Cass. civ., SS.UU., sentenza 29/04/2015, n. 8619
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La domanda di condanna al pagamento degli oneri di urbanizzazione rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevista in materia urbanistica ed edilizia anche se proposta da un consorzio di sviluppo industriale, poiché questo, pur essendo un ente pubblico economico, svolge anche attività estranea al campo privatistico imprenditoriale, quale l'attività pubblicistica attinente alla localizzazione industriale.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R L A - Primo Presidente f.f. -
Dott. S G - Presidente di Sez. -
Dott. R R - Presidente di Sez. -
Dott. R V - Consigliere -
Dott. M V - Consigliere -
Dott. V R - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
Dott. A A - Consigliere -
Dott. D I C - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20165/2013 proposto da:
A.S.I. - CONSORZIO PER L'AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI LEGGE, (già SISRI - CONSORZIO PER LO SVILUPPO INDUSTRIALE DEI SERVIZI REALI ALLE IMPRESE), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CANCELLO 20, presso lo studio dell'avvocato L P, rappresentato e difeso dall'avvocato T V, per delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
LORES S.R.L. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 384, presso lo studio dell'avvocato M POZZI, rappresentata e difesa dall'avvocato P G, per delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
avverso la sentenza n. 643/2012 della CORTE D'APPELLO di LECCE, depositata il 24/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2014 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;
udito l'Avvocato Luigi PEDONE per delega dell'avvocato Valentino Torricelli;
udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Nella controversia tra il Consorzio S.I.R.S.I. (Consorzio per lo Sviluppo Industriale dei Servizi Reali alle Imprese, ora A.S.I.) di Lecce e Lores s.r.l. (ora in liquidazione), avente ad oggetto la richiesta da parte del primo degli oneri posti a carico della seconda, la Corte d'Appello di Lecce, in difformità dal primo giudice, ha declinato la giurisdizione in favore del giudice amministrativo.
I giudici d'appello hanno in particolare rilevato che il Consorzio è ente pubblico economico dotato di poteri autoritativi in ordine alla determinazione delle tariffe e degli oneri posti a carico degli assegnatari di aree che hanno presentato un progetto riscontrato favorevolmente e che nella specie la società non si era doluta dell'adozione di un atto in assenza del relativo potere ma del cattivo esercizio di tale potere da parte del Consorzio medesimo sia con riguardo al tempo della richiesta economica (intervenuta dopo l'approvazione del progetto e non dopo il rilascio del permesso a costruire) sia con riguardo alla entità e adeguatezza della somma richiesta. I suddetti giudici hanno aggiunto che nella specie doveva in ogni caso ritenersi la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto il pagamento richiesto riguardava oneri di urbanizzazione.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre il Consorzio;la società resiste con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente è da escludere che nella specie ricorra, con riguardo al ricorso principale, l'ipotesi di inammissibilità di cui all'art. 360 bis c.p.c., n. 1, invocata dalla società controricorrente, posto che la giurisprudenza citata da quest'ultima, ed in ogni caso la giurisprudenza affermativa della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di oneri di urbanizzazione, ha soprattutto riguardo a controversie con i Comuni e non risulta che abbia esaminato - tanto meno approfonditamente e ripetutamente - la questione in riferimento alle opere di urbanizzazione realizzate dai Consorzi, con le relative implicazioni in ordine alla natura dei suddetti ed al tipo di rapporto che si instaura tra questi e le imprese che si trovano nell'area di riferimento dei medesimi.
Neppure sussistono le ipotesi di inammissibilità prospettate con riguardo al medesimo ricorso dalla suddetta controricorrente in riferimento all'art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6. In particolare, con riguardo alla dedotta carenza del requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa di cui all'art. 366 c.p.c., n. 3, fondata sul rilievo che tale esposizione nella specie si
sarebbe articolata in 22 pagine "affastellate senza alcuna coerenza e logica ricostruttiva", deve rilevarsi che il ricorso principale contiene una esauriente e comprensibile esposizione dei fatti di causa, la quale, benché particolarmente articolata e certamente non sintetica, risulta idonea a fornire, sulla base della sola lettura del ricorso - perciò senza necessità di esaminare altri atti, ivi compresa la decisione impugnata-, una conoscenza del "fatto" sostanziale e processuale sufficiente a comprendere il significato e la portata delle censure rivolte alla pronuncia impugnata (tra le altre v. Cass. n. 16360 del 2004 e SU n. 11653 del 2006), dovendo escludersi l'ipotizzabilità di una absolutio ab instantia tutte le volte che (come nella specie) una esposizione dei fatti di causa esista e sia comprensibile e funzionale, a prescindere dal fatto che essa sia più o meno sommaria e/o di lettura più o meno scorrevole. È vero che il legislatore, in omaggio ad indiscutibili esigenze di chiarezza ed economia processuale, sembra decisamente prediligere la sintesi e la sobrietà espositiva negli atti processuali, tuttavia tale intento risulta normativamente esplicitato soprattutto in relazione agli atti del giudice, dei quali si raccomanda concisione ed esposizione succinta, laddove per gli atti di parte la "sommarietà" espositiva è prevista solo per le impugnazioni (appello e cassazione), evidentemente nell'intento di evitare che, anche se non imprescindibile ai fini della comprensione dell'impugnazione medesima, si ritenga sempre necessaria una analitica esposizione di tutte le vicende di causa, la quale, soprattutto nelle impugnazioni, potrebbe risultare tanto defatigante quanto inutile.
Occorre peraltro precisare che la "sommarietà" nella esposizione dei fatti di causa (così come la concisione nelle sentenze) è concetto relativo, da valutarsi in rapporto alle peculiarità delle singole fattispecie, e va altresì aggiunto che, se è vero che un atto di parte (come del resto una sentenza) che non sia inutilmente ridondante è certamente più "chiaro" (oltre che più elegante e cortese per i destinatari), è anche vero che non è sufficiente ai fini della inammissibilità di un ricorso il fatto che esso che contenga notizie non indispensabili e/o risulti esposto con stile non particolarmente "lineare", posto che la sanzione della inammissibilità nei casi di inosservanza (per eccesso) della "misura" nella esposizione dei fatti di causa può prendersi in considerazione solo nella ipotesi (nella specie non verificatasi) in cui - ad esempio per la sovrapposizione di notizie non conferenti (o semplicemente non necessarie a supportare l'impugnazione) accumulate senza alcuna graduazione o collegamento - l'esposizione suddetta (oltre che di faticosa lettura) risulti anche ambigua e non decifrabile al punto da non consentire di trarre da essa le notizie sui fatti di causa necessarie alla comprensione delle censure proposte.
Infine, va esclusa anche la dedotta inammissibilità del ricorso per omessa indicazione - ai sensi dell'art. 366 c.p.c., n.