Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 18/08/2004, n. 16147
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A seguito della sentenza n. 18 del 1995 della Corte costituzionale, l'unica interpretazione conforme a Costituzione dell'art. 13 della legge n. 1338 del 1962 (versamento della riserva matematica per la costituzione di rendita vitalizia nel caso di omissioni contributive non più sanabili per intervenuta prescrizione) è quella che ne estende l'applicazione a favore dei lavoratori autonomi, posto che con tale interpretazione, alla quale va escluso il carattere innovativo, il giudice delle leggi, pur non operando una indiscriminata estensione ai detti lavoratori della disciplina dei lavoratori dipendenti, ha individuato nel citato art. 13 quei connotati di generalità e astrattezza tali da consentirne l'applicazione a tutte le categorie di lavoratori non abilitati al versamento diretto dei contributi, ma sottoposti a tal fine alle determinazioni di altri soggetti; pertanto, deve ritenersi che anche i familiari coadiuvanti dell'impresa diretto - coltivatrice siano abilitati al versamento della riserva ex art. 13 cit., non ostandovi l'esistenza di particolari meccanismi di accreditamento dei contributi previdenziali previsti per i coltivatori diretti; in tali ipotesi, ove risulti, come nella specie, provata documentalmente la esistenza di un rapporto di lavoro e, attraverso deposizioni testimoniali anche la durata dello stesso (e non sia possibile determinare la retribuzione per le peculiarità del rapporto di cui all'art. 2140 cod. civ. nel testo anteriore alla riforma del diritto di famiglia attuata con la legge n. 151 del 1975, per l'assenza di un vero e proprio corrispettivo in danaro e l'effettuazione della remunerazione attraverso il mantenimento e la partecipazione al godimento del patrimonio familiare), la prova della retribuzione ex art. 13, quinto comma, della legge n. 1338 del 1962 non poteva ritenersi presupposto per la costituzione della rendita, essendo solo per effetto della legge n. 233 del 1990 stato introdotto un sistema organico di riscatto dei periodi totalmente o parzialmente scoperti di contribuzione, secondo quanto previsto dall'art. 13 della legge n. 1338 del 1962, mentre, per il periodo precedente, non sussiste, alcun impedimento a determinare la riserva matematica, procedendosi all'applicazione di una contribuzione figurativa determinata in base alle giornate di lavoro, alla stregua delle disposizioni dell'art. 3 della legge n. 1047 del 1957, secondo le modalità stabilite dal R.D. n. 2138 del 1938 e dal R.D. n. 1949 del 1940 e successive modificazioni.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P G - Presidente -
Dott. C P - Consigliere -
Dott. L A - Consigliere -
Dott. F R - rel. Consigliere -
Dott. C G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati C P, A S, F P, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
P M, elettivamente domiciliato in ROMA VIA Q. F. MASSIMO 72, presso lo studio dell'avvocato S D L, rappresentato e difeso dall'avvocato L N, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 151/01 della Corte d'Appello di BRESCIA, depositata il 06/04/01 R.G.N. 653/2000;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 20/01/04 dal Consigliere Dott. R F;
udito l'Avvocato C C per delega N;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A U che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 18.10.2000 Mario P proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Brescia con la quale era stata respinta la sua domanda di costituzione della rendita vitalizia ex art. 13, c. 5 della legge n. 1338 del 1962, per il periodo 1.7.1970 - 31.12.1970,
durante il quale aveva prestato lavoro come collaboratore del padre coltivatore diretto. A questa decisione era pervenuto il giudice di prime cura perché aveva ritenuto non provato il reddito al quale commisurare la riserva matematica per la costituzione della rendita. L'appellante sosteneva che la riserva matematica doveva essere calcolata in base alle ultime retribuzioni percepite, ben conosciute dall'Inps, sicché non era necessario provare il reddito percepito nel periodo indicato, e ciò sia in forza delle modalità di calcolo dei contributi ex L. n. 1047 del 1957, sia in forza della disciplina della comunione tacita in agricoltura ex art. 2140 c.c.. Costituitosi l'Inps, il quale invocava la conferma della sentenza di primo grado, la Corte di appello di Brescia, con sentenza del 6.4.2001, riformava la prima pronuncia, e accoglieva la domanda per il periodo sopra indicato.
