Cass. civ., sez. I, sentenza 05/12/2003, n. 18629

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L'art. 179 l. fall. non prevede che, prima della dichiarazione di fallimento quale effetto del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per l'approvazione del concordato preventivo, il debitore sia chiamato ad interloquire anche nei riguardi del provvedimento del giudice delegato che di quel mancato raggiungimento dà atto.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 05/12/2003, n. 18629
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18629
Data del deposito : 5 dicembre 2003

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D M R - Presidente -
Dott. P D - rel. Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. C W - Consigliere -
Dott. D P S - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GIVA HOTELS SRL, in persona dal legale rappresentante "pro tempore" elettivamente domiciliato in

ROMA VIA SEBINO

32, presso l'avvocato C D G, che lo rappresenta e difendo, giusta delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
FALLIMENTO GIVA HOTELS SRL, in persona dei curatori "pro tempore" domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato A C, giusta procura a margine del controricorso;



- controricorrente -


avverso la sent. n. 337/00 della Corte d'Appello di L'AQUILA, depositata il 10 ottobre 2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dal 5 giugno 2003 dal Consigliere Dott. D P;

udito per il ricorrente l'Avvocato Di G che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. E A S che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La soc. Gi.Va. Rotolo s.r.l. propose con atto notificato il 31 dicembre 1997 e il 2 gennaio 1998 opposizione alla sentenza, 21 dicembre 1997 del Tribunale di Avezzano che ne aveva dichiarato il fallimento per mancata approvazione della sua proposta di concordato con cessione di beni, a causa del mancato raggiungimento della maggioranza di somma.
La opponente lamentò che il tribunale non l'avesse preventivamente convocata in Camera di Consiglio ed avesse considerato corretta l'ammissione al voto espresso sfavorevolmente dalla Banca di Roma, per il credito di L. 17.566.197.016, fondato su fideiussione in favore della società Cosfer, anch'essa fallita, e documentato da saldaconto ed estratti conto non contestati - che costituivamo, secondo l'assunto della società, mero indizio e non prova del credito - anziché per la somma di L. 2.568.923.894, nonostante la pendenza di un giudizio dinanzi al Tribunale di Roma in cui ora stata proposta querela di falso per la fideiussione di 17 miliardi. Aggiunse la opponente che la convocazione era si avvenuta più volte tra il 20 giugno e il 3 dicembre 1997, ma l'ammissione al voto del credito contestato era stata disposta col provvedimento del giudice delegato del 10 dicembre 1997, mai comunicato, sebbene nelle note difensive depositato fosse stata ancora richiesta la comparizione in Camera di Consiglio.
La curatela resistette alla opposizione, che il tribunale con sentenza 21 ottobre 1999 rigettò. La decisione gravata da appello fu poi confermata dalla Corte di Appello de L'Aquila il 10 ottobre 2000, la quale ha ritenuto che il credito di lire 16 miliardi vantato dalla Banca di Roma nei confronti della società Cosfer, garantito dalla Gi.Va., fosse risultato dagli estratti conto, approvati per mancata contestazione nel termine di legge, e che il giudizio introdotto con querela di falso fosse inefficace nei riguardi dei creditori anteriori alla proposta di concordato, perché priva della autorizzazione del giudice delegato, ai sensi dell'art. 167 L.F. (R.D. n. 267 del 1942). Ha inoltre rilavato la infondatezza dell'assunto che il tribunale non avesse tenuto conto della esatta determinazione dei crediti Inps e Inail, non essendo stati quei crediti contestati con la opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento e comunque essendo irrilevante la eventuale rettifica ai fini della maggioranza dei 2/3, una volta ritenuta esatta la entità del credito della Banca di Roma. Ha escluso qualunque lesione del diritto di difesa, a fronte delle plurime convocazioni in Camera di Consiglio, della mancata contestazione - almeno in un primo momento - della fideiussione e del suo importo, della successiva opposizione alla quantificazione del credito fideiussorio in L. 17.566.137.016, anziché in L. 2.568.923.894;
della ulteriore comparizione del debitore per l'esercizio del diritto di difesa sull'importo del credito, disposto dal giudice delegato dopo avere acquisito i titoli che lo concernevano;
sicché il provvedimento successivo del 9 dicembre 1997, di rigetto delle eccezioni della Gi.Va. e di declaratoria del mancato raggiungimento della maggioranza, era risultato pienamente legittimo, come legittima era stata la pronunzia dal tribunale di dichiarazione del fallimento, non essendo il provvedimento del giudice delegato suscettibile del reclamo endofallimentare ex art. 25 L.F., ma solo la sentenza dichiarativa suscettibile della opposizione ex art. 18 L.F.
Quanto alla dedotta invalidità di tale sentenza, perché resa con la partecipazione di due giudici non imparziali e pertanto ricusati, avendo uno di essi assunto la funzione di giudica delegato nel procedimento di concordato preventivo e l'altro essendo stato relatore in un procedimento di reclamo ex art. 26 L.F. presentato dalla Gi.Va Hotels, la corte territoriale ha rilevato la tardività della ricusazione, perché avvenuta solo in grado di appello, ed ha disatteso la eccezione di incostituzionalità a riguardo degli artt. 51 e 52 c.p.c., per contrasto con gli artt. 3, 24, 101 e 104 Cost.,
alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità e delle pronunzia già intervenute sul punto del giudice delle leggi. Propone ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria, la soc. Gi.Va;
resiste con controricorso il curatore del fallimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunzia il vizio di motivazione della sentenza impugnata e la violazione degli artt. 176 e 179 L.F. Assume che il credito della Banca di Roma non fosse di L. 17.566.197.016, ma di L.

