Cass. pen., sez. III, sentenza 25/05/2020, n. 15752

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 25/05/2020, n. 15752
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15752
Data del deposito : 25 maggio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1) C M, nata a Messina il 27/07/1936 2) M G, nato a Messina il 12/12/1960 3) M M, nata a Messina il 29/04/1975 avverso la sentenza del 12/07/2019 della Corte di appello di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere G F R;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale P F, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
udito per i ricorrenti l'avv. A F, in sostituzione dell'avv. A D C, il quale ha chiesto l'accoglimento delle conclusioni dei ricorsi. DEF0

TTA

2 5

MAG

2520 V.

SPER RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 luglio 2019, la Corte d'appello di Messina, giudicando sul gravame proposto dagli odierni ricorrenti, ha confermato la pronuncia che li aveva condannati alle pene di legge in ordine ai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c), 93 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per aver abusivamente realizzato in zona paesaggisticamente vincolata - senza permesso di costruire, autorizzazione paesaggistica e autorizzazione del competente ufficio del Genio civile, in assenza della presentazione dei calcoli statici - la trasformazione di locali deposito in due unità abitative, con aumento di superficie e di volumi.

2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, deducendo, con il primo motivo, la violazione dell'art. 479 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione per non aver la Corte territoriale accolto l'istanza di sospensione del processo in attesa della definizione del pendente giudizio amministrativo radicato avverso il diniego di nulla-osta in sanatoria da parte della Soprintendenza, illogicamente ritenendo che il rilascio di detto provvedimento "non fosse assolutamente possibile". In tale errata valutazione la sentenza valorizza soltanto le dichiarazioni testimoniali rese dai funzionari della Soprintendenza, omettendo di valutare le contrarie dichiarazioni rese dal funzionario dell'ufficio edilizia privata del Comune di Messina e gli atti provenienti dal medesimo ufficio, che invece attestavano la sanabilità dell'opera. Non si era inoltre tenuto conto delle due sentenze, favorevoli agli istanti, rese dal T.A.R. Catania nei giudizi radicati avverso il diniego del nulla-osta.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004, nonché vizio di motivazione, per essere stato ritenuto provato il contestato aumento di volumetria, trascurando le prove contrarie testimoniali e documentali di fonte comunale già più sopra richiamate e omettendo di motivare in relazione alle pronunce del T.A.R. favorevoli agli imputati, compresa una recente ordinanza istruttoria che aveva disposto un accertamento al fine di verificare se vi fosse stato o meno aumento di superficie e/o cubatura (ordinanza peraltro reiterata per il medesimo incombente con provvedimento del 20 novembre 2019, depositato,dai ricorrenti presso la cancelleria di questa Corte). MOTIVI DELLA DECISIONE1. Il primo motivo di ricorso non è fondato. Occupandosi della richiesta di sospensione del dibattimento avanzata ai sensi dell'art. 479 cod. proc. pen., questa Corte ha ritenuto che, pur essendo oggetto di valutazione discrezionale, la stessa obbliga il giudice a fornire puntuale motivazione delle ragioni per le quali ritenga superfluo attendere l'esito del giudizio civile o amministrativo dalla cui risoluzione può dipendere la decisione sull'esistenza del reato (Sez. 3, n. 17528 del 24/03/2010, Tosti, Rv. 247165, relativa alla pendenza di un giudizio civile radicato per stabilire se avesse 'natura demaniale o privata l'area fatta oggetto della contestazione di abusiva occupazione sanzionata ai sensi dell'art. 1161 cod. nav.). Tale orientamento, tuttavia, postula che l'istanza di sospensione si riferisca ad un giudizio il quale, quantomeno in astratto, riguardi la situazione disciplinata dalla disposizione in parola, vale a dire - tra l'altro - che «la decisione sull'esistenza del reato dipenda dalla risoluzione di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità». L'art. 479 cod. proc. pen. - che costituisce deroga al generale principio giusta il quale «il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito» (art. 2, comma 1, cod. proc. pen.) - non è invece invocabile laddove, come nella specie accaduto, la richiesta di sospensione sia stata avanzata a fronte della pendenza di un giudizio amministrativo promosso per contestare l'illegittimità del diniego di rilascio di un provvedimento amministrativo di sanatoria di un abuso urbanistico o paesaggistico. La decisione di tale procedimento, di fatti, non spiegherebbe effetti sulla sussistenza del reato, ma soltanto sulla sua possibile estinzione, che, peraltro, non conseguirebbe automaticamente al favorevole esito del processo, dipendendo invece - come pure dimostrato dal contenzioso amministrativo radicato nel caso di specie e proseguito pur dopo una prima pronuncia del T.A.R. - da una rinnovata valutazione da parte dell'autorità competente, che abbia esito favorevole all'interessato e sfoci nell'adozione del provvedimento di sanatoria.