Premessa l'applicabilità della disciplina di cui al citato art. 13 anche ai rapporti di lavoro tra titolari di imprese familiari e loro collaboratori - sulla base della sentenza n. 18/1995 della Corte costituzionale - il Giudice del gravame osservava che, una volta provato con documenti il rapporto di lavoro del ricorrente, e, attraverso le deposizioni testimoniali anche la sua durata, non era possibile determinare la retribuzione per le peculiarità della fattispecie di cui all'art. 2140 c.c. (nel testo anteriore alla abrogazione ex l. n. 151 del 1975), essendo la remunerazione del lavoro attuata con il mantenimento e la partecipazione al godimento del patrimonio familiare. Concludeva, pertanto, ritenendo che la prova della retribuzione, di cui all'art. 13 c. 5 cit. non poteva considerarsi presupposto necessario per la rendita. Non vi era, dunque, alcuna impossibilità di determinare la riserva matematica, trattandosi unicamente di procedere all'attribuzione dei contributi per il periodo in oggetto, secondo quanto previsto dalla legge n. 1047/1957, dal r.d. n. 1949/1940 e dal decreto legge n. 2138/1938. Avverso detta sentenza l'Inps ha proposto ricorso per Cassazione affidato ad un solo motivo cui resiste l'assicurato con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 13 della legge 12.8.1962, n. 1338, nonché l'insufficienza e contraddittorietà
della motivazione, l'Inps lamenta che la sentenza ha fatto ricorso ad una normativa esulante dalla fattispecie: a giudizio dell'Istituto ricorrente presupposto per l'applicabilità delle leggi da ultimo citati dalla sentenza è l'iscrizione negli appositi elenchi nominativi. Le risultanze negative di detti elenchi - per il caso di specie, per il periodo 15.10.1970 - 31.12.1970 - non sono più contestabili non avendo l'interessato provveduto ad impugnarle entro 10 anni dalle rispettive pubblicazioni (ex art. 8 del r.d.l. n. 1949/40 e art. 101. n. 9/1963) sicché l'inesistenza dell'iscrizione
comporta la non ricorrenza degli obblighi assicurativi e contributivi.
Del resto - secondo l'Inps - la necessità di una prova
dell'ammontare delle retribuzioni trova conferma anche nella sentenza n. 568/1989 della Corte costituzionale secondo cui quella prova, a carico del lavoratore "non può essere talmente difficoltosa da pregiudicare le concrete possibilità di esito positivo dell'azione, sicché ... mentre è necessario che resistenza del rapporto di lavoro sia provata per iscritto, la durata e l'ammontare della retribuzione possono essere provati con altri mezzi, anche orali. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.
Va anzitutto sottolineato che a seguito della sentenza n. 18 del 1995 della Corte costituzionale, l'unica interpretazione conforme a Costituzione dell'art. 13 della legge n. 1338 del 1962 (versamento della riserva matematica per la costituzione di rendita vitalizia nel caso di omissioni contributive non più sanabili per intervenuta prescrizione) è quella che ne estende l'applicazione a favore dei lavoratori autonomi, posto che con tale interpretazione, di cui va escluso il carattere innovativo, il giudice delle leggi, pur non operando una indiscriminata estensione ai detti lavoratori della disciplina dei lavoratori dipendenti, ha individuato nel citato art. 13 quei connotati di generalità e astrattezza tali da consentirne l'applicazione a tutte le categorie di lavoratori non abilitati al versamento diretto dei contributi, ma sottoposti a tal fine alle determinazioni di altri soggetti.
Da questa premessa si è tratto l'avviso che anche i familiari coadiuvanti dell'impresa diretto - coltivatrice siano abilitati al versamento della riserva ex art. 13 cit., non ostandovi l'esistenza di particolari meccanismi di accreditamento dei contributi previdenziali previsti per i coltivatori diretti (tra le altre, Cass., 3.11.2000, n. 14393 la quale osservò come proprio in virtù della portata generale dell'art. 13 legge 1338/1962 non assumono rilevanza le deduzioni dell'INPS circa le differenti caratteristiche delle imprese artigiane rispetto a quelle diretto - coltivatrici, circa il diverso meccanismo di accreditamento dei contributi previdenziali dei coltivatori diretti rispetto agli artigiani e circa la possibilità di riscatto previsto per i medesimi coltivatori. Sulla base di tale giurisprudenza, ormai consolidata, la Corte di appello di Brescia, del tutto correttamente, ha sostenuto che nella fattispecie in esame - in cui risulta documentalmente provata l'esistenza di un rapporto di lavoro del P, a partire dal luglio 1970 (corrispondente all'inizio dell'attività di collaborazione nell'impresa agricola familiare) e la durata dello stesso (cfr. dichiarazioni dello SCAU del 1971, ed estratto Inps dell'aprile 1994) - non essendo possibile determinare la retribuzione, per le peculiarità del rapporto di cui all'art. 2140 c.c. (nel testo anteriore alla riforma del diritto di famiglia di cui
alla legge n. 151 del 1975) nel quale, in assenza di un vero e proprio corrispettivo in danaro, la remunerazione del lavoro era attuata con il mantenimento e la partecipazione al godimento del patrimonio familiare, "la prova della retribuzione ex art. 13, c. 5 della legge n. 1338 del 1962 non poteva ritenersi presupposto per la
costituzione della rendita".
