Cass. pen., sez. I, sentenza 06/06/2019, n. 25201
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da BE ON RE, nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 22/01/2018 della Corte di appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Francesco Centofanti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Antonietta Picardi, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito il difensore, avvocato Fabrizio De Sanna, in sostituzione dell'avvocato Carlo Enrico Paliero, che ha chiesto accogliersi il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 23 maggio 2008, pronunciata ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., divenuta irrevocabile, il G.u.p. del Tribunale di Milano applicava ad ON RE BE la pena finale di cinque mesi e venti giorni di reclusione, convertiti a norma di legge nella pena pecuniaria corrispondente, ordinando la confisca delle plusvalenze profitto del reato (pari ad oltre 2.500.000 di euro), in ordine alla fattispecie di concorso in aggiotaggio, commesso anteriormente al 12 maggio 2005, incriminato dall'art. 2637 cod. civ. pro-tempore vigente, così giuridicamente qualificato il fatto di cui al capo B) dell'elevata imputazione. Quest'ultimo consisteva nell'avvenuto compimento di operazioni simulate e altri artifici, concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni ordinarie Antonveneta, tra cui l'acquisto, sul mercato telematico, delle azioni medesime, tramite l'interposizione fittizia di persone fisiche (BE incluso), in favore delle quali venivano aperti e intestati, presso altri istituti (Banca Popolare di Lodi, di seguito B.P.L., e Bipielle Suisse), conti correnti, con abbinati dossier titoli;
su di essi, di fatto, operavano gli istituti stessi (i finanziamenti per l'acquisto dei titoli erano erogati in assenza di istruttoria e di garanzie e con motivazioni difformi da quelle reali), in modo da occultare l'attività di rastrellamento in corso e l'entità della partecipazione (indiretta) di B.P.L. nel capitale di Antonveneta. BE, in particolare, secondo l'imputazione, faceva parte, assieme a numerosi coimputati, del gruppo c.d. dei I», ossia dei soggetti reclutati direttamente dai vertici di B.P.L. (NP RA, CO ON, VA LL) per attuare, con le modalità sopra descritte, la «scalata» ad Antonveneta.
2. Di tale sentenza BE domandava la revisione - ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. a) e c), cod. proc. pen. - dopo che la Corte di appello di Milano, nel giudizio ordinario celebrato a carico dei coimputati suddetti che non avevano optato per riti alternativi (segnatamente, IE, OR, RI DI, AL, NI, NI, ON e AG), aveva pronunciato sentenza di assoluzione, divenuta irrevocabile, per non aver commesso il fatto. Con ordinanza 18 febbraio 2016 la Corte di appello di Brescia dichiarava inammissibile, de plano, la richiesta di revisione, ma la Corte di cassazione, Quinta sezione penale, con sentenza 51274 del 2016 annullava con rinvio tale pronuncia. Osservava la Corte Suprema che la declaratoria di manifesta infondatezza della richiesta stessa, con riferimento al dedotto contrasto di giudicati (art. 630, comma 1, lett. a), era ineccepibile, perché basata sulla rilevazione di un dato di percezione immediata (l'impossibilità di apprezzare l'esistenza di un medesimo fatto storico, accertato in maniera opposta, dal momento che le assoluzioni in questione scaturivano da una valutazione d'insufficienza indiziaria riferita ai singoli apporti dei diversi concorrenti);
viceversa, la pronuncia era censurabile nel resto, perché l'apprezzamento di inattendibilità e irrilevanza delle prove, indicate come nuove (ex art. 630, comma 1, lett. c), non poteva nella specie essere ricondotto ad una delibazione sommaria, e costituiva un'anticipazione della valutazione di merito, da effettuare in contraddittorio.
3. Nel conseguente giudizio di rinvio, celebrato nelle forme di cui all'art. 636 cod. proc. pen., la designata Corte di appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe indicata, ribadiva l'inammissibilità della richiesta di revisione. Premesso che il tema devoluto al giudice di rinvio doveva ritenersi circoscritto al secondo profilo (la sopravvenienza o scoperta di prove nuove), lo stesso giudice poneva a base della sua valutazione l'assunto per cui, se oggetto della revisione è una sentenza di patteggiamento, l'elemento di novità deve essere apprezzato alla stregua della regola di giudizio di cui all'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., e può portare all'accoglimento solo se esso è autonomamente in grado di sostenere una ricostruzione del fatto radicalmente alternativa, tale da rendere «evidente» l'innocenza dell'imputato. Alla luce di tale criterio, la Corte veneziana richiamava anzitutto la circostanza che l'assoluzione era stata decretata in appello in riforma della pronuncia di condanna adottata in primo grado, e già tale sviluppo processuale dimostrava «plasticamente» come non si dessero in udienza preliminare le condizioni di un proscioglimento ictu ocu/i rilevabile. Ciò a maggior ragione in quanto le dichiarazioni dei testimoni, escussi nel dibattimento celebrato a carico dei coimputati, addotte come prova nuova, consistevano in apprezzamenti meramente valutativi e soggettivi (così quanto alla deposizione ZA, ispettrice della Banca d'Italia) o provenivano da coimputati, quali RA e ON, aventi manifestamente interesse a negare l'esistenza di accordi segreti con gli altri partecipanti all'operazione finanziaria illecita;
mentre la consulenza di parte, a firma IN, nemmeno tecnicamente qualificabile come prova, non aveva neppure smentito la realtà storica delle condotte poste in essere dai I», ma si era limitata a darne una lettura confutativa della tesi accusatoria, sotto il profilo dei vantaggi economici che da tali condotte sarebbero derivati ai loro autori.
4. Avverso la citata sentenza BE propone, con il ministero del suo difensore, ricorso per cassazione, articolato in due motivi.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. - vizio della motivazione in relazione al denegato esame del profilo di revisione riconducibile all'art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. La Corte veneziana, sul punto, sviluppato in sede di giudizio mediante apposita memoria, non avrebbe speso argomento, trincerandosi dietro una preclusione in realtà inesistente, in quanto la sentenza rescindente di legittimità sarebbe stata di annullamento totale dell'originaria ordinanza di inammissibilità della richiesta di revisione ed essendo sempre possibile, a norma dell'art. 641 cod. proc. pen., presentare