2.568.923.894 e che non rilevasse la approvazione dell'estratto conto, essa non precludendo la impugnazione del documento nei sei mesi per errori di scritturazione o di calcolo, per omissioni o duplicazioni, ne' di contestare la validità o efficacia del rapporto giuridico sostanziale, corrente tra le parti del c/c.
Nega che la dichiarazione di fallimento dovesse conseguire immediatamente all'accertamento del mancato raggiungimento delle maggioranza, in quanto i provvedimenti del giudice delegato in tema di ammissione o esclusione del voto possono essere presi in considerazione e riformati dal Collegio in sede di omologazione. Circa la qualificazione dell'atto di proposizione della querela di falso nel giudizio dinanzi al Tribunale di Roma, che l'aveva giudicato invalido, la ricorrente esclude che essa fosse atto di straordinaria amministrazione e comunque che dovesse l'autorizzazione del giudice essere necessariamente preventiva.
Quanto ai crediti dell'Inps e dell'Inail ammessi in via provvisoria ai fini del voto, deduce la ricorrente l'errore commosso dal tribunale allorché aveva affermato che, quand'anche il credito contestato della Banca di Roma fosse stato escluso, la maggioranza era mancata in considerazione dei crediti Inps e Inail. Osserva poi che il tribunale non aveva tenuto conto della situazione aggiornata depositata dal commissario giudiziale il 2 dicembre 1997, che aveva esposto crediti sensibilmente inferiori, per cui, se la Banca di Roma fosse stata ammessa per L. 2.568.923.824, il concordato sarebbe stato approvato;
e la Corte di Appello aveva omesso l'esame di quel punto.
Con il secondo mezzo si denunzia la mancata audizione del legale rappresentante della società e la violazione dell'art. 15 L.F. e dell'art. 24 Cost. Deduce la ricorrente di avere proposto reclamo ex art. 26 L.F. (e successivamente ricorso per cassazione) avverso il provvedimento di ammissione al voto della banca per lire 17 miliardi circa e rileva che il giudizio si era concluso con sent. 3521/2000 di questa Corte che aveva stabilito che prima della dichiarazione di fallimento il debitore doveva essere convocato in Camera di Consiglio. Ciò malgrado la corte territoriale aveva ritenuto assicurato il diritto di difesa con il deposito di memorie, senza però che esso fosse stato esercitato sul punto del calcolo delle maggioranza. Del provvedimento del giudice delegato del 9 dicembre 1997 si era mancato di dare conoscenza al debitore, che non aveva potuto impugnarlo so non con la opposizione alla sentenza dichiarativa. Con il 3^ motivo si denunzia "la illegittimità costituzionale dei giudici del collegio che hanno partecipato alla sentenza dichiarativa di fallimento, del presidente che era stato giudice delegato e giudice relatore della sentenza di fallimento e del giudice relatore della sentenza di rigetto della opposizione, che era stato componente del collegio in sede di dichiarazione di fallimento e giudice del tribunale che aveva deciso il rigetto del reclamo ex art. 26 L.F. (artt. 51 e 52 c.p.c. in relazione agli artt. 3, 24, 101 e 104 Cost.)" e si richiamano le pronunzie della corte costituzionale in
tema di giusto processo, che comprende la esigenza di imparzialità del giudice, pregiudicata dalla preesistenza di valutazioni che cadono sulla medesima "res iudicanda" e dalla sua partecipazione in una diversa e successiva fase del procedimento.
Rileva ancora la ricorrente che il presidente del collegio che aveva deciso la opposizione a sentenza di fallimento ara stato relatore nel giudizio per la dichiarazione nonché giudice delegato dal concordato preventivo e del fallimento e aveva autorizzato il curatore a nominare il legale per resistere alla opposizione;
e che il relatore della sentenza di opposizione era stato componente del collegio che aveva deciso sulla dichiarazione di fallimento;
situazioni l'una e l'altra giustificative della eccezione di incostituzionalità, sulla quali la corte territoriale non aveva adeguatamente motivato. Infine lamenta la condanna alla spese processuali, per essere stato liquidato con riferimento all'importo dell'attivo e del passivo, in violazione dell'art. 6 della tariffa forense e del D.M. 13 aprile 1985 e successive modificazioni che aveva approvato la deliberazione
del C.N.F. del 3 novembre 1984;
artt. 5, 6, 18 e 118, n. 1, L.F. e degli artt. 10, 12, 14 e 15 c.p.c., anche in relazione all'art. 6 citato, oltre alla omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Rileva che nel giudizio di opposizione al fallimento non è oggetto della domanda la disponibilità o meno del patrimonio da parte del fallito, ma la esistenza dei presupposti, soggettivo e oggettivo, della dichiarazione e nella specie tema controverso era lo stato di insolvenza, accertato ma non quantificato nella sua globale entità. Nessuna della prospettazioni plurime su cui è articolato il primo motivo è fondata.
