Cass. civ., SS.UU., sentenza 21/07/2004, n. 13602

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Massime8

Nella disciplina del codice di rito penale del 1930, che continua ad applicarsi nei giudizi disciplinari nei confronti dei magistrati (art. 1, comma ottavo, del decreto - legge 28 agosto 1995, n. 361, convertito dalla legge 27 ottobre 1995, n. 437), i soggetti tenuti al segreto sono titolari di una semplice facoltà di astensione, essendo fatto divieto al giudice di obbligare il teste a deporre (art. 351 cod. proc. pen. 1930), e non di un dovere di astensione; ne consegue che i fatti coperti dal segreto (in esso compreso quello della camera di consiglio) possono costituire oggetto di testimonianza nel procedimento disciplinare, purché i soggetti legittimati ad astenersi non siano stati costretti dal giudice disciplinare a deporre. (Nella specie, i magistrati sentiti come testi avevano deposto spontaneamente, dopo aver assunto l'iniziativa di presentare un esposto contro il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare).

L'adozione della misura cautelare della sospensione di un magistrato ai sensi dell'art. 30 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, non concretando l'irrogazione di una sanzione disciplinare, non richiede un approfondito accertamento in ordine alla sussistenza degli addebiti (riservato al giudizio di merito sull'illecito disciplinare), ma presuppone esclusivamente una valutazione della rilevanza dei fatti contestati, astrattamente considerati, con la delibazione della possibile sussistenza degli stessi.

In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, il termine posto per la deduzione della nullità prevista dall'art. 59, ottavo comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 allorché gli atti istruttori non siano stati preceduti dalla comunicazione all'incolpato, si riferisce al decreto di fissazione della discussione per la decisione di merito sull'azione disciplinare, e non al decreto di fissazione dell'udienza camerale per la decisione sulla richiesta di misura cautelare.

In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrato, ai fini dell'effettuazione della contestazione all'incolpato, richiesta dall'art. 59, ottavo comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, è irrilevante che il fatto addebitato sia indicato, nella sua completezza, anziché nella richiesta della misura cautelare, in un atto allegato alla stessa e consegnato contestualmente all'incolpato.

L'azione disciplinare contro i magistrati è esercitata con la richiesta del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione al Consiglio Superiore della Magistratura di istruzione formale ovvero (come nella specie) con la comunicazione dello stesso Procuratore Generale al Consiglio Superiore che egli procede con istruzione sommaria: è pertanto da escludere che l'inizio dell'azione disciplinare presupponga la comunicazione all'incolpato e si perfezioni con essa.

Il regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 prevede due tipi di sospensione cautelare del magistrato dalle funzioni e dallo stipendio: la sospensione correlata ad un procedimento disciplinare contro il magistrato (art. 30) e la sospensione del magistrato sottoposto a procedimento penale (art. 31). I due provvedimenti, pur producendo identici effetti, operano su piani diversi e per esigenze differenziate, in funzione cautelare rispetto al possibile esito del procedimento disciplinare e del procedimento penale, onde i procedimenti per l'applicazione dei due tipi di sospensione cautelare possono pendere contemporaneamente. (Enunciando il principio di cui in massima, le S.U., rigettando il motivo di censura che prospettava la violazione del principio del "ne bis in idem" cautelare, ha ritenuto irrilevante che il procedimento di applicazione della misura cautelare prevista dall'art. 30 del citato D.Lgs. fosse stato instaurato quando ancora non era divenuta definitiva la decisione della Sezione disciplinare del CSM di inammissibilità di una richiesta di sospensione cautelare "ex" art. 31 dello stesso testo normativo).

In sede di giudizio di legittimità, qualora la Corte di Cassazione, riscontrata la nullità della notifica del ricorso, ne abbia disposto la rinnovazione "ex" art. 291 cod. proc. civ., il termine perentorio entro cui deve avvenire il deposito del ricorso nuovamente notificato alla parte è non già quello, previsto dall'art. 369 cod. proc. civ., di venti giorni dalla notificazione del ricorso, bensì quello di venti giorni dalla scadenza del termine assegnato dal giudice per la rinnovazione, secondo la previsione dell'art. 371 - bis cod. proc. civ.

Nel giudizio di legittimità, l'art. 371 - bis cod. proc. civ., là dove impone, a pena di improcedibilità, che il ricorso notificato sia depositato in cancelleria entro un termine perentorio (di venti giorni dalla scadenza del termine assegnato), si riferisce non solo all'ipotesi in cui la Corte di cassazione abbia disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario a cui il ricorso non sia stato in precedenza notificato (per inesistenza materiale o giuridica della notifica stessa), ma deve essere, con interpretazione estensiva, riferito anche all'ipotesi in cui la Corte di cassazione abbia disposto, "ex" art. 291 cod. proc. civ., il rinnovo della notificazione del ricorso nei confronti di una parte che sia stata intimata dal ricorrente (e che non si sia costituita nel giudizio di cassazione), ma attraverso una notifica del ricorso affetta da nullità.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 21/07/2004, n. 13602
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13602
Data del deposito : 21 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente f.f. -
Dott. O G - Presidente di sezione -
Dott. P G - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. L E - rel. Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. L M G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME1, elettivamente domiciliato in LOCALITA1, VIA V. 33, presso lo studio dell'avvocato NOME2, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME2, NOME3,
giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

