Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 12/04/2005, n. 7453

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In tema di licenziamento individuale, il compenso per lavoro subordinato o autonomo - che il lavoratore percepisca durante il periodo intercorrente tra il proprio licenziamento e la sentenza di annullamento relativa (cosiddetto periodo intermedio) - non comporta la riduzione corrispondente (sia pure limitatamente alla parte che eccede le cinque mensilità di retribuzione globale) del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, se - e nei limiti in cui - quel lavoro risulti, comunque, compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento (come nel caso, ricorrente nella specie, in cui il lavoro medesimo sia svolto, prima del licenziamento, congiuntamente alla prestazione che ne risulta sospesa).

In tema di mansioni diverse da quelle dell'assunzione, la equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti - che legittima lo "jus variandi" del datore di lavoro, a norma della disciplina legale in materia (art. 2103 cod. civ., come sostituito dall'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300) - deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o, addirittura, l'arricchimento del patrimonio professionale dal lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto. (Nella specie la Corte Cass. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto giustificato il rifiuto della lavoratrice - medico con qualifica di assistente e con mansioni internistiche - cardiologiche - di prestare turni di guardia, che venivano svolti solo dal personale con specifica competenza in ordine alle malattie di carattere psichiatrico, per le quali in genere avvenivano i ricoveri presso la casa di cura, mentre la lavoratrice era l'unico medico dipendente del servizio di medicina interna di tutti i reparti neuropsichiatrici, effettuando oltre a diagnosi e terapie internistiche, tutti gli interventi ritenuti necessari o sollecitati dal personale medico-psichiatrico; sicchè, le mansioni rifiutate non erano equivalenti rispetto a quelle precedentemente svolte, in quanto non consentivano la piena utilizzazione nè, tantomeno, l'arricchimento del patrimonio professionale della stessa lavoratrice sulle problematiche internistiche.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 12/04/2005, n. 7453
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 7453
Data del deposito : 12 aprile 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M E - Presidente -
Dott. D L M - rel. Consigliere -
Dott. V L - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. V G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CENTRO CLINICO COLLE CESARANO S.P.A., in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA ANAPO

29, presso lo studio dell'avvocato M G, rappresentato e difeso dagli avvocati B C, G INNOCENTI, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
DELOGU GIOVANNA MARIA;

- intimata -
e sul 2^ ricorso n. 23046/02 proposto da:
DELOGO GIOVANNA MARIA, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA GIUSEPPE FERRARI

2, presso lo studio dell'avvocato G A, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
CENTRO CLINICO COLLE CESARANO S.P.A., in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA ANAPO

29, presso lo studio dell'avvocato M G, rappresentato e difeso dagli avvocati C B, G INNOCENTI, giusta delega in atti;

- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 1523/02 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 11/06/02 R.G.N. 3540/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/01/05 dal Consigliere Dott. Michele DE LUCA;

udito l'Avvocato ANTONINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO

Riccardo che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi, SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza ora denunciata, la Corte d'appello di Roma - in riforma della sentenza del Pretore della stessa sede in data 2 marzo 2000, appellata dal Centro clinico Colle Cesarano s.p.a. - rigettava la domanda proposta da G M D contro la stessa società, della quale era stata dipendente "con qualifica di assistente e mansioni internistiche-cardiologiche" - per ottenere l'inquadramento nella superiore qualifica di aiuto e pronunce consequenziali - mentre confermava la sentenza appellata - nella parte in cui aveva dichiarato illegittimo, con ogni conseguenza, il licenziamento intimato alla D dalla società datrice di lavoro - essenzialmente in base ai rilievi seguenti:
- "il medico aiuto, alla stregua del regolamento sanitario interno (...), collabora direttamente col primario nell'espletamento dei compiti a questo attribuiti, ha la responsabilità degli ammalati affidatigli e risponde del suo operato al primario, che sostituisce in caso di assenza o impedimento e nei casi di urgenza";

