Cass. pen., sez. VI, sentenza 10/05/2023, n. 19843

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 10/05/2023, n. 19843
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 19843
Data del deposito : 10 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

seguente SENTENZA sul ricorso proposto da M G, nato a Lecce il 08/10/1956 avverso la sentenza del 04/03/2022 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere E A;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale E C, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l'avv. U L, difensore del ricorrente, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 10 aprile 2019 la Corte di appello di Lecce, decidendo in sede di rinvio dall'annullamento parziale disposto il 19 aprile 2018 dalla Corte di cassazione, aveva assolto G M dal reato originariamente contestatogli ai sensi dell'art. 12 -quinquies, decreto legge n. 306 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992, e aveva rideterminato la pena, nella misura di anni due di reclusione ed euro 10.000 di multa, in relazione al residuo reato di cui agli artt. 30 e 31 legge n. 646 del 1982, per il quale la condanna era divenuta irrevocabile per effetto della stessa sentenza del 19 aprile 2018 di rigetto del ricorso a suo tempo proposto dalla difesa dell'imputato.

2. In accoglimento di un nuovo ricorso presentato nell'interesse del M, con pronuncia dell'Il maggio 2021 questa Corte di cassazione annullava l'innanzi richiamata sentenza del 10 aprile 2019. Rilevava come, a fronte della pena originariamente inflitta all'imputato di anni due mesi sei di reclusione ed euro 12.000 di multa in relazione ad entrambi i delitti allo stesso contestati e riconosciuti in continuazione (senza però indicazione alcuna del reato più grave, della pena base e dell'aumento calcolato ai sensi dell'art. 81 cod. pen.), e dell'esito assolutorio con riferimento al reato di cui al citato art. 12-quinques, che doveva considerarsi reato 'satellite' tra i due posti in continuazione, la Corte territoriale avesse omesso di illustrare le modalità di calcolo della pena per il residuo reato di cui ai menzionati artt. 30 e 31:

considerato che

al M erano state riconosciute anche le circostanze attenuanti generiche, con una verosimile riduzione della pena base nella misura di un terzo, sicché il giudice di rinvio era arrivato ad un risultato di pena finale superiore a quello presumibilmente calcolato dal giudice di primo grado, dunque in violazione del principio dettato dall'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. Chiedeva, perciò, al giudice del rescissorio di rideterminare la pena per il residuo reato, esplicitando i criteri di calcolo.

3. Decidendo nuovamente in sede di rinvio, con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Lecce rideterminava la pena inflitta al M, in relazione al residuo reato di cui agli artt. 30 e 31 legge cit., in anni due di reclusione ed euro 7.000 di multa.

4. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dai suoi difensori, deducendo i seguenti motivi.

4.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 623, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per avere la Corte di appello emesso la sentenza nella composizione collegiale della sezione unica penale, in tal modo violando la statuizione contenuta nella pronuncia rescindente con la quale la Cassazione, annullando una sentenza emessa dalla sezione promiscua di quella Corte, aveva disposto il rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della medesima Corte territoriale, che non poteva essere alcuna delle due sezioni che si erano già pronunciate nel merito.

4.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 597, comma 3, cod. proc. pen., per avere la Corte distrettuale, decidendo in sede rescissoria, violato il divieto di "reformatio in peius" irrogando, per il residuo reato del capo b), una pena superiore a quella inflitta dal giudice di primo grado: tenuto conto che questi aveva originariamente calcolato la pena considerando più grave l'altro reato, quello del capo a) - per il quale vi era stata poi assoluzione nel giudizio di secondo grado - per il quale era stata inflitta la pena di anni uno mesi quattro di reclusione, limite che perciò non poteva essere superato dal giudice di rinvio.
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