1.1. Com'è noto, i rapporti tra sospensione del processo penale e sanatoria sono esclusivamente regolati - peraltro, per i soli reati urbanistici - dall'art. 45, comma 1, d.P.R. 380/2001, il quale impone la sospensione dell'azione penale «finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria di cui all'articolo 36» e quest'ultima disposizione, al terzo comma, sancisce che «sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata». Posto che il combinato disposto delle due citate norme prevede la sospensione dell'azione penale limitatamente ad un procedimento amministrativo destinato a concludersi nel termine massimo di sessanta giorni, la Corte costituzionale - chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale, in rapporto al principio di obbligatorietà dell'azione penale sancito nell'art. 112 Cost., dell'identica normativa urbanistica disciplinante il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi degli artt. 22, primo comma, e 13, secondo comma, I. 28 febbraio 1985, n. 47 - aveva peraltro disatteso l'interpretazione secondo cui la sospensione necessaria del processo penale doveva estendersi anche oltre il termine dei sessanta giorni, sino alla fase del procedimento giurisdizionale amministrativo in cui si contesti la legittimità del mancato accoglimento dell'istanza di sanatoria (quanto meno sino alla pronuncia del T.A.R.). La Corte, infatti, aveva rilevato che se la sospensione limitata al procedimento amministrativo per un massimo di sessanta giorni giustifica il danno inerente al ritardato svolgimento del processo penale, poiché la conclusione del (breve) iter in senso favorevole al richiedente conduce all'immediata definizione del giudizio penale, «il bloccare ulteriormente le attività processuali penali per tempi generalmente imprevedibili (...) Don solo incrementerebbe il danno al quale s'è accennato ma rischierebbe di renderlo irreversibile, senza, peraltro, alcuna garanzia sull'esito dei procedimenti giurisdizionali (...) il blocco delle attività processuali penali "per lunghi tempi" non •può non violare il principio di cui all'art. 112 Cost., che, invece, la breve, necessaria sospensione dell'azione penale, di cui al primo comma dell'art. 22, sicuramente non lede» (Corte cost., sent. 31 marzo 1988, n. 370). Questa conclusione interpretativa - salvo un risalente precedente contrario (Sez. 3, n. 3190 del 13/02/1989, F, Rv. 180665) - è stata seguita da tutta la successiva giurisprudenza di legittimità e avallata anche dalle Sezioni unite (cfr. Sez. U, n. 4154 del 27/03/1992, P, Rv. 190245;
più di recente, Sez. U, n. 15427 del 31/03/2016, C, Rv. 267042, in motivazione;
Sez. 3, n. 24245 del 24/03/2010, C, Rv. 247692;
Sez. 3, n. 22823 del 26/02/2003, B, Rv. 225293). Del resto - si osserva nella motivazione di una pronuncia che conferma il consolidato orientamento - il breve termine previsto per la sospensione del processo «assolve ad una duplice funzione: da un lato, conferisce certezza all'aspettativa del privato consentendogli le opportune iniziative di tutela e, dall'altro, evita la sospensione del processo sine die» (Sez. 3, n. 10205 del 18/01/2006, S e a., Rv. 233671, in motivazione).
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi