Cass. civ., sez. I, sentenza 10/11/2008, n. 26898
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In tema di pegno avente per oggetto titoli del debito pubblico, gli atti di incasso del controvalore dei titoli stessi venduti dalla banca creditrice e accreditati sul conto corrente del cliente poi fallito, con corrispondente parziale riduzione della sua esposizione debitoria nel periodo sospetto, non sono revocabili ai sensi dell'art. 67 legge fall., rivestendo natura di atti di escussione delle garanzie pignoratizie e non di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili.
In tema di pegno, la possibile derogabilità consensuale della disciplina dettata dall'art. 2797 cod. civ. è applicabile sia al termine minimo di preavviso (ridotto nella specie ad un giorno) sia all'intimazione a mezzo dell'ufficiale giudiziario (sostituita con un preavviso al debitore dato in forma scritta); se poi la cosa ha "un prezzo di mercato", nel significato desumibile per analogia dall'art. 1515 cod. civ. relativo all'esecuzione coattiva della vendita e dunque "un prezzo corrente stabilito per atto della pubblica autorità ovvero risultante da listini di borsa o mercuriali", la vendita stessa può avvenire a mezzo delle persone autorizzate, ai sensi dell'art. 83 disp. att. cod. civ. o anche tramite commissionario, ciò implicando una "vendita a trattative private" ad un prezzo non inferiore al minimo del listino, così potendosi argomentare in via analogica dall'art. 532 cod. proc. civ. (in applicazione di tali principi è stata cassata con rinvio la sentenza che erroneamente, trattandosi di cose oggetto del pegno costituite da titoli del debito pubblico rilasciati a garanzia, non aveva valutato se esse avessero un prezzo di mercato e così pure se la banca, nella sua qualità di intermediario finanziario e quindi abilitato alla negoziazione di valori mobiliari, rivestisse la qualità di persona autorizzata alla vendita ex art. 2797 cod. civ.).
Sul provvedimento
Testo completo
8 ORIGINALE 0 / 8 REPUBBLICA ITALIANACONTRIBU TO UNIFICATO) 9 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 8 LA CORTE SUPREMA di CASSAZIONE 6 SEZIONE PRIMA CIVILE 2 OGGETTO: Revocatoria fallimentare Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. G L PRESIDENTE R.G.N. 8826/2004 Dott. D PDA CONSIGLIERE Dott. A N CONSIGLIERE Dott. P GNI CONSIGLIERE Rel. Cron. 26838 Dott. L P CONSIGLIERE Rep. 7355 ha pronunciato la seguente Ud. 9.4. 2008 SENTENZA sul ricorso proposto dalla INTESA SANPAOLO S.p.A., già BANCA INTESA S.p.A., già denominata INTESABCI S.p.A., nella qualità di procuratore speciale di INTESA GESTIONE CREDITI S.p.A., già denominata INTESABCI GESTIONE CREDITI S.p.A., a sua volta procuratore speciale di BANCA INTESA S.p.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via XXIV Maggio n.43, presso lo studio del Prof. Avv. M B che la rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine del ricorso - RICORRENTE · - CONTRO Fallimento "CALZATURIFICIO GARDAN s.n.c. di U e Claudio BASTIANELLI", elettivamente domiciliato in Roma, Via Cola di Rienzo n.297, presso lo studio dell'Avv. S R che lo rappresenta e difende, anche disgiuntamente dall'Avv. A S del foro di Macerata, in forza di procura speciale in calce al controricorso 57 CONTRORICORRENTE - 833/2008 avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona n.625/2003, pronunciata 1'8.7.2003 e pubblicata il 20.9.2003. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9.4.2008 dal Consigliere Dott. Paolo Giuliani. Udito, per delega, il difensore della ricorrente. Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonietta Carestia, il quale ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 15.7.1994, la Curatela del Fallimento del Calzaturificio Gardan s.n.c. di U e C B, dichiarato dal Tribunale di Macerata mediante sentenza del 7.10.1993 dopo l'inutile esperimento del tentativo di concordato preventivo proposto il 3.8.1992, conveniva davanti al medesimo Giudice la Banca Commerciale Italiana s.p.a., premettendo: a) che quest'ultima, appena quattro giorni dopo la domanda di ammissione al concordato, aveva, dapprima, intimato alla cliente il rientro delle proprie esposizioni, pari ad oltre 948.000.000 di lire, sotto pena di "realizzo coattivo" delle garanzie pignoratizie costituite dalla predetta società con quattro atti - stipulati dal 12.5.1989 al 15.1.1992 - aventi ad oggetto titoli di Stato per complessive lire 300.000.000 depositati presso la stessa Banca, laddove, poi, il 18.1.1993, senza seguire la procedura di incameramento del pegno ed attraverso quattro distinte operazioni di compravendita in borsa dei titoli sopraindicati, ne aveva accreditato il controvalore sul conto corrente della cliente, così ottenendo di ridurre corrispondentemente l'esposizione della 2 medesima, tanto da insinuarsi successivamente al passivo del fallimento della società per il minor credito di circa lire 665.000.000. Tanto premesso, la Curatela attrice, assumendo la natura di atti solutori di tali accreditamenti, effettuati nel periodo sospetto ai sensi dell'art. 67 della legge fallimentare, ne domandava la revocatoria, con condanna della Banca alla restituzione dell'importo di lire 304.093.751, oltre agli interessi dal 7.10.1993, chiedendo, in via subordinata, che venisse dichiarata l'inopponibilità dell'(ultimo) atto costitutivo di pegno del 15.1.1992, con condanna alla restituzione del controvalore dei titoli oggetto della garanzia. La convenuta resisteva alle pretese avversarie. Il Tribunale adito, con sentenza del 23/30.1.2001, accoglieva la domanda principale, assumendo: a) che, in relazione agli atti mediante i quali la Banca aveva incamerato il controvalore dei titoli, dovesse escludersene la natura di atti di mera escussione della garanzia, la quale presupponeva, comunque, una procedura di vendita coattiva in danno del debitore, nella specie non rispettata, laddove era da affermarne la natura di veri e propri contratti di compravendita di borsa stipulati direttamente dalle parti, onde la revocabilità delle somme, versate sul conto corrente, che rappresentavano il corrispettivo delle compravendite stesse; b) che fosse da escludere l'applicabilità, nella specie, della disciplina sulla compensazione dettata dall'art.56 della legge fallimentare. Avverso la decisione, proponeva appello la IntesaBCI Gestione Crediti s.p.a., nella veste di procuratore di IntesaBCI s.p.a., nella quale era stata nel frattempo incorporata la Banca Commerciale Italiana s.p.a., deducendo tre motivi. 3 Resisteva nel grado la Curatela Fallimentare, chiedendo la reiezione del gravame, che la Corte territoriale di Ancona, con sentenza dell'8.7/20.9.2003, in effetti rigettava, confermando la sentenza impugnata e, segnatamente, assumendo: a) quanto al primo motivo, che il Tribunale fosse pervenuto all'accoglimento della domanda di revocatoria dopo avere escluso che dagli atti emergesse la prova che le quattro operazioni di accreditamento per oltre 300.000.000 di lire eseguite dalla Banca sul conto corrente della Gardan in data 18.1.1993 rappresentassero il frutto di altrettanti atti di incasso dei pegni o di escussione delle garanzie pignoratizie costituite con i cinque (non sei) atti dal 12.5.1989 al 15.1.1992, nel senso esattamente che la medesima Banca, con gli atti del 18.1.1993, aveva provveduto ad acquistare in proprio i titoli dati in pegno con altrettanti contratti denominati "contratti di borsa stipulati direttamente dalle parti e per contanti", onde le somme versate nel conto della Gardan rappresentavano il prezzo delle vendite anzidette e non già la mera contabilizzazione degli atti di incasso o di escussione delle garanzie pignoratizie, laddove, però, l'appellante, lungi dal censurare espressamente su questo punto la motivazione della sentenza impugnata, proponendo argomenti idonei a supportare l'assunto circa la natura di meri atti di escussione delle garanzie