- intimati -

nonché
a seguito di ordinanza dibattimentale di integrazione del contraddittorio in data 11 dicembre 2003;

contro
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

- intimato -

avverso l'ordinanza n. 24/03 del Consiglio superiore magistratura - sezione disciplinare, depositata il 12/06/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/04/04 dal Consigliere Dott. NOME4;

udito gli Avvocati NOME2, NOME3;

udito il p.m. in persona dell'avvocato Generale Dott. NOME5 che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 12 novembre 2002 il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione comunicava al Ministro della giustizia, ai sensi del quarto comma dell'art. 59 del D.P.R. 16 settembre 1958 n. 916, che intendeva promuovere l'azione disciplinare nei confronti del Dott. NOME1, per avere questi, "abusando del proprio ruolo di relatore e presidente del collegio del Tribunale del riesame di LOCALITA1 - che, all'udienza del 28 giugno 2002, si era riservata la decisione su numerosi ricorsi in materia di misura cautelare personale - depositato - a scioglimento della riserva - il successivo giorno 29, dispositivo di ordinanza con cui veniva disposta la revoca della misura coercitiva a carico di NOME6- contrariamente a quanto deliberato in Camera di consiglio - nonché di altri ricorrenti, la cui posizione non era stata delibata dai componenti del collegio. Con i precisati falsi ideologici il Dott. NOME1 ha tenuto condotta gravemente riprovevole, illegittima e lesiva del prestigio dell'ordine giudiziario (art. 18 R.D.L. 31 maggio 1946 n. 511)". Il 27 novembre 2002 il Procuratore generale comunicava al C.S.M., a norma del terzo comma dell'art. 59 del D.P.R. n. 916/1958, che procedeva in sede disciplinare contro il Dott. NOME1, allegando alla missiva la lettera del 12 novembre 2002 diretta al Ministro. Il 10 dicembre 2002 il Procuratore generale chiedeva alla Sezione disciplinare del C.S.M. la sospensione provvisoria del Dott. NOME1 dalle funzioni e dallo stipendio, in relazione al procedimento disciplinare "come da documentazione che si allega". Tale documentazione comprendeva, oltre alle due comunicazioni che sono state in precedenza indicate: a) un esposto diretto al presidente del Tribunale di LOCALITA1 delle Dott.sse NOME7e NOME8(componenti del collegio del Tribunale del riesame presieduto dal Dott. NOME1);
b) il provvedimento del Tribunale del riesame di LOCALITA1 del 28 giugno 2002, con annotazione di deposito del dispositivo in data 29 giugno 2002;

