Cass. civ., SS.UU., sentenza 23/09/2013, n. 21672
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L'art. 4 della legge 31 maggio 1995, n. 218 esclude ogni possibilità di deroga convenzionale alla giurisdizione italiana qualora tale deroga non sia provata per iscritto.
E inammissibile, per violazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile "ratione temporis", il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale veniva posto un quesito circa la possibilità per il giudice, ai sensi degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., di fondare la propria decisione attenendosi a mere dichiarazioni difensive svolte in atti dai difensori delle parti in lite, senza chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia).
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Primo Presidente f.f. -
Dott. T R M - Presidente di sez. -
Dott. R R - Presidente di sez. -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. D P S - Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. I A - Consigliere -
Dott. T G - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 22733/2008 proposto da:
TESROL JOINERY PTY LIMITED, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASQUALE STANISLAO MANCINI 2, presso lo studio dell'avvocato C R, che la rappresenta e difende, per procura speciale del in atti;
- ricorrente -
contro
CEFLA S.C., in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell'avvocato P M, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato F A, per delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1083/2007 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 09/10/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2013 dal Consigliere Dott. G T;
udito l'Avvocato Aldo FRIGNANI;
udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
IN FATTO E IN DIRITTO
La società di diritto australiano Tesrol Joinery Pty Ltd, nel convenire in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Bologna la società di diritto italiano Cefla s.r.l. al fine di ottenere il riconoscimento a la declaratoria di esecutività della sentenza del tribunale supremo del New South Wales del 25.5.2005, e la conseguente condanna della convenuta al pagamento di 771.267 dollari a titolo di risarcimento danni subiti per effetto della consegna di macchinari difettosi, espose in premessa che la giurisdizione del giudice australiano doveva, nella specie, ritenersi radicata ai sensi della Legge Italiana n. 218 del 1995, onde la legittimità della richiesta delibazione.
La corte di appello felsinea di converso ritenne, per quanto di rilievo in seno al presente giudizio di legittimità, che la delibazione fosse impedita, nella specie, dalla inapplicabilità del Regolamento 44/2001 CE, mentre la L. n. 218 del 1995, artt. 3, 4 e 64, lett. a) - applicabili alla fattispecie - andavano interpretati nel senso che la deroga alla giurisdizione italiana fosse consentita solo con atto scritto e non anche per implicita accettazione "processuale" della giurisdizione straniera - accettazione peraltro smentita ex actis dalla stessa condotta tenuta dalla convenuta nelle fasi iniziali del processo australiano (ove l'eccezione di giurisdizione era pur stata dedotta, anche se non in seno all'atto introduttivo del giudizio medesimo).
Ritenne pertanto il giudice territoriale la sussistenza, nella specie, dei criteri di collegamento con la giurisdizione domestica costituiti dal foro del contratto concluso, dal foro del pagamento e dal foro di esecuzione della prestazione.
La sentenza della corte territoriale è stata impugnata dall'originaria attrice con ricorso per cassazione sorretto da 3 motivi di gravame.
Resiste la Cefla con controricorso, depositando altresì memoria illustrativa.
Il ricorso - il cui contenuto lo colloca ai confini della ammissibilità in rito, poiché esso propone una questione di giurisdizione soltanto indiretta, non essendosi adita la Corte di legittimità al fine di indicare hic et nunc il giudice della controversia quoad iurisdictionis (già in concreto individuato nella corte di appello di Bologna adita), ma piuttosto allo scopo di stabilire se sia o meno delibabile dal giudice italiano la sentenza straniera oggetto della presente controversia, ponendo conseguentemente questioni che ruotano nell'orbita delle disposizioni ci cui all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 - è comunque infondato nel merito.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 218 del 1995, artt. 3 e 4. Il motivo è corredato dal seguente quesito di diritto:
Dica la corte di cassazione se, ai sensi e per gli effetti della L.218 del 1995, artt. 3 e 4, è consentita la deroga della
giurisdizione italiana a favore di un giudice straniero esclusivamente con atto scritto, mentre la deroga implicita per mancata eccezione processuale è prevista al primo comma dell'art. 4 della medesima legge soltanto in favore del giudice italiano, ovvero se tale deroga implicita possa operare anche in favore di un giudice straniero. La censura è priva di pregio.
Essa si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello nella parte in cui ha ritenuto che la possibilità di deroga alla giurisdizione italiana sia esclusa in tutti i casi in cui tale deroga non sia provata per iscritto (così rettamente interpretando il combinato disposto della L. n. 218 del 1995, artt. 3 e 4), in conformità con la giurisprudenza di queste
sezioni unite (Cass. ss.uu. 10219/2006, non potendosi ritenere conforme a diritto il diverso dictum di cui a Cass. Sez. 1^ 13662/2004). Con il secondo motivo, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Il motivo - che si conclude con la seguente esposizione del fatto controverso: questa corte deve stabilire se la motivazione fornita in sentenza dalla corte di appello di Bologna sia sufficiente a giustificare da quale elemento il giudice di prime cure abbia potuto evincere che il primo atto depositato dalla Cefla era un mero atto formale di partecipazione al giudizio e non anche il primo scritto difensivo, come sostenuto dalla Tesrol, e quindi stabilire anche se la corte di appello di Bologna abbia sufficientemente motivato per quale ragione ritenga e valuti che l'eccezione di giurisdizione fu tempestivamente avanzata dalla Cefla dinanzi al giudice australiano - è anch'esso infondato.
Oltre a risultare in limine assorbito dal rigetto del primo motivo, ritiene comunque il collegio che la corte di appello di Bologna abbia fatto buon governo dei suoi poteri di valutazione ed interpretazione degli atti processuali, volta che essa analizza e qualifica, del tutto correttamente, l'atto di iniziale costituzione della Cefla dinanzi al giudice australiano in termini di "mero atto formale di partecipazione", individuando nel successivo atto difensivo quello giuridicamente e temporalmente rilevante quoad effecta per la proposizione dell'eccezione di giurisdizione.
Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., in tema di disponibilità e valutazione delle prove
Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:
Dica la corte se, ai sensi e per gli effetti degli artt. 115 e 116 c.p.c., il giudice possa fondare la propria decisione di merito
attenendosi a mere dichiarazioni difensive svolte in atti dai difensori delle parti in lite, ovvero se debba attenersi alle prove disponibili prodotte dalle parti in giudizio, oltre che alle nozioni di fatto di comune esperienza.
La censura - prima ancora che assorbita nelle considerazioni che precedono - è inammissibile per patente inammissibilità del quesito che la conclude. Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, onde consentire alla corte di cassazione l'enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) nella generica richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma - e tanto è a dirsi anche nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell'omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito. Il quesito deve, di converso, investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto: le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ, il ricorso per cassazione nel quale l'illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presupponga la risposta (ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice.
La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie
concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non assertiva, il principio giuridico di cui chiede l'affermazione;onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l'inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito
si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. I ricorso è pertanto rigettato.
La disciplina delle spese segue il principio della soccombenza. Liquidazione come da dispositivo.