Tale affermazione trova conferma nella circostanza che solo dopo l'intervento della legge 2.8.1990, n. 233 è stato introdotto un sistema organico di riscatto dei periodi totalmente o parzialmente scoperti di contribuzione, secondo quanto previsto dall'art. 13 della legge n. 1338 del 1962.
In particolare, proprio l'art. 11 della legge n. 233 del 1990 riconobbe ai coltivatori diretti, mezzadri, e coloni - accertati ai fini della iscrizione negli elenchi degli assicurati ai sensi degli artt. 1, 2, e 3 della legge 26.10.1957, n. 1047, i quali, per effetto del secondo comma dell'art. 3 dell'art. 5 della stessa legge, erano stati compresi negli elenchi pubblicati dal Servizio Contributi Agricoli Unificati (SCAU) senza l'attribuzione di giornate lavorative o con una attribuzione di giornate lavorative inferiori a 104 annuali per il periodo 1957 - 1961 - la facoltà di riscattare, con onere a proprio carico i periodi totalmente o parzialmente scoperti di contribuzione, ai fini di cui all'art. 13 della legge n. 1338 del 1962. Quanto alla determinazione del reddito cui commisurare la riserva matematica per la costituzione della rendita, secondo la meccanica prevista dal citato art. 13, l'art. 7, ci della legge n. 233 del 1990 contemplava quattro fasce di reddito convenzionale individuate in base ad apposita tabella allegata alla legge medesima ai fini del calcolo dei contributi e della determinazione della misura delle pensioni. Il successivo comma 5 dell'art. 7 appena citato disponeva che "il reddito medio convenzionale per ciascuna fascia di reddito agrario di cui alla citata tabella è determinato annualmente su base nazionale con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, con riferimento alle retribuzioni medie giornaliere di cui al primo comma dell'art. 28 del D.P.R., 27.4.1968, n. 488. La sentenza impugnata ha chiarito che prima di questa disciplina, i contributi versati a favore del P dall'impresa familiare, per il periodo posteriore a quello oggetto della controversia (luglio 1970/dicembre 1970) risultavano determinati ed accreditati in base alle disposizioni dell'art. 3 della legge n. 1047 del 1957, secondo le modalità stabilite dal r.d. 28.11.1938, n. 2138 e dal r.d. 24.9.1940, n. 1949 e successive modificazioni, e cioè attraverso
l'applicazione di una contribuzione figurativa determinata in base alle giornate di lavoro. Ne consegue che non vi è alcun impedimento a procedere alla determinazione della riserva matematica - così come richiesto dall'assicurato nel presente giudizio, con riferimento al periodo dal 15.7.1970 (anziché 1.7.1970, come precisato dalla sentenza impugnata) al 31.12.1970.
Va da ultimo rilevato che non trova alcun riscontro normativo la tesi dell'Inps secondo cui rassicurato avrebbe dovuto impugnare nel termine di 10 anni dalle rispettive pubblicazioni le risultanze negative degli elenchi nominativi circa la propria iscrizione. Sia l'art. 8 del r.d. n. 1949 del 1940, sia l'art. 10 della legge n. 9 del 1063 espressamente invocati dall'Istituto disciplinano i ricorsi
contro gli accertamenti o le rettifiche degli elenchi (eseguite d'ufficio dalle autoritativi rispettivamente individuate) aventi ad oggetto l'impiego della manodopera per ciascuna azienda agricola, prevedono soltanto termini brevi (trenta giorni) per scandire i tempi del contenzioso avente ad oggetto i requisiti soggettivi prescritti per la formazione degli elenchi nominativi.
Da quanto precede deve concludersi che la sentenza impugnata non merita le censure formulate dall'Istituto ricorrente al quale vanno addebitate le spese del presente giudizio nei termini di cui al dispositivo.