Cass. pen., sez. I, sentenza 18/03/2021, n. 10599
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PUCA PASQUALE nato a SANT'ANTIMO il 09/07/1964 avverso l'ordinanza del 09/06/2020 del TRIB. SORVEGLIANZA di TRIESTEudita la relazione svolta dal Consiglxiew GIUgPPE SANTAL IA;lette743errete le coclusion el PG - d`Q Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di sorveglianza di Trieste ha rigettato l'appello di P P contro l'ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Udine del 18 dicembre 2019, di proroga della misura di sicurezza della Casa di lavoro per un anno. P P è in atto internato in Casa di lavoro in regime di cui all'art. 41-bis ord. pen., con termine finale di esecuzione al 6 gennaio 2021. L'ordinanza del Magistrato di sorveglianza ha ritenuto la persistenza della pericolosità attuale e ha così ulteriormente prorogato la misura di sicurezza, inizialmente disposta, per due anni, dal Magistrato di sorveglianza dell'Aquila che aveva dichiarato la delinquenza abituale. 1.1. Il Tribunale ha dato risposta ai numerosi motivi di impugnazione e ha così argomentato. Il provvedimento di applicazione della misura di sicurezza, adottato dal Magistrato di sorveglianza dell'Aquila del 12 giugno 2014 è stato adeguatamente motivato. Questi valutò i dati di novità, costituiti dalla irrevocabilità di alcune condanne e dalle conferme di misure di prevenzione, intervenute dopo la diversa e precedente decisione del Magistrato di sorveglianza di Modena del 5 settembre 2000. - La misura di sicurezza disposta il 12 giugno 2014 fu messa in esecuzione allo scadere dell'efficacia delle ordinanze cautelari esistenti al momento della sua emissione, fino al 5 gennaio 2017. La procedura di riesame della pericolosità fu pertanto rinnovata una volta che fu messa in esecuzione, con ricorso difensivo del 7 febbraio 2018. - L'applicazione della misura cautelare custodiale, anche nella forma degli arresti domiciliari, non comporta la sospensione dell'esecuzione di una misura di sicurezza detentiva, come affermato anche dalla Corte di cassazione non la sentenza n. 37034 del 27 maggio 2019. - Il Magistrato di sorveglianza ha fondato il giudizio di attualità della pericolosità sociale su informazioni ricavate dal decreto ministeriale di applicazione del regime di cui all'art. 41-bis ord. pen., che riporta colloqui con i familiari del 2016. L'audizione di tali colloqui fu autorizzata dal Magistrato di sorveglianza che, pur senza la precisazione relativa alla video registrazione, ha richiamato la norma che prevede audizione e registrazione e che i colloqui siano comunque sempre videoregistrati. La questione, dell'utilizzazione di videoregistrazioni non autorizzate, è stata ritenuta infondata anche dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 48297 del 2018, di rigetto della impugnazione di P P contro la decisione del Tribunale di sorveglianza di ,Roma che aveva rigettato il reclamo contro il decreto applicativo del regime di cui all'art. 41-bis ord. pen. Non si è verificata alcuna nullità in conseguenza del fatto che furono utilizzati nel procedimento dinnanzi al Magistrato di sorveglianza atti acquisiti d'ufficio nei cinque gironi precedenti l'udienza, perché le parti ebbero lo stesso termine per esaminarli e detti atti furono messi a disposizione delle parti. La difesa ebbe comunque modo di illustrare le proprie ragioni e non è stato specificato qual tipo di pregiudizio in concreto sia derivato dal termine ad horas concesso. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di P P che ha articolato più motivi. 2.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge. P P, al momento della pronuncia del Tribunale, era stato già trasferito nella Casa circondariale di Spoleto, in seguito al ripristino della custodia cautelare in carcere. Il Tribunale avrebbe pertanto dovuto pronunciare ordinanza di non luogo a provvedere dovendo ritenersi, all'atto della deliberazione, cessata la misura di sicurezza in ragione di quanto affermato da Cass, sez. I, n. 37034 del 27 maggio 2019. Con detta sentenza la Corte di cassazione ha chiarito che P P non poteva più ritenersi sottoposto a misura di sicurezza perché nel frattempo era stata eseguita una misura cautelare carceraria. Se, pertanto, la misura di sicurezza era cessata, è ovvio che non potesse essere prorogata. 2.2. Con il secondo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge per errata applicazione degli articoli 649 e 669 cod. proc. pen. Il Tribunale ha errato per aver omesso di rilevare la violazione del principio del ne bis in idem, dal momento che i presunti elementi di novità valutati dal Magistrato di sorveglianza dell'Aquila, che applicò la misura di sicurezza a seguito della dichiarazione di abitualità nel delitto, furono presi in esame dal Magistrato di sorveglianza di Modena che dichiarò la cessazione della pericolosità sociale. • 2.3. Con il terzo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione dal momento che alla dichiarazione di abitualità e alla conseguente imposizione della misura di sicurezza della Casa di lavoro non fu fatta seguasire l'esecuzione della misura di sicurezza, ritenendo illegittimamente che dovesse rimanere sospesa perché era in esecuzione una misura cautelare carceraria. La misura di sicurezza, di fatto, non fu applicata e P P fu poi trasferito a Tolmezzo a gennaio del 2017 in forza di un provvedimento applicativo della misura di sicurezza rimasto non eseguito, anzi di fatto caducato. Ciò in palese violazione dell'art. 95 disp. att. cod. proc. pen., per il quale il mancato trasferimento nella Casa di lavoro equivale a ritener cessata la misura di sicurezza.
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