Cass. pen., sez. V trib., sentenza 20/04/2023, n. 16924

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V trib., sentenza 20/04/2023, n. 16924
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16924
Data del deposito : 20 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: ARIATA ENRICO nato a TORTONA il 12/01/1979 avverso la sentenza del 10/12/2021 della CORTE APPELLO di TORINOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere G R A M;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore L O, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso: letta la memoria del difensore del ricorrente, avv. M B , il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 dicembre 2021, la Corte d'appello di Torino ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale A E era stato ritenuto responsabile dei reati di bancarotta documentale (capo 1), bancarotta impropria da operazioni dolose (capo 2) e bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo 4);
condotte commesse nella sua qualità di consigliere di amministrazione e presidente del consiglio di amministrazione, poi amministratore di fatto ed infine consigliere di amministrazione e amministratore delegato della società "Ariata e Santi Carni S.r.l.", dichiarata fallita in data 9 novembre 2010.2. Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore ed articolato nei motivi qui di seguito sintetizzati a norma dell'art. 173, comma primo, disp. att. cod. proc. pen.. 2.1. Con il primo motivo di ricorso è denunziata l'erronea applicazione della legge penale in riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto dall'ad 223 comma secondo n. 2 legge fallimentare (capo 2). La Corte territoriale, nonostante lo specifico motivo d'appello, nulla ha motivato in merito alla configurabilità nel caso concreto del dolo richiesto dalla fattispecie incriminatrice.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso è denunziata l'erronea applicazione della legge penale in riferimento alla sussistenza dell'elemento oggettivo richiesto dall'ad 223 comma secondo n. 2 legge fallimentare (capo 2). La difesa si duole dell'affermazione di responsabilità nonostante non sia stato effettuato alcun accertamento in merito all'aggravamento del dissesto, ritenendo rilevante la sola esposizione debitoria ai fini dell'integrazione del reato. In particolare, con i motivi d'appello, si evidenziava che l'imputato non può aver aggravato il dissesto societario in quanto le fatture anticipate in banca non furono contabilizzate e, dunque, non comportarono ne sanzioni né oneri fiscali;
inoltre, nessuna banca si è insinuata nel passivo.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso è lamentata la carenza ed illògicità della motivazione avendo riconosciuto l'Ariate non responsabile per il mancato versamento di ritenute e al contempo responsabile per il mancato versamento dei contributi causando un aggravamento del dissesto societario.

2.4. Con il quarto motivo di ricorso è denunziata violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza in riferimento all'affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo 4). In particolare, è contestata la riconducibilità della condotta al ricorrente, avendo il capo d'imputazione collocato la condotta contestata "al momento della dichiarazione di fallimento", momento in cui l'Ariate non era più neanche amministratore di fatto della società.