pignoratizie rivestita dagli accreditamenti oggetto di revocatoria, aveva dato come presupposto scontato che questi ultimi avessero una simile natura;b) ancora quanto al primo motivo, che fosse da escludere la possibilità di parlare, nella specie, di semplici atti di escussione delle garanzie pignoratizie, onde i quattro accreditamenti effettuati sul conto corrente scoperto della 4 Gardan in periodo sospetto, per il complessivo ammontare sopraindicato, rivestivano natura di versamenti, ovvero di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, come tali revocabili ex art.67 della legge fallimentare; c) quanto al secondo motivo, che il Tribunale avesse fatto discendere la revocabilità delle rimesse sul conto (sotto forma di accreditamenti) dalla esclusione del carattere di meri atti escussivi della garanzia pignoratizia delle rimesse medesime, ma non dalla estinzione degli atti costitutivi dei pegni, i quali erano rimasti giustamente assorbiti dalla questione circa il carattere di atti di compravendita di titoli per contanti riconosciuto alle quattro operazioni del 18.1.1993; d) quanto al terzo motivo, che, tra le operazioni di riscossione e di versamento sul conto corrente non trovasse applicazione la disciplina della compensazione legale, nel senso che oggetto dell'azione revocatoria, esercitata attraverso la domanda principale accolta in primo grado, non erano stati né i contratti costitutivi dei pegni, né le operazioni di compravendita dei titoli, dati in pegno, effettuate il 18.1.1993, bensì gli accreditamenti, ovvero le rimesse del relativo corrispettivo eseguite contestualmente dalla Banca sul conto corrente del cliente datore del pegno, onde l'insussistenza, anche per la natura di pegno regolare di quello in questione e per la mancanza, in capo alla Banca stessa, di alcun potere di incameramento diretto dei titoli dati in pegno, della dedotta obbligazione di quest'ultima verso il cliente fallito di pagare alcunché, laddove non poteva affatto parlarsi nella specie di un debito verso il fallito nato da un rapporto giuridico distinto da quello all'origine del controcredito della Banca, trattandosi pur sempre di una garanzia pignoratizia afferente lo stesso (unico) rapporto di conto corrente. 5 - - Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione la Intesa Sanpaolo S.p.A., già Banca Intesa S.p.A., già denominata IntesaBci S.p.A., nella qualità di procuratore speciale di Intesa Gestione Crediti S.p.A., già denominata IntesaBci Gestione Crediti S.p.A., a sua volta procuratore speciale di Banca Intesa S.p.A., deducendo tre motivi di gravame, illustrati da memoria, ai quali resiste con controricorso la Curatela del Fallimento del Calzaturificio Gardan s.n.c. di U e C B. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve, innanzi tutto, essere disattesa la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente Fallimento in relazione al fatto che, risultando l'impugnata sentenza notificata il 5.2.2004, il ricorso medesimo è stato notificato a mezzo del servizio postale solo il 7.4.2004 (secondo quanto comprovato dalla busta di spedizione attestante la ricezione dell'atto sotto quest'ultima data), ovvero oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della sentenza anzidetta. Giova, al riguardo, premettere che, in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, a seguito delle decisioni della Corte Costituzionale n.477 del 2002, nn.28 e 97 del 2004 e n.154 del 2005 ed, in particolare, dell'affermarsi del principio della scissione fra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante e per il destinatario, deve ritenersi che la notificazione stessa, nei confronti del notificante, si perfeziona al compimento delle formalità a quest'ultimo direttamente imposte dalla legge, ovvero al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, non già alla data di ricezione dell'atto medesimo da parte del destinatario, con la conseguenza che, ove tempestiva, quella consegna evita alla parte la decadenza correlata 6 all'inosservanza del termine perentorio entro il quale la notificazione va effettuata (Cass. Sezioni Unite 4 maggio 2006, n.10216;Cass. 21 settembre 2006, n.20430;Cass. 19 marzo 2007, n.6360;Cass. 10 maggio 2007, n.10693). Tanto premesso, si osserva che, nella specie, attraverso l'esame degli atti, consentito a questa Corte venendo in considerazione un profilo che attiene alla stessa ammissibilità del ricorso, è dato di ricavare: a) che l'impugnata sentenza risulta notificata il "5.2.2004", onde la scadenza del termine breve di impugnazione per cassazione (sessanta giorni) veniva a cadere sotto la data del "5.4.2004"; b) che il ricorso è stato notificato a mezzo del servizio postale e che la relativa consegna dell'atto al destinatario è effettivamente avvenuta il "7.4.2004"; c) che, tuttavia, il piego raccomandato figura “spedito" dall'ufficiale giudiziario (dall'ufficio postale di Roma - Prati) in data "3.4.2004", onde appare palese che una simile indicazione temporale costituisce prova certa della tempestività della consegna dell'atto al medesimo ufficiale giudiziario (e, quindi, della relativa notificazione), nel senso esattamente che, ove pure l'atto stesso sia stato “consegnato” sotto quest'ultima data (e non anche sotto una data "anteriore" a quella di spedizione), ne risulta comunque dimostrato il rispetto del termine di sessanta giorni che veniva esattamente a scadere (secondo quanto accennato) il "5.4.2004". Con il primo motivo di impugnazione, lamenta la ricorrente violazione e falsa applicazione dell'art. 67, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, dell'art. 2797 c.c., dell'art. 83, n.1, disp. att. c.c., degli artt. 1, dell'art.342 comma primo, lettera a) e 16 della legge 2 gennaio 1991, n.1, c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto - 7 decisivo della controversia, in relazione all'art.360, nn.3 e 5, c.p.c., deducendo: a) che, con il primo motivo di appello, la Banca ha rilevato che la vendita dei titoli oggetto della garanzia pignoratizia costituisce realizzazione del pegno e che, a norma dell'art.67 della legge fallimentare, è consentita "solamente la revoca degli atti costitutivi di essi pegni, ma non dei successivi atti di incasso", onde, "in mancanza di revoca degli atti di pegno, non può disporsi la revoca degli atti di incasso dei pegni", laddove il Tribunale ha di fatto revocato i pegni "in totale assenza delle condizioni richieste dall'art.67 L.F."; b) che la Corte territoriale ha rigettato il primo motivo di appello sulla base di una doppia motivazione; c) che detto Giudice, in primo luogo, ha sostenuto che tale motivo "dà per scontato un presupposto - che cioè le quattro operazioni di accreditamento per oltre 300 milioni di lire eseguite dalla Banca sul conto corrente della Gardan in data 18 gennaio 1993 rappresentassero il frutto di altrettanti atti di incasso dei pegni o di escussione delle garanzie pignoratizie costituite con i cinque (non sei) atti dal 12 maggio 1989 al 15 gennaio 1992 - presupposto che al contrario è tutto da dimostrare", aggiungendo, poi, che “la suddetta questione venne posta dal primo giudice al centro della motivazione della sua sentenza... (onde) l'appellante avrebbe dovuto espressamente censurare questa parte, centrale ed essenziale, della motivazione della sentenza impugnata, proponendo argomenti idonei a supportare la sua contraria tesi della natura di meri atti di escussione delle garanzie pignoratizie degli accreditamenti oggetto di revocatoria...ciò (che) non è, invece, avvenuto, come si ricava dalla semplice lettura del primo motivo di appello, nel quale...questa pretesa natura degli atti di accreditamento viene data per presupposto scontato”; 8 d) che la medesima Corte, con concorrente motivazione, ha comunque ritenuto l'infondatezza del motivo in questione, non essendo le vendite dei titoli "atti escussivi delle garanzie pignoratizie” e, segnatamente, affermando "escluso...che si possa parlare nella specie di semplici atti di escussione delle garanzie pignoratizie, ne discende la natura di versamenti...dei quattro accreditamenti effettuati sul conto corrente scoperto della cliente Gardan in periodo sospetto per il complessivo ammontare indicato in sentenza"; e) che ambedue le motivazioni dianzi riportate sono censurabili; f) che, quanto alla prima, la Corte territoriale ha argomentato il rigetto del motivo di appello in evidente contrasto con gli atti processuali, nel senso che detto Giudice non avrebbe potuto negare l'esistenza di una censura da parte della Banca appellante in merito alla denegata (dal Tribunale) qualificazione delle vendite dei titoli costituiti in pegno come atti di escussione delle garanzie pignoratizie, risultando una pagina (la numero 8) dell'atto di appello e la stessa comparsa conclusionale dedicate a rappresentare le ragioni a favore della legittimità degli atti escussivi dei pegni;g) che, del resto, la medesima Corte territoriale, dopo avere affermato con la prima motivazione la mancata censura circa "questa parte essenziale della controversia" (quella, cioè, relativa alla natura delle vendite dei beni oggetto delle garanzie pignoratizie), ha, poi, riconosciuto, tuttavia, che, da parte dell'appellante, "a margine dell'illustrazione del secondo motivo", è stato chiarito che “i contratti costitutivi dei pegni furono stipulati secondo i modelli standard predisposti dall'ABI, i quali prevedono una forma di riscossione dei ultimo pegni di tipo privatistico, come consentito dall'art.2797, comma, cod. civ."; 7 h) che, quanto alle seconda delle due riferite motivazioni, il Giudice di merito ha negato che i pegni a suo tempo costituiti a garanzia dei crediti della Banca verso Gardan siano stati escussi regolarmente; i) che tale Giudice, in particolare, ha affermato che, riguardo all'acquisto in proprio, da parte della Banca, dei titoli costituiti in pegno, non è stata rispettata la procedura di vendita prevista dall'art.2797 c.c., argomentando nel senso che l'ultimo comma del medesimo art.2797 “consente alle parti di convenire forme diverse per la vendita della cosa data in pegno” ma non fino al punto di legittimare "la vendita diretta delle cose stesse (non importa se a terzi od a sé stesso) e l'incameramento del relativo corrispettivo", nonché aggiungendo che """la stessa clausola 13 delle condizioni generali degli atti costitutivi dei 6699 pegni...prevede che la banca depositaria dei titoli dati in pegno dal correntista "può far vendere con preavviso...i titoli costituiti in pegno a mezzo di agente cambio o in mancanza di ufficiale giudiziario", (sicché) neanche la previsione pattizia derogava nella specie alla esigenza del rispetto della procedura di vendita secondo il generale paradigma legale""; 1) che la Corte territoriale, sulla scorta di simili premesse, ha escluso "che si possa parlare nella specie di semplici atti di escussione delle garanzie pignoratizie” ed ha, per l'effetto, qualificato come pagamenti liquidi ed esigibili, come tali revocabili ex art.67 legge fallimentare, i quattro accreditamenti eseguiti "in periodo sospetto" sul conto corrente scoperto intestato a Gardan;m) che, nella specie, le parti hanno usufruito della facoltà concessa loro dall'ultimo comma dell'art.2797 c.c., pattuendo che, in caso di mancato pagamento del credito, “la Banca può far vendere...con preavviso di almeno un 10 - giorno, dato in qualsiasi forma scritta, in tutto o in parte, i titoli costituiti in pegno a mezzo agente di cambio o, in mancanza, di ufficiale giudiziario”; n) che la clausola contrattuale prevedeva, quindi, due deroghe alla procedura di vendita standard di cui al primo ed al secondo comma, riguardanti il termine minimo di preavviso (ridotto ad un giorno) entro il quale il debitore può fare opposizione e l'intimazione, a mezzo ufficiale giudiziario, sostituita da un preavviso in forma scritta;o) che