Cass. civ., sez. I, sentenza 25/08/2005, n. 17299
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiMassime • 1
La notificazione dell'atto di impugnazione effettuata al procuratore costituito in tale sua qualità equivale pienamente a quella effettuata alla parte
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. L M G - Presidente -
Dott. M G V A - Consigliere -
Dott. B M - Consigliere -
Dott. G P - rel. Consigliere -
Dott. S M B - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C P, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cicerone n. 28, presso lo studio dell'Avv. M C, rappresentato e difeso dall'Avv. COSENTINO A del foro di Castrovillari in forza di procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
R A;
- intimata -
avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro n. 13/02 C.C. pronunciata il 23.4.2002 e pubblicata il 15.5.2002. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9.5.2005 dal Consigliere Dott. P G.
Udito il difensore del ricorrente.
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CICCOLO P P M, il quale ha concluso, preliminarmente, per il rinnovo della notifica del ricorso, in subordine per l'accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, nonché per il rigetto degli altri motivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 15.1.1988, A R, premesso di avere contratto matrimonio, in data 4.2.1967, con P C, chiedeva che il Tribunale di Castrovillari pronunciasse la separazione giudiziale di essi coniugi, addebitando la separazione medesima al marito ed adottando ogni conseguente provvedimento. Si costituiva il resistente, spiegando, in via riconvenzionale, reciproca domanda di addebito.
Il Giudice adito, con sentenza del 20.7.2001, pronunciava la separazione personale dei coniugi, rigettava le suindicate domande di addebito e poneva a carico del Cerchiara l'obbligo di corrispondere in favore della Ragusa un assegno di mantenimento di lire 2.000.000 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo l'indice ISTAT. Avverso la decisione, proponeva appello lo stesso Cerchiara, chiedendone la riforma in relazione alle statuizioni di natura patrimoniale.
Resisteva nel grado la Ragusa, la quale, a propria volta, spiegava gravame incidentale con riguardo al mancato accoglimento, da parte del primo Giudice, delle domande di addebito della separazione al Cerchiara e di condanna di quest'ultimo al versamento di un assegno di mantenimento di lire 5.000.000 mensili, salva diversa determinazione di tale emolumento in misura intermedia tra detto importo e quello di lire 2.000.000 mensili fissato nell'appellata pronuncia.
La Corte territoriale di Catanzaro, con sentenza del 23.4/15.5.2002, in riforma della decisione impugnata, determinava in euro 1.033,00 l'assegno di mantenimento dovuto dal Cerchiara alla moglie dalla data (15.1.1988) del ricorso introduttivo in poi, oltre la rivalutazione monetaria annuale da tale data, condannando l'obbligato a pagare anche le differenze mensili tra il suindicato assegno e quello minore via via corrisposto dalla stessa data, maggiorate dei relativi interessi legali, confermando le statuizioni di cui ai numeri 1) e 2) del dispositivo della sentenza di prima istanza e condannando il Cerchiara medesimo al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
Assumeva, per quanto interessa, detto Giudice:
a) che ricorressero giusti motivi perché la casa coniugale continuasse ad essere abitata, nella sua interezza, dalla Ragusa, nonostante i tre figli fossero divenuti autonomi ormai da anni;
b) che risultasse fondata la censura della Ragusa relativa all'incongruità dell'assegno di mantenimento dovuto dal Cerchiara alla moglie, onde la necessità di determinare tale assegno in lire 2.000.000 mensili (pari ad euro 1.033,00) a decorrere dalla data della domanda, con adeguamento automatico da statuire anche d'ufficio e con applicazione dei relativi interessi legali sulle differenze, mensilmente spettanti, tra l'assegno come sopra determinato e quello, sempre inferiore, corrisposto dal Cerchiara stesso. Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione quest'ultimo, deducendo cinque motivi di gravame, illustrati da memoria, ai quali non resiste la Ragusa il ricorrente ha altresì presentato brevi osservazioni per iscritto sulle conclusioni del Pubblico Ministero. MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve, innanzi tutto, essere riconosciuta la validità della notificazione del ricorso, effettuata (di per sè tempestivamente, in data cioè 25.10.2002, nonché ritualmente, siccome "a mani proprie" del destinatario) "all'Avv. L V, quale procuratore e difensore di Ragusa Antonina".
