s.p.a. ai sensi dell’art. 2437-ter c.c., e di pagamento di un ulteriore importo di € 2.995.392,63, proposta dal socio titolare di azioni riscattabili di cui all’art. 2437- sexies c.c., in mancanza del previo esperimento della procedura prevista dal comma sesto della prima disposizione (secondo cui il socio che intenda contestare la liquidazione operata dalla società ha l’onere di intraprendere il procedimento ivi indicato, che rinvia all’art. 1349, comma 1, c.c., con possibilità di adire il giudice solo in seconda battuta, in presenza di una valutazione omessa, manifestamente iniqua o erronea);
peraltro, in motivazione, ritenne pure infondata l’eccezione di decadenza dall’azione sollevata dalla convenuta, reputando non condivisibile l’assunto sulla pretesa applicabilità al socio dei termini previsti per l’esercizio del diritto di recesso exart. 2437-bis c.c. Adita dalla società, la quale intendeva, ferma la declaratoria di improcedibilità della domanda, ottenere l’accoglimento della sollevata eccezione di decadenza dal diritto del socio di contestare il prezzo delle azioni riscattande o il rigetto nel merito della pretesa, la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 17 aprile 2019, n. 1706, ha respinto l’impugnazione, ritenendo, per quanto ancora rileva, che: a) l’obbligatorietà della procedura di contestazione del valore delle azioni con determinazione ad opera del terzo arbitratore, prevista dall’art. 2437-ter, comma 6, c.c., ritenuta applicabile al riscatto azionario dalla sentenza di primo grado, non è stata fatta oggetto di impugnazione dalle parti;
b) infondata è l’eccezione di decadenza, in quanto non si applicano al riscatto azionario i termini al riguardo previsti per la contestazione del prezzo delle azioni da parte del socio nel recesso, non ricorrendo i medesimi interessi, pena la violazione del suo diritto di difesa;
c) in ogni caso, nella specie il socio ha tempestivamente contestato la determinazione societaria del prezzo delle azioni, sin dal giorno successivo alla comunicazione ricevuta del prezzo stesso. Avverso la sentenza è proposto ricorso per cassazione dalla società, sulla base di quattro motivi, cui resiste l’intimato con controricorso. La parte ricorrente ha depositato la memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. –Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazion e e la falsa applicazione degli artt. 2437-bis e 2437 - sexies , comma 6, c.c., dovendo reputarsi la sussistenza di un termine di decadenza per la contestazione del valore delle azioni da parte del socio titolare in caso di riscatto azionario, cui deve applicarsi lo stesso regime decadenziale previsto per il recesso, sussistendo analoghe esigenze di celerità, atteso che la distinzione tra recesso e riscatto, tracciata dalla corte territoriale, attiene solo alla posizione originaria delle parti, ma non agli interessi coinvolti. Con il secondo motivo, si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 12 preleggi, 2437-bis, comma 1, 2437-tere 2437-sexies, comma 6, c.c., non avendo la sentenza impugnata accolto l’appello con riguardo alla sussistenza di un termine breve di decadenza, ai sensi della disposizione, dettata per il socio recedente, dell’art. 2437-bis c.c., da applicare almeno in via analogica, ricorrendo la eadem ratio. Con il terzo motivo, si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2437-bis, comma 1, 2437-ter e 2437 - sexies , comma 6, c.c., in quanto la corte territoriale ha ritenuto contestato dal socio il valore delle azioni entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione ricevuta dalla società, ma la raccomandata del 22 febbraio 2013, inviata dal socio, non integrava una contestazione idonea ad impedire la decadenza. Con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., non avendo la corte territoriale provveduto a compensare le spese del grado, dato che si trattava di questione nuova. 2. – Preliminarmente all’esame dei motivi del ricorso si impone il rilievo dell’inammissibilità dell’appello, in quanto proposto in carenza del requisito della soccombenza e dell’interesse all’impugnazione. 2.1. – Provvedendo sulla domanda del socio uscente, il quale pretendeva il pagamento della somma ulteriore di € 2.995.392,63, a titolo di maggior prezzo per il riscatto delle azioni esercitato dalla società, il giudice di primo grado ha dichiarato la domanda improcedibile, sulla base della eccezione –in senso lato – formulata dalla convenuta in comparsa di risposta, la quale conteneva altresì l’eccezione di decadenza dall’azione proposta per tardività. 2.2. – Secondo principio consolidato, l’art. 100 c.p.c. si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dalla sua soccombenza e dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame –con la rimozione della pronuncia impugnata – possa derivare alla parte che lo propone e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, con la conseguenza che è escluso di regola l’interesse della parte integralmente vittoriosa ad impugnare una sentenza al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione, ove non sussista la possibilità, per la parte stessa, di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile (e multis, Cass. 11 dicembre 2020, n. 28307;
Cass. 18 febbraio 2020, n. 3991;
Cass. 23 maggio 2008, n. 13373;
