Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 04/06/2004, n. 10669

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L'elencazione contenuta nella tabella approvata con regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657, delle occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia, alle quali non si applica la limitazione di orario di otto ore giornaliere, stabilita dall'art. 1 del regio decreto 15 marzo 1923, n. 692, ha carattere tassativo. Ne consegue che non è consentito includervi, per effetto di interpretazioni analogiche, altre mansioni, diverse da quelle contemplate, neppure nel caso in cui tali diverse mansioni siano svolte dallo stesso soggetto in concorso con mansioni comprese nell'elenco e prevalenti su quelle da esso non considerate, giacché, nel caso di mansioni plurime esercitate da una stessa persona, la prevalenza di una mansione sull'altra, benché assuma rilevanza per l'inquadramento del lavoratore in una determinata qualifica, sia pure pattiziamente riconosciuta, non incide invece sul carattere continuo o meno delle mansioni espletate dal medesimo lavoratore.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 04/06/2004, n. 10669
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10669
Data del deposito : 4 giugno 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S G - Presidente -
Dott. D L M - Consigliere -
Dott. C P - Consigliere -
Dott. M F A - Consigliere -
Dott. P P - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
I.M.E.L. - Industria Meridionale Elettromeccanica - S.R.L. in liquidazione, in persona del liquidatore M L, elettivamente domiciliata in Roma, Via Caio Mario, n. 14/A, presso l'avv. G A, difesa dall'avv. P P con procura speciale apposta in calce al ricorso;



- ricorrente -


contro
F A;



- intimato -


per la cassazione della sentenza del Tribunale di Catania n. 4182 in data 27 novembre 2001 (r.g. 3016/97);

sentiti, nella Pubblica udienza dell'11.3.2004: il Cons. Dott. P P che ha svolto la relazione della causa;

l'avv. G A per delega dell'avv. P;