Quanto alla entità del credito vantato, per il quale la Banca di Roma ara stata ammessa al voto, la deduzione che la approvazione dell'estratto conto non precludesse la sua impugnazione per errori di scritturazione o di calcolo o omissioni e duplicazioni;
e che, comunque, sono consentite contestazioni sulla validità ed efficacia del rapporto sostanziale di conto corrente, è rimasta una mera enunciazione, in linea con quanto dispongono gli artt. 1932 e 1857 c.c. Manca, infatti, la ricorrente di riferire so la contestazione vi sia stata e sia stata tempestiva, per quale delle ipotesi considerate dalla legge, quali siano state le scritturazioni erronee, quali gli errori di calcolo, le omissioni e le duplicazioni e quali le ragioni della nullità della fideiussione.
Peraltro l'art. 176 L.F. consente al giudice delegato del concordato preventivo l'ammissione provvisoria in tutto o in parte dei crediti contestati, ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, sicché non è dato comprendere quale rilevanza concreta possa attribuirsi alla circostanza che quel provvedimento fosse sottoposto al controllo del tribunale in sede di omologazione, ovvero prima della dichiarazione di fallimento, se, comunque, nessuna specifica indicazione è stata offerta a suffragio della generica predetta doglianza, che ha persino mancato di censurare la affermazione della sentenza impugnata che ha tratto argomento ulteriore, per ritenere che il credito della banca fosse quello vantato, dal fatto che era stato ammesso nello stato passivo del fallimento della obbligata principale soc. Cosfer s.r.l.
Coperta dal giudicato interno è, poi, la questione so la querela di falso costituisca atto di amministrazione ordinaria, sì da non richiedere la autorizzazione del giudica delegato ai fini della opponibilità al fallimento ai sensi dell'art. 167 L.F. La corte di appello ha rilevato, con riguardo al primo motivo di impugnazione - secondo cui era mancato il controllo del tribunale, in sede di dichiarazione di fallimento, sulla regolarità delle operazioni di voto, in riferimento alla entità del credito della banca e alla fideiussione della società fallita da cui esso derivava, per la quale ora stato promosso un giudizio di nullità per falsità dell'atto costitutivo della garanzia - che il credito è vero e reale, per quanto prima si è detto, ed ha aggiunto che il tribunale aveva qualificato l'atto di citazione per querela di falso come accedente la ordinaria amministrazione, tanto da risultare inefficace.
Nessuna censura risulta specificamente svolta in grado di appello avverso la statuizione del primo giudice, richiamata dalla Corte di Appello, come la stessa ricorrente riferisce e come espressamente deduce il controricorrente, allo scopo di offrire una completa rassegna degli argomenti dibattuti in primo grado;
sicché la doglianza proposta è inammissibile, risultando tardivamente rivolta alla decisione del tribunale.
Quanto al calcolo dei crediti previdenziali e assicurativi, Inps e Inail, la doglianza è altrettanto infondata, poiché nessuna rilevanza è in grado di produrre la rettifica proposta, a fronte della pacifica circostanza che la entità del credito vantato dalla Banca di Roma, nei termini in cui l'istituto è stato ammesso al voto, è assorbente di ogni questione afferente agli altri creditori. Il secondo mezzo è privo di pregio.
Nel richiamare la sentenza 3521/2000 di questa Corte - che ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso il decreto del tribunale, che aveva, a sua volta, giudicato inammissibile il reclamo ex art. 26 L.F., proposto dalla Gi.Va. Hotels avverso il provvedimento del giudice delegato, di ammissione al voto della Banca di Roma per la somma di oltre 17 miliardi di lire - la ricorrente fa leva sulla affermazione in essa contenuta, secondo cui, in ogni caso, prima della dichiarazione di fallimento il debitore dove essere convocato in Camera di Consiglio, affinché sia accertata la piena attuazione del diritto di difesa.
Tale affermazione, compiuta in termini di enunciazione di un principio generale nella dinamica dei procedimenti concorsuali e delle loro correlazioni, non ha alcuna portata diretta nella fattispecie, in cui la citata sentenza non ha affatto rilevato che il diritto di difesa non sia stato esercitato e in cui, come esposto nella impugnata sentenza, è stato ampiamente consentito al debitore di dedurre in ogni passaggio della procedura.
Rileva, infatti, la Corte territoriale che la Gi.Va. Hotels partecipò alla udienza del 17 settembre 1997, in cui furono convocati i creditori;
e a quella nella quale la Banca di Roma espresso il suo voto per il credito di L. 17.566.137.016 e sul punto manifestò la propria contestazione, deducendo che il credito era invece di importo pari a L.

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