2.5. Con il quinto motivo di ricorso è lamentato il mancato riconoscimento della prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche sulle aggravanti stante l'esclusione, da parte del giudice di secondo grado, della recidiva contestata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. I primi tre motivi di ricorso (afferenti alla imputazione di cui al capo 2) sono aspecifici e non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata (pagg. 6-7), che, nel rispondere alle analoghe doglianze proposte con l'atto di appello, ha argomentato specificamente sulla sussistenza sia dell'elemento oggettivo che di quello soggettivo del reato di bancarotta impropria da operazioni dolose, consistite nell'utilizzo di fatture per crediti inesistenti per l'accesso al credito bancario e nella sistematica omissione del pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali all'INPS.La Corte territoriale ha pure escluso, quanto al profilo dello sconto delle fatture per operazioni inesistenti, che si possa configurare nella specie la fattispec:ie meno grave di ricorso abusivo al credito bancario. In proposito, va ricordato che, nonostante Vart. 218 I. fall. non faccia menzione della necessità della dichiarazione di fallimento, per configurare il reato occorre tale declaratoria (Sez. 5, n. 44857 del 23/09/2014, P.M. e Graziani, Rv. 26131201) e, quindi, la distinzione tra il reato di cui all'art. 223 comma 2 n.2 legge fallimentare e quello di ricorso abusivo al credito non può certo fondarsi sulla circostanza dell'intervento o meno del fallimento. Il rapporto tra le due citate fattispecie è certamente quello che intercorre tra un reato di mera condotta e un reato d'evento omogenei in termini lesivi. Tuttavia, per configurare il reato di cui all'art. 218 I. fall. la condotta deve avere ad oggetto il ricorso ad un credito "abusivo", perché ottenuto, mediante dissimulazione, ai danni dell'ignaro creditore, il quale quindi può assumere il ruolo di persona offesa. Di contro, nelll'art. 223, n. 2, I. fall. l'operazione dolosa deve concretarsi in un ricorso ad un credito ottenuto anche senza dissi mulazione ovvero anche concordato con il creditore, che però diventi causa o concausa del dissesto o del suo aggravamento (Sez. 5, Sentenza n. 46689 del 30/06/2016, Rv. 268674 - 01). Nella specie è incontroverso che il ricorso al credito sia avvenuto mediante la presentazione di un certo numero di fatture, mentre non è chiaro se l'istituto bancario fosse o meno consapevole della dissimulazione dei crediti, circostanza che spiegherebbe perché non si sia insinuato nel fallimento. Come ha più volte chiarito la giurisprudenza di questa Corte, le operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento devono comportare 'un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l'impresa, laddove la nozione di "operazione" postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato. Quanto, poi, all'elemento psicologico, sostanziandosi il delitto in una «eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale» in relazione alla quale «esaurisce l'onere probatorio dell'accusa la dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura "dolosa" dell'azione, costitutiva dell'operazione", a cui segue il dissesto, in una con l'astratta prevedibilità dell'evento scaturito per effetto dell'azione antidoverosa» (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247313). Si è poi chiarito che le "operazioni dolose" rilevanti possono anche non determinare - come nella specie- un'immediata diminuzione dell'attivo (Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013 - dep. 17/03/2014, P.G. e p.c. in proc. B e altri, Rv. 259997;
Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, P e altri, Rv. 261684, in motivazione). Di conseguenza, fermo estando che «è sempre necessario, per l'integrazione della fattispecie e l'imputazione del reato, che dal comportamento abusivo, infedele o illegittimo del titolare del pot:ere sociale, si provi esser derivato un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l'impresa, da porre in relazione causale col fallimento» (Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Belleri, Rv. 260492, in motivazione), la configurabilità della fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose è stata affermata anche con rifermento all'emissione di fatture nei confronti di società c.d. "cartiere" nel quadro di una vicenda comunemente definita "truffa carosello", osservandosi che, poiché «il meccanismo della emissione di fatture per operazioni intracomunitarie inesistenti risponde ad una precisa finalità di violazione delle norme tributarie nazionali (nella prospettiva della generazione del credito di IVA, invece non spettante, verso lo Stato), è altrettanto logico ritenere che il perpetuarsi della operazione in frode all'Erario esponga (nel prevedibile caso di accertamento dei reati, nella specie concretizzatosi) le società protagoniste, a un dissesto di proporzioni tanto più rilevanti quanto più elevato siano il fatturato interessato dalle frodi e la percentuale di incidenza dello stesso sull'intero movimento di affari della società» (Sez. 5, n. 41055 del 04/07/2014, Crosta, in motivazione). Insomma, è configurabile il reato in esame anche nei casi in cui le operazioni illecite, in quanto tali, sono destinate - come avvenuto nella specie- non già a diminuire ma ad incrementare (sia pure contra ius) il patrimonio sociale;
tuttavia, è necessario che si individuino specificamente elementi probatori in base ai quali si possa affermare che il fallimento sia riconducibile ad esse, poiché - sul piano degli effetti di medio periodo e in ragione della crescita esponenziale del debito (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014 - dep. 18/11/2014, P e altri, Rv. 261684, in motivazione), una volta scoperte, determinano ineludibilmente l'applicazione delle relative sanzioni. I giudici di merito nel caso in esame hanno affrontato gli esposti profili, dando conto delle circostanze per cui le specifiche connotazioni delle operazioni dolose possano aver offerto fondamento al giudizio di prevedibilità dell'emersione delle operazioni stesse e, di conseguenza, dell'attivazione delle iniziative risarcitorie e/o sanzionatorie destinate a sfociare nel depauperamento e, quindi, nel dissesto della società: solo in forza di tale giudizio di prevedibilità la natura preterintenzionale della fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose può rendere ragione della riconducibilità di operazioni del genere nel paradigma punitivo di cui all'art. 223, secondo comma, n. 2, I. fall. Inoltre, le argomentazioni della Corte territoriale hanno delineato un nesso causale tra l'azione ritenuta dolosa e il dissesto ovvero il suo aggravamento (pag. 7 della sentenza: "rimane integrato a suo carico il delitto contestato al capo 2 in quanto si discute di modalità di gestione societaria assurte a vero e proprio sistema illecito e, pertanto, da ritenersi alla stregua di condotte dolose cagionative del fallimento e non già riconducibili a mere esposizioni debitorie assunte in costanze di regolare gestione di impresa"), mentre il ricorrente si è limitato solo a riproporre doglianze già oggetto di appello, che si risolvono nella sollecitazione alla rivisitazione di elementi di fatto.
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