la legittimità di tali deroghe è stata espressamente riconosciuta dalla Corte territoriale, là dove ha dichiarato di condividere l'assunto del Tribunale ammettendo che “la facoltà di deroga pattizia preveduta dall'ultimo comma dell'art.2797 c.c. può modificare le forme dell'intimazione di pagamento del primo comma o ridurre il termine dell'opposizione da parte dell'intimato", onde la procedura di vendita di cui al citato art.2797 c.c., sotto questo profilo, è stata correttamente applicata;p) che, del resto, il mancato rispetto dell'anzidetta procedura, affermato dalla stessa Corte, non trova fondamento neppure altrimenti, atteso che la vendita dei titoli è stata effettuata non al pubblico incanto, ma “a mezzo di persona autorizzata” alla vendita delle cose costituite in pegno (titoli del debito pubblico), risultando ciò consentito dall'esistenza di "un prezzo di mercato” delle cose pignorate;q) che il già richiamato art.2797 c.c. prevede, infatti, che, nel caso in cui “la cosa (oggetto del pegno) abbia un prezzo di mercato”, come nel caso dei titoli del debito pubblico rilasciati a garanzia, il creditore può farla vendere “a mezzo di persona autorizzata a tali atti", senza ricorrere al pubblico incanto, onde, in questo caso, la procedura di vendita è quella della trattativa privata, in quanto 11 : il prezzo di mercato esclude il rischio di un abuso da parte del creditore, là dove il fatto che sia stata la Banca stessa a procedere alla vendita deriva dalla circostanza che detta Banca rivestiva la qualità di “persona autorizzata" prevista dall'art.2797 c.c.; r) che la Banca, quindi, era pienamente legittimata a procedere alla vendita dei titoli, avendo le qualità stabilite dalla legge e a nulla rilevando che la medesima si sia resa acquirente dei titoli; s) che, infatti, ove le cose costituite in pegno abbiano, come nella specie, un prezzo di mercato, non vi è motivo alcuno per negare una simile possibilità, non rinvenendosi una norma giuridica che ne faccia divieto e non ostandovi ragioni di opportunità, tenuto conto che la presenza di un prezzo di mercato esclude, secondo quanto accennato, il rischio del verificarsi di abusi. Il motivo è ammissibile e fondato. Quanto al primo profilo, basti notare, così disattendendo la corrispondente eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente in riferimento alla circostanza che tale motivo "riguarda questioni nuove, non proposte in I о grado, non oggetto di appello", come, attraverso detto motivo, venga in considerazione, tra l'altro, esattamente la censura dell'odierna ricorrente che involge l'assunto della Corte territoriale là dove quest'ultima, dopo avere rilevato che la questione relativa al fatto che "le quattro operazioni di accreditamento per oltre 300 milioni di lire eseguite dalla Banca sul conto corrente della Gardan in data 18 gennaio 1993 rappresentassero il frutto di altrettanti atti di incasso di pegni o di escussione delle garanzie pignoratizie costituite con i cinque (non sei) atti dal 12 maggio 1989 al 15 gennaio 1992...venne posta dal primo giudice al centro della motivazione della sua 12 : sentenza, la quale pervenne all'accoglimento della domanda di revocatoria dopo aver escluso...che dagli atti di causa emergesse la prova di quella qualità di meri atti di escussione delle garanzie pignoratizie precedentemente costituite", ha, quindi, ritenuto che “l'appellante avrebbe dovuto espressamente censurare questa parte, centrale ed essenziale, della motivazione della sentenza impugnata, proponendo argomenti idonei a supportare la sua contraria tesi della natura di meri atti di escussione delle garanzie pignoratizie degli accreditamenti oggetto di revocatoria...ciò (che) non è, invece, avvenuto, come si ricava dalla semplice lettura del primo motivo di appello, nel quale...questa pretesa natura degli atti di accreditamento viene data per presupposto scontato”. Quanto al secondo profilo, la Corte territoriale, muovendo