Premesso, infatti, come dalla stessa intestazione dell'impugnata sentenza risulti che l'odierna intimata, nel giudizio di appello, è stata in effetti "rappresentata e difesa dall'Avv. L V" appunto, giova innanzi tutto notare che l'art. 330, primo comma, c.p.c., là dove prevede che l'impugnazione, se la parte non abbia
dichiarato la sua residenza o eletto il domicilio in sede di notificazione della sentenza, sia notificata presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio, va interpretato nel senso che l'impugnazione medesima può essere notificata, indifferentemente, in uno qualsiasi dei luoghi indicati dalla richiamata disposizione (ovvero presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio), a scelta del notificante, dovendosi escludere che la norma prescriva un tassativo ordine di successione nell'elencazione dei luoghi suddetti, anziché un concorso meramente (e perfettamente) alternativo tra di essi (Cass. sezioni unite 20 dicembre 1993, n. 12593;Cass. 1^ dicembre 1994, n. 10285;Cass. 7 marzo 2001, n. 3273;Cass. 21 dicembre 2001, n. 16145;Cass. 17 maggio 2002, n. 7214;Cass. 26 agosto 2004, n. 17003;Cass. 18 ottobre 2004, n. 20392). Secondariamente, è quindi da osservare che, malgrado l'affermazione contenuta in talune pronunce di questa Corte (Cass. sezioni unite 14 giugno 1994, n. 5785;Cass. 16145/2001, cit;Cass. 17003/2004, cit.) secondo la quale, argomentando dal tenore letterale della norma di cui all'art. 330, primo comma, c.p.c. ("presso il procuratore costituito") e dal fatto che la rappresentanza processuale del difensore è limitata a ciascun grado di giudizio, l'impugnazione va notificata alla parte, che è la destinataria della notificazione dell'atto, onde la notificazione effettuata al procuratore della parte medesima e non "presso il procuratore" di essa comporterebbe una "nullità" (sia pure non dell'impugnazione, ma della sola notificazione) sanabile ex tunc per effetto della costituzione dell'intimato, non può tuttavia ignorarsi:
a) che il riferimento letterale sopra indicato (l'impugnazione...si notifica "presso il procuratore costituito"), pur denotando una sensibile differenza rispetto alla formula adottata dal primo comma dell'art. 170 c.p.c. (le notificazioni si fanno "al procuratore
costituito"), richiamato dall'art. 285 c.p.c. con riguardo alla notificazione della sentenza, non induce affatto, secondo autorevole dottrina, a ritenere nulla la notificazione eseguita al difensore, anziché alla parte presso il difensore stesso;
b) che dall'orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 27 giugno 1978, n. 3162;Cass. 17 maggio 1980, n. 3259;Cass. 6 luglio 1982, n. 4026;Cass. 6 agosto 1983, n. 5277;Cass. 2 marzo 1987, n. 2167;Cass. 17 ottobre 1992, n. 11402;Cass. 12 gennaio 1995, n. 291;Cass. 10 giugno 1998, n. 5743;Cass. 28
novembre 1998, n. 12102;Cass. 17 luglio 1999, n. 7613) è, comunque, desumibile il principio secondo cui la notificazione dell'atto di impugnazione effettuata (come nella specie) al procuratore costituito equivale pienamente alla notificazione effettuata alla parte presso il procuratore medesimo, nei casi appunto in cui essa è prescritta dall'art. 330, primo comma, c.p.c., soddisfacendo l'una e l'altra forma di notificazione all'esigenza che l'atto di gravame sia portato a conoscenza della parte per il tramite del suo rappresentante processuale, onde la notificazione eseguita (come, di nuovo, nella specie) a mani proprie del difensore resta valida, vuoi perché il sopra citato art. 330 c.p.c., nel prevedere (giusta quanto accennato) che l'impugnazione debba essere notificata presso il procuratore costituito, non contiene una mera indicazione del luogo della notificazione ma identifica nel procuratore il destinatario di essa in forza di una proroga ex lege dei poteri conferitigli con la procura alle liti per il giudizio a quo (onde l'inesistenza della sola notificazione effettuata ad un legale ed in un luogo che non abbiano alcun riferimento con il procuratore domiciliatario della parte), vuoi perché detta notificazione risulta eseguita nel rispetto dell'art. 138 c.p.c. (secondo cui l'ufficiale giudiziario può sempre compiere la notificazione mediante consegna della copia dell'atto nelle mani proprie del destinatario, ovunque io trovi nell'ambito della circoscrizione alla quale è addetto), da ritenersi applicabile non solo alle parti ma anche ai loro difensori. Con il primo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione degli artt. 155, 156 e 215 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., deducendo:
a) che, quando i figli sono divenuti maggiorenni ed autosufficienti, tanto che non convivono con la madre cui erano stati affidati, come è avvenuto nella specie, il criterio preferenziale che regge l'assegnazione della casa familiare non è più adottabile, poiché la preferenza medesima non ha ragion d'essere;
b) che, in questa situazione di figli maggiorenni autosufficienti e non conviventi, non si configura dunque un diritto all'assegnazione della casa stessa, non sussistendo un formale diritto di godimento;
c) che, nel caso in esame, il Cerchiara è proprietario esclusivo dell'immobile de quo, onde riacquista piena rilevanza il titolo formale di godimento del Cerchiara medesimo, cui va riconosciuto il diritto ad ottenere la disponibilità dell'alloggio, senza che la Ragusa possa vantare alcun titolo all'assegnazione di quest'ultimo. Il motivo è fondato.