- stando alla sua stessa "prospettazione " - confermata dalle prove testimoniali - la D "lavorava in assoluta autonomia, in quanto era l'unico medico dipendente del servizio di medicina interna di tutti e tre reparti neuropsichiatrici (...)", effettuando, "oltre a diagnosi e terapie internistiche, (...) tutti gli interventi ritenuti necessari o sollecitati dal personale medico-psichiatrico, occupandosi (...) soltanto di tutte le problematiche internistiche - "nel caso in esame, manca - pacificamente - quel rapporto di collaborazione diretta tra primario ed aiuto, poiché la D, secondo la sua stessa tesi, agiva in autonomia - beninteso nell'ambito delle sue mansioni, che sicuramente non erano di collaborazione (o a livello) col primario - ed era direttamente responsabile delle sue iniziative";

- "manca, altresì, l'affidamento degli ammalati, i quali erano affidati ai reparti psichiatrici e che venivano seguiti dalla D solo per quanto riguarda gli ulteriori accertamenti di carattere medico";

- va confermata, invece, al declaratoria di illegittimità dell'impugnato licenziamento;

- "infatti è pacifico che la D, per ben diciassette anni, non svolse i turni di guardia ed osservò il medesimo orario e le medesime mansioni, (mentre), peraltro, i turni di guardia venivano svolti solo dal personale, che aveva specifica competenza in ordine alle malattie di carattere psichiatrico, perle quali in genere avvenivano i ricoveri presso la casa di cure appellante";

- "la decisione della Casa di cura - dopo ben diciassette anni, nei quali il rapporto aveva trovato una stabile e consensuale strutturazione - di mutare l'orario di lavoro, senza neppure indicare in che giorni e in che orari la D avrebbe dovuto recuperare le ore supplementari svolte nei giorni di guardia, costituisce in effetti una unilaterale mutazione delle condizioni essenziali del contratto, impossibile senza il consenso del lavoratore";

- "non avendo la D mai svolto turni di guardia (peraltro notoriamente incompatibili con la sua attività presso la USL, ben conosciuta dalla datrice di lavoro), essendo i detti turni, per il tipo di attività richiesta, del tutto estranei alle mansioni svolte da sempre per la società appellante, la decisione datoriale (...) appare come una violazione dei principi di correttezza e buona fede e, conseguentemente, la decisione della D di non rispettare l'unilaterale decisione di controparte non è - di certo - sanzionabile con l'espulsione dal posto di lavoro";

- inoltre "la D non ha, in nessun modo, messo in essere comportamenti di insubordinazione o rifiuto della disciplina aziendale, posto che la Casa di cura non ha mai neppure comunicato il nuovo orario di lavoro nel rispetto dei limiti di orario contrattuale";

- peraltro i compensi, per il lavoro prestato presso la USL, non vanno detratti - quale aliunde perceptum - dal risarcimento del danno da licenziamento illegittimo - spettante alla D - in quanto quel lavoro ed i relativi compensi è stato, da sempre, cumulato con il lavoro, in favore della Casa di cura, e con le retribuzioni relative, alle quali va commisurato il risarcimento.
Avverso la sentenza d'appello, il Centro clinico Colle Cesarano s.p.a. propone ricorso per Cassazione affidato a due motivi. L'intimata G M D resiste con controricorso e propone, contestualmente, ricorso incidentale - affidato ad un motivo - al quale resiste, con controricorso, il ricorrente principale. MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Preliminarmente, va disposta la riunione del ricorso incidentale a quello principale, perché proposti separatamente contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