Cass., sez. un., 19 maggio 2008, n. 12637), e la parte totalmente vittoriosa in ordine alla domanda oggetto del giudizio è carente di interesse alla proposizione del ricorso per cassazione, dal momento che la soccombenza costituisce il presupposto dell’impugnazione (Cass. 14 agosto 2020, n. 17159;
Cass. 14 marzo 2016, n. 4981;
Cass. 5 settembre 2003, n. 13010), restando inammissibile la richiesta, con l’impugnazione, di modifiche motivazionali della sentenza impugnata, che non incidano sulla tutela dell’interesse sostanziale controverso, con conseguente difetto dell’interesse tutelato dall’ordinamento (Cass.14 marzo 2016, n. 4981). Del pari, per consolidato principio di diritto, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni ulteriori o sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare tale profilo della decisione (Cass. 1° luglio 2020, n. 13293;
Cass. 17 ottobre 2019, n. 26296;
Cass. 17 gennaio 2019, n. 1093;
Cass. 10 aprile 2018, n. 8755;
Cass. 26 gennaio 2018, n. 2037): conseguentemente, è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (per tutte, Cass., sez. un., 20 febbraio 2007, n. 3840). 2.3. – La pronuncia di improcedibilità della domanda ( rectius improponibilità) assunta dal Tribunale è derivata dalla ritenuta titolarità dell’azione giudiziale de qua solo se sia introdotta all’esito della procedura prevista dal combinato disposto degli artt. 1349 e 2437-ter, comma 6, c.c.: avendo, invero, il primo giudice ritenuto che il legislatore, con quest’ultima previsione (applicabile per tale profilo al riscatto azionario in virtù del rinvio previsto nell’art. 2437- sexies c.c.), abbia finito per subordinare l’esercizio dell’azione giudiziale, diretta ad una diversa determinazione del valore delle azioni riscattande, al preventivo esperimento della procedura di nomina dell’esperto da parte del tribunale, il quale rediga una relazione giurata, volta alla determinazione del valore di liquidazione delle azioni. In tal modo, il tribunale ha ritenuto che l’introduzione di tale procedimento costituisca una condizione di proponibilità dell’azione stessa posta dalla legge, secondo il sistema delle richiamate disposizioni, ed in tal senso ha definito il giudizio innanzi a lui pendente. Con una ulteriore motivazione, resa però solo ad abundantiam, il Tribunale, come riferisce la sentenza impugnata, ha invece respinto l’ulteriore eccezione di decadenza, pure sollevata dalla società, affermando che il socio non era decaduto dal diritto di contestare il prezzo delle azioni. Orbene, questo secondo capo della decisione costituiva una motivazione solo ad abundantiam o un obiter dictum , pronunciato dal Tribunale, quando ormai radicalmente aveva ritenuto non proponibile l’azione innanzi a sé, in accoglimento della prima eccezione sollevata. Nel costituirsi in giudizio, infatti, la società convenuta – come essa stessa deduce nell’odierno ricorso – aveva anzitutto eccepito l’improcedibilità dell’azione ordinaria di cognizione da parte del socio, in ragione del mancato previo ricorso alla procedura di determinazione del valore delle azioni, prevista in tema di recesso dall’art. 2437-ter c.c. ed applicabile al caso del riscatto azionario in forza dell’art. 2437-sexiesc.c. Pertanto, una volta rilevato il passaggio in giudicato della pronuncia di improcedibilità della pretesa attorea, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello, in quanto volto ad attaccare – avendo, invece, l’appellante esplicitamente chiesto di tener ferma la decisione assunta dal Tribunale – unicamente la seconda ratio decidendi del primo giudice: la quale, tuttavia, non è parte del dispositivo, è espressa meramente ad abundantiam, non costituisce spendita di un potere giudiziale ormai “consumato”, non costituisce soccombenza né fonda l’interesse ad impugnare, onde, se viene impugnata, avrebbe poi dovuto condurre alla declaratoria di inammissibilità della relativa impugnazione. Ne deriva che il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare la carenza di interesse ad impugnazione la sentenza di primo grado e, pertanto, dichiarare l’inammissibilità dell’appello proposto su di tale parte della sentenza, che non aveva determinato il decisum. Tale inammissibilità, riguardando l’interesse ad impugnare e cioè una condizione dell’azione, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, e, ove non dichiarata dal giudice d’appello, deve essere riscontrata in sede di legittimità. 2.4. – La dichiarazione, in questa sede, della inammissib ilità dell’appello comporta la cassazione senza rinvio, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 382 c.p.c. – configurando il difetto di interesse ad impugnare una ipotesi in cui il giudizio non poteva essere proseguito – della sentenza di secondo grado, che h a proceduto al non consentito esame dell’atto di appello. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, comma 3, c.p.c., perché il processo non poteva essere proseguito dalla Corte d’appello di Milano, essendo ivi l’impugnazione inammissibile. 3. – Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate sia per il grado di appello, sia per il giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 385, comma 2, c.p.c. Le ragioni della decisione, avuto riguardo alla circostanza che la cassazione della sentenza impugnata non è dipesa dall’accoglimento dei motivi spiegati dalla società ricorrente, giustifica la declaratoria di sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
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