Giova, al riguardo, premettere come la giurisprudenza di questa Corte (a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 11297 del 28 ottobre 1995, seguita dalle successive e, tra queste, per citare le più recenti, da Cass. 22 aprile 2002, n. 5857;Cass. 17 gennaio 2003, n. 661;Cass. 28 marzo 2003, n. 4753;Cass. 18 settembre 2003, n. 13736 e n. 13747;Cass. 6 luglio 2004, n. 12309;Cass. 1^ dicembre 2004, n. 22500) possa ormai dirsi consolidata nel senso che, in materia di separazione e di divorzio, l'assegnazione della casa familiare consente il sacrificio della posizione del coniuge titolare di diritti reali o personali sull'immobile adibito ad abitazione coniugale solo alla condizione dell'affidamento all'assegnatario di figli minori o della sua convivenza (la cui nozione comporta la stabile dimora presso il genitore, ad esclusione invece dei rapporti di mera "ospitalità") con figli maggiorenni ma non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri, laddove, in assenza di tale condizione, coerente con la finalizzazione dell'istituto alla esclusiva tutela della prole e del relativo interesse di quest'ultima alla permanenza nell'ambiente domestico in cui essa è cresciuta, l'assegnazione medesima non può essere disposta in funzione integrativa o sostitutiva degli assegni rispettivamente previsti dagli artt. 156, primo comma, c.c. e 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 (come sostituito dall'art. 10 della legge n. 74 del 1987), ovvero allo scopo di sopperire alle esigenze di sostentamento
del coniuge ritenuto economicamente più debole, a garanzia delle quali sono destinati unicamente gli assegni anzidetti, onde la concessione del beneficio in parola resta subordinata all'imprescindibile presupposto sopra indicato, laddove, nell'ipotesi in cui l'alloggio de quo appartenga in proprietà ad uno solo dei coniugi e manchino figli in possesso degli illustrati requisiti, il titolo di proprietà vantato da quest'ultimo, se preclude ogni eventuale assegnazione dell'immobile all'altro coniuge, rende altresì ridondante e superflua ogni e qualsiasi pronuncia di assegnazione dell'immobile stesso in favore del coniuge proprietario. Peraltro, l'attribuzione del diritto di abitazione nella casa familiare costituisce pur sempre un provvedimento capace di avere anche riflessi di contenuto economico, particolarmente valorizzati dall'art. 6, sesto comma, della citata legge n. 898/1970, quale sostituito dall'art. 11 della legge n. 74/1987 parimenti richiamata, onde rappresenta una utilità legittimamente valutabile in misura pari al risparmio dell'esborso occorrente per godere dell'immobile a titolo di locazione, nel senso che, come, una volta disposta l'assegnazione anzidetta, il valore di una attribuzione del genere non può non venire considerato in sede di determinazione degli assegni già menzionati, altro essendo ritenere che il beneficio dell'assegnazione non sia previsto in funzione della debolezza economica di uno dei coniugi, alle cui esigenze sono appunto destinati gli assegni sopra indicati, così da apprezzarne i relativi presupposti nella fase deliberativa attinente all'adozione della misura in parola, altro essendo ritenere che la disposizione di siffatto beneficio, una volta concretamente intervenuta, non risulti però tale da non avere altresì significative ricadute in termini economici e, quindi, da non influire sulla determinazione dei riferiti assegni, così, analogamente, l'esclusione della possibilità per il coniuge di fruire dell'assegnazione in oggetto giustifica l'incremento della misura di simili assegni, dovendosi tenere conto, ai fini della determinazione anzidetta, del sacrificio finanziario eventualmente sopportato dal medesimo coniuge per le proprie esigenze abitative (Cass. 5857/2002, cit;Cass. 9 settembre 2002, n. 13065;Cass. 22500/2004, cit.). Nella specie, la Corte territoriale, indipendentemente dall'idoneità (per le ragioni illustrate) della decisione relativa all'assegnazione dell'abitazione familiare ad incidere sull'obbligo di mantenimento mediante prestazione pecuniaria, non ha correttamente applicato i principi testè riportati, avendo comunque ritenuto, pur a prescindere dalla mancanza o meno del requisito della convivenza, "che ricorrono giusti motivi perché la ex casa coniugale continui ad essere abitata, nella sua interezza, dalla Ragusa, nonostante i tre figli (evidentemente maggiorenni) siano divenuti da anni autonomi", così da incorrere, sulla base di quest'ultimo (incensurato) apprezzamento di fatto, nel denunciato vizio della violazione di legge.
Pertanto, il primo motivo del ricorso merita accoglimento, onde, restando assorbiti tutti gli altri (rispettivamente inerenti, il secondo, ad un ulteriore profilo di illegittimità della disposta assegnazione, il terzo ed il quarto alla "dipendente" questione che involge la determinazione dell'assegno di mantenimento dovuto dal Cerchiara alla moglie, il quinto alla sorte delle spese del doppio grado), la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche ai fini delle spese del giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro, affinché detto giudice provveda a statuire sulla controversia demandata alla sua cognizione facendo applicazione dei principi sopra enunciati.