2.1. Con il primo motivo del ricorso principale - denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 41 cost., 2103 c.c., 3 legge 15 luglio 1966, n. 604), nonché vizio di
motivazione (art. 360, n. 3 e 5, c.p.c.) - il Centro clinico Colle Cesarano s.p.a. censura la sentenza impugnata - per avere "ritenuto legittimo il rifiuto operato dalla dottoressa D di prestare la sua attività secondo i turni predisposti dalla Casa di cura Centro clinico Colle Cesarano e, per converso, illegittimo il licenziamento adottato dal datore di lavoro in conseguenza dello specifico inadempimento contestato al lavoratore" - sotto profili diversi:
- "la Corte d'appello non ha indicato quali siano le fonti del suo convincimento" - secondo cui "la D non poteva svolgere i turni di guardia in quanto incompatibili con l'attività prestata alle dipendenze della USL, ben conosciuta dalla datrice di lavoro" - sebbene la stessa circostanza fosse stata appresa dalla Casa di cura, solo dopo il licenziamento, ed integrasse una "ipotesi di incompatibilità", che era stata negata dalla lavoratrice - nella propria "dichiarazione di responsabilità" - "mettendo a repentaglio l'esistenza stessa della Casa di cura (cfr. legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 74, comma 7)",
- la circostanza che la D "per diciassette anni non aveva svolto turni di guardia" non incide sul "diritto del datore di lavoro di organizzare le risorse umane di cui dispone, costituzionalmente garantito dall'articolo 41 della costituzione" e, peraltro, la Corte d'appello non chiarisce "le ragioni per le quali si possa affermare l'intercorrenza di un accordo tra le parti, nel senso che la D non avrebbe dovuto mai svolgere attività in turni di guardia", nonostante le specifiche contestazioni - sul punto - dell'attuale ricorrente principale, nel proprio atto d'appello;

- "la Corte d'appello non spiega quali siano i passaggi logici che l'hanno condotta ad affermare" - nonostante le specifiche contestazioni dell'attuale ricorrente principale, nel proprio atto d'appello, e le contrarie risultanza della deposizione del Direttore sanitario dottore Adolfo Petiziol - che "i turni di guardia postulavano l'espletamento di attività medica del tutto estranea alle mansioni svolte da sempre dalla D (assistente medico con mansioni internistiche-cardiologiche) e gli stessi erano svolti solo da personale che aveva una specifica competenza in ordine alle malattie di carattere psichiatrico";

- secondo l'assunto della stessa lavoratrice, i turni di guardia non erano da considerare "come ore supplementari rispetto alle prestazioni ordinarie" e, peraltro, "se l'attività di guardia doveva essere svolta secondo turni, erano questi e solo questi a stabilire l'orario delle prestazioni".
Il primo motivo del ricorso principale non è fondato. 2.2. È ben vero, infatti, che l'adibizione del lavoratore subordinato a mansioni diverse dalle ultime effettivamente svolte può essere disposta dal datore di lavoro (anche) unilateralmente, nell'esercizio dello ius variandi, ed incontra - secondo la disciplina legale in materia (art. 2103 c.c., come sostituito dalla legge 20 maggio 1970. n. 300. c.d. Statuto dei lavoratori) - soltanto il limite invalicabile della equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti (vedi infra).
Ciò non esclude, tuttavia, che il contratto individuale di lavoro - derogando in melius, per il lavoratore, la disciplina legale prospettata - possa introdurre limiti ulteriori allo ius variandi del datore di lavoro (vedi, per tutte la sentenza n. 3134/94 delle sezioni unite, n. 16171/2004, 11607, 7200/2002, 4773/2001, 9784/2000, 13212, 10998/99, 9663/98, 900, 6176/96, 2591/89, 7142/87, 6417/86 della sezione lavoro di questa Corte, sulla derogabilità in melius, per il lavoratore, della legge e della contrattazione collettiva, mediante contratto individuale di lavoro, al quale vanno ricondotti gli usi aziendali).
È, proprio, quello che - secondo la sentenza impugnata - si è verificato nella dedotta fattispecie.
Infatti ne risulta accertato - motivatamente, per quanto si dirà (vedi infra) -che il dedotto rapporto di lavoro "aveva trovato una stabile e consensuale strutturazione" - sia pure per fatti concludenti - e, proprio perciò, l'adibizione della lavoratrice a "turni di guardia" risulta configurata - coerentemente - come "unilaterale mutazione delle condizioni essenziali del contratto, impossibile senza il consenso del lavoratore".
Tanto basta per ritenere giustificato il rifiuto di prestare "turni di guardia" - addotto a motivazione del licenziamento - della stessa lavoratrice.
A sostegno della medesima conclusione, tuttavia, concorre una motivazione ulteriore, autonomamente idonea a sorreggerla.

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