il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SE E A che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Catania ha accolto in parte l'appello di A F contro la sentenza del Pretore della stessa sede, che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della s.r.l. Industria Meridionale Elettromeccanica - I.M.E.L. - in liquidazione -, condannando l'appellata al pagamento di L. 16.042.351 a titolo di compenso per lavoro straordinario (L. 14.281.024) e di differenza rispetto al trattamento di fine rapporto ricevuto dal F (L. 1.761.327). Il diritto al compenso per lavoro straordinario è stato riconosciuto perché il F, svolgendo mansioni non solo di custode dello stabilimento ma anche di pulizia, non poteva ritenersi addetto a compiti di attesa e custodia ed era comprovata la protrazione del normale orario di lavoro per almeno due ore al giorno nel periodo 9.2.1989 - 31.8.1991.
Il supplemento di indennità di fine rapporto è stato attribuito al lavoratore perché alla predetta data del 31.8.1991 era stato formalmente licenziato, ma aveva continuato a svolgere gli stessi compiti fino al 31 gennaio 1993 quale esecuzione di rapporto di lavoro subordinato.
La cassazione della sentenza è domandata dalla I.M.E.L. SpA in liquidazione con ricorso per quattro motivi, ulteriormente precisati con memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. Non ha svolto attività di resistenza il F.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli art. 112, 115, 229 e 324 c.p.c., degli art. 3 r.d.l. 15.3.1923. n. 692, e 2909 c.c., nonché vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione. Si richiama il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio, nel quale il F aveva indicato come prevalenti le mansioni di custode, prevalenza ritenuta pacifica dalla sentenza di primo grado, non censurata sul punto in appello, siccome il F si era limitato a denunciare Terrore nel quale sarebbe incorso il primo giudice nel ritenere che per i lavoratori discontinui non sarebbe configurabile in alcun caso lavoro straordinario.
Il motivo non è fondato perché il giudice di appello, giudicando sulla pretesa di pagamento di lavoro straordinario, si è limitato ad applicare al fatto, pacifico, dello svolgimento di mansioni promiscue, il corretto principio di diritto secondo il quale l'elencazione contenuta nella tabella approvata con r.d. 6 dicembre 1923, n. 2657, delle occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo
o di semplice attesa o custodia, alle quali non si applica la limitazione di orario di otto ore giornaliere, stabilita dall'art. 1 del r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692, ha carattere tassativo. Pertanto,
non è consentito includervi, per effetto di interpretazioni analogiche, altre mansioni, diverse da quelle contemplate, neppure nel caso in cui tali diverse mansioni siano svolte dallo stesso soggetto in concorso con mansioni comprese nell'elenco e prevalenti su quelle da esso non considerate (Cass. 10642/1995). Con l'ulteriore precisazione che, nel caso di mansioni plurime esercitate da una stessa persona (ipotesi di cumulo o promiscuità) la prevalenza di una mansione su un'altra, mentre assume rilevanza per l'inquadramento del lavoratore in una determinata qualifica, sia pure pattiziamente riconosciuta, non può incidere sul carattere continuo delle mansioni espletate dal medesimo lavoratore (Cass. 6490/1981;
4908/1979
). Resta di conseguenza assorbito il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura la sentenza per non aver considerato gli elementi che inducevano a ritenere non prevalenti le mansioni di pulizia rispetto a quelle di guardiano, stante l'irrilevanza di tale accertamento ai fini della decisione alla stregua del principio di diritto sopra enunciato.
Resta assorbito anche il terzo motivo di ricorso con il quale, denunciando violazione degli art. 2697 c.c. e 115 c.p.c., nonché insufficiente, illogica e inesistente motivazione, si censura l'accertamento concernente l'effettuazione di due ore al giorno di lavoro straordinario da parte del F, per non avere il Tribunale considerato che le prevalenti mansioni di custode non consentivano di configurare l'effettività della prestazione lavorativa di dieci ore giornaliere e che il F non era tenuto a segnare con l'orologio marcatempo l'orario di ingresso e di uscita (circostanza oggetto di prova non ammessa dal Tribunale). Infatti, anche questo motivo si basa sulla ritenuta discontinuità delle mansioni cui il F era addetto prevalentemente, e perde ogni fondamento in conseguenza dell'esclusione del suo presupposto, poiché, una volta qualificato il dipendente come addetto a mansioni continue in forza del principio di diritto enunciato sopra, non è più consentito distinguere al loro interno quelle riconducibili all'attesa e custodia da quelle diverse e continue.
Con il quarto e ultimo motivo di ricorso, la sentenza impugnata è censurata per violazione degli art. 2097 e 2094 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché per omessa e insufficiente motivazione in relazione
all'accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro successivamente al 31.8.1991.
Si deduce che, siccome alla predetta data il rapporto di lavoro era stato sicuramente risolto, la domanda del F avrebbe potuto trovare accoglimento solo se avesse fornito la prova della subordinazione, mentre il Tribunale era giunto alla decisione sulla base del solo rilievo che oggettivamente i compiti lavorativi non erano mutati rispetto al periodo precedente, omettendo altresì di considerare taluni fatti riferiti dai testimoni (che il "F spesso usciva per esigenze sue personali", che il figlio del F "collaborava e sostituiva il padre nella custodia dello stabilimento"). Anche questo motivo va rigettato, attribuendo alla motivazione della sentenza impugnata il suo reale significato, al di là di talune incongruità che vi sono contenute. Il riferimento si intende al fatto che il Tribunale, sebbene affermi che il rapporto di lavoro era cessato per dimissioni, parli poi, del tutto ingiustificatamente, di risoluzione simulata, mentre dalla sua stessa ricostruzione dei fatti si evince che le parti furono d'accordo nel senso che il F avrebbe continuato a fruire dell'alloggio e a svolgere i compiti precedenti. Orbene, dalla circostanza di fatto che, successivamente alla risoluzione del rapporto di lavoro, avvenuta il 31.8.1991 a seguito di dimissioni, il F aveva continuato ad espletare lo stesso lavoro di prima, con identiche modalità e continuando a ricevere la retribuzione mensile, il Tribunale ha in effetti desunto la presunzione che le parti avessero manifestato la volontà di costituire un nuovo rapporto di lavoro subordinato. Va al riguardo richiamato il principio di diritto secondo cui le presunzioni semplici (art. 2727 c.c.) costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l'attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione. Spetta pertanto al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, con l'ulteriore precisazione che la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dal luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (cfr., tra le numerose, Cass. 15037/2003). Nella specie la ricorrente, per un verso, si limita a contrapporre alla valutazione del Tribunale il suo convincimento che era stato concluso un contratto di lavoro autonomo;
per l'altro, a denunciare la mancata valutazione di elementi di per sè meramente indiziari e non decisivi (assenze del Poti dal luogo di lavoro;
sostituzioni operato dal figlio) in quanto non incompatibili con la subordinazione. Inoltre, il Tribunale non ha mancato di suffragare la conclusione cui era pervenuto con la considerazione, corretta sotto il profilo logico-giuridico, che la natura esecutiva e ripetitiva dei compiti attribuiti al F non richiedeva che risultassero puntuali e concrete manifestazioni del potere direttivo del datore di lavoro, essendo sufficienti quelle impartite all'inizio, una volta per tutte (cfr. Cass. 7745/1987;
1094/1993
). Nulla da provvedere in ordine alle spese del giudizio di Cassazione, nel quale il F non ha svolto attività di resistenza.

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