c) la fotocopia di pagina de 11 Quotidiano del 30 giugno 2002;
d) il resoconto della seduta della I Commissione referente del C.S.M. del 22 luglio 2002 contenente le dichiarazioni rese dalle Dott.sse NOME7 e NOME8.
Il 19 dicembre 2002 era notificato al Dott. NOME1, a mezzo di consegna a mani operata dal presidente del Tribunale di LOCALITA1, decreto del presidente della Sezione disciplinare dell'11 dicembre 2002 di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di sospensione provvisoria ai sensi dell'art. 30 dell'ordinamento giudiziario (recte: del R.D.Lgs. 31 maggio 1946 n. 511). Il Dott. NOME1, come da sua dichiarazione in sede di notifica, riceveva un plico composto di "n. 42 fogli dattiloscritti solo recto", corrispondenti alla documentazione qui già indicata. All'udienza del 21 febbraio 2003 la Sezione disciplinare del C.S.M. ha accolto la richiesta del Procuratore generale, disponendo la sospensione provvisoria del Dott. NOME1 dalle funzioni e dallo stipendio.
L'ordinanza della Sezione disciplinare ha, innanzitutto, ritenuto infondate le eccezioni processuali sollevate dall'incolpato, affermando che: a) la richiesta di sospensione non era resa inammissibile dalla pendenza di altro procedimento instaurato dal Procuratore generale per la sospensione del Dott. NOME1 in quanto sottoposto a procedimento penale (art. 31 del R.D.Lgs. n. 511/1946), sospensione, quest'ultima, dichiarata inammissibile dal C.S.M. con ordinanza del 16 ottobre 2002, depositata il 21 febbraio 2003;
b) sussisteva il presupposto della richiesta di sospensione costituito dal previo o contestuale esercizio dell'azione disciplinare, il cui inizio era stato ritualmente notificato all'incolpato il 19 dicembre 2002;
c) le eccepite nullità previste dall'ottavo comma dell'art. 59 del D.P.R. n. 916/1958 non potevano essere rilevate, essendosi
verificata la causa di decadenza prevista nell'ultima parte di detto comma;
d) non sussisteva la inutilizzabilità probatoria della denuncia presentata dalle Dott.sse NOME7e NOME8 e delle successive dichiarazioni rese dalle stesse alla 1^ Commissione del C.S.M., inutilizzabilità invocata dall'incolpato in relazione al segreto della Camera di consiglio di un collegio giudicante. La Sezione disciplinare ha, poi, nel merito, ritenuto sussistenti sia il fumus boni juris circa la fondatezza della responsabilità disciplinare del Dott. NOME1, sia il periculum giustificativo della sospensione cautelare.
Avverso l'ordinanza della Sezione disciplinare del C.S.M. il Dott. NOME1 ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo sette motivi.
Nell'udienza dell'11 dicembre 2003 questa Corte ha disposto il rinnovo della notifica del ricorso al Ministro della giustizia - inizialmente effettuata presso il Ministero - presso l'Avvocatura generale dello Stato, entro il termine dei 60 giorni successivi. Il rinnovo rituale della notifica è avvenuto il 23 dicembre 2003, e la copia del ricorso notificato è stata depositata in cancelleria il 15 gennaio 2004. Altra notifica del ricorso presso l'Avvocatura dello Stato è stata effettuata dal ricorrente il 21 gennaio 2004, nell'eventualità che il deposito seguito al primo rinnovo sia considerato tardivo. A tale seconda notifica ha fatto seguito, il 30 gennaio 2004, un nuovo deposito del ricorso notificato il 21 gennaio 2004, accompagnato da un ampio scritto del ricorrente diretto a sostenere la procedibilità del ricorso, in relazione alle attività dallo stesso compiute dopo l'ordinanza della Corte dell'11 dicembre 2003. MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Va, anzitutto, affermata la procedibilità del ricorso per Cassazione del Dott. NOME1, poiché la sua notifica al Ministro della giustizia è stata correttamente rinnovata presso l'Avvocatura generale dello Stato il 23 dicembre 2003, entro il termine di sessanta giorni concesso al ricorrente con ordinanza di questa Corte emanata nell'udienza pubblica dell'11 dicembre 2003 (in presenza della parte onerata), ed il ricorso notificato è stato depositato nella cancelleria della Corte il 15 gennaio 2004, e quindi ampiamente entro il termine previsto, a pena di improcedibilità, dall'art. 371- bis c.p.c. (venti giorni dalla scadenza del termine assegnato alla
parte per la notifica del ricorso).
Tale decisione presuppone l'applicazione nella presente fattispecie dell'art. 371-bis c.p.c., la quale richiede una giustificazione argomentativa, tenuto conto che la questione qui decisa non risulta essersi in precedenza posta a queste Sezioni unite.
La disposizione dell'art. 371-bis c.p.c., introdotta nel codice di rito dall'art. 62 della legge 26 novembre 1990 n. 353, impone e disciplina il deposito dell'atto di integrazione del contraddittorio. Essa si collega all'art. 331 c.p.c. che, con nonna generale sulle impugnazioni, prevede l'integrazione del contraddittorio quando è impugnata una sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti.
L'applicazione dell'art. 371-bis, quindi, presuppone che il ricorso per Cassazione non sia stato inizialmente notificato ad una parte processuale che ha la posizione di un litisconsorte necessario rispetto al giudizio di Cassazione instaurato dal ricorrente. Da questa situazione va distinta quella in cui una parte sia stata intimata dal ricorrente per Cassazione, ma attraverso una notifica del ricorso viziata da nullità. In tal caso, secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, la Corte dispone il rinnovo della notifica, facendo applicazione dell'art. 291 c.p.c. che consente, con efficacia sanante ex tutte, di ordinare la rinnovazione della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio ove la notifica stessa, per la presenza di un certo collegamento tra il destinatario dell'atto ed il luogo o la persona presso cui è stata irregolarmente effettuata, sia affetta da un vizio che ne comporti la nullità, e non la giuridica inesistenza. Il citato art. 291 concerne il giudizio di primo grado, mentre non vi è analoga norma per i giudizi di impugnazione, ma non viene posta in dubbio la sua applicabilità anche a questi ultimi, e quindi anche al ricorso per Cassazione (così, esplicitamente Cass. 27 ottobre 1978 n. 4905 e, per la pacifica prassi in tal senso, v., tra le tante, Cass. 15 maggio 1998 n. 4910;
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ghigno 1997 n. 5575;
13 novembre 1991 n. 12112;
28 agosto 1990 n. 8859
, quest'ultima con riferimento ad una notifica del ricorso per Cassazione nulla perché effettuata all'avvocatura distrettuale, anziché all'avvocatura generale, dello Stato). La distinzione tra le due situazioni si percepisce nettamente nel processo tra due sole parti, in cui l'art. 371-bis c.p.c. non può trovare applicazione. Ma essa sussiste anche nel processo con pluralità di parti (per una ipotesi di applicazione dell'art. 291 c.p.c. anche rispetto all'atto di integrazione è

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