dall'incensurato (di per sé) apprezzamento circa il contenuto del primo motivo di gravame, mediante il quale l'appellante "sostiene che la legge fallimentare consente la revoca soltanto degli atti costitutivi del pegno, non dei successivi atti di incasso (là dove) il primo giudice non avrebbe considerato che i pegni...godono di uno speciale trattamento in sede fallimentare, potendo essere revocati...i soli atti costitutivi alle condizioni previste dall'art. 67 l. fall. e potendo addirittura il creditore pignoratizio ritenere e far vendere il pegno pur in costanza di fallimento (art.53 1. fall.), onde non avrebbe senso impedire al creditore di fare altrettanto quando - come nel caso concreto - il fallimento non è stato ancora dichiarato", ha ritenuto tale motivo “non fondato”, argomentando nel senso che “esso dà per scontato un presupposto - che cioè le quattro operazioni di accreditamento per oltre 300 milioni di lire eseguite dalla Banca sul conto corrente della Gardan in data 18 gennaio 1993 13 rappresentassero il frutto di altrettanti atti di incasso dei pegni o di escussione delle garanzie pignoratizie costituite con i cinque (non sei) atti dal 12 maggio 1989 al 15 gennaio 1992 - presupposto che al contrario è tutto da dimostrare" e giungendo, quindi, alla conclusione secondo cui, "escluso che si possa parlare nella specie di semplici atti di escussione delle garanzie pignoratizie, ne discende la natura di versamenti - cioè di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, come tali revocabili ex art.67 l. fall. - dei quattro accreditamenti effettuati sul conto corrente scoperto della cliente Gardan in periodo sospetto per il complessivo ammontare indicato in sentenza”. Più in particolare, detto Giudice ha fondato una simile conclusione sopra una duplice ratio decidendi. Sotto un primo profilo, cioè, la medesima Corte ha rilevato: a) che "la suddetta questione venne posta dal primo giudice al centro della motivazione della sua sentenza, la quale pervenne all'accoglimento della domanda di revocatoria dopo aver escluso...che dagli atti di causa emergesse la prova di quella qualità di meri atti di escussione delle garanzie pignoratizie precedentemente costituite"; b) che "l'appellante avrebbe dovuto espressamente censurare questa parte, centrale ed essenziale, della motivazione della sentenza impugnata, proponendo argomenti idonei a supportare la sua contraria tesi della natura di meri atti di escussione delle garanzie pignoratizie degli accreditamenti oggetto di revocatoria...ciò (che) non è, invece, avvenuto, come si ricava dalla semplice lettura del primo motivo di appello, nel quale - come detto - questa pretesa natura degli atti di accreditamento viene data per presupposto scontato". 14 Già in questo senso, la motivazione (sopra riportata) dell'impugnata sentenza si palesa affetta dai vizi denunciati dall'odierna ricorrente, atteso che, per un verso, la stessa Corte territoriale ha espressamente (ma contraddittoriamente) riconosciuto che, da parte dell'appellante, sia pure "solo a margine dell'illustrazione del secondo motivo", è stato ""chiari(to) "per mero tutiorismo" che i contratti costitutivi dei pegni furono stipulati secondo modelli standard predisposti dall'ABI, i quali prevedono una forma di riscossione dei pegni di tipo privatistico, come consentito dall'art. 2797, ultimo comma, cod. civ. laddove, per altro verso, la medesima ricorrente ha 9966 , analiticamente riportato (sotto le pagine 10 e 11 del ricorso) gli specifici passaggi dell'atto di appello (e della stessa conclusionale di secondo grado) dai quali risulta come, in effetti, la sentenza di primo grado sia stata espressamente censurata, in quella sede, mediante "argomenti idonei a supportare la contraria tesi della natura di meri atti di escussione delle garanzie pignoratizie degli accreditamenti oggetto di revocatoria" e come, quindi, la motivazione della sentenza impugnata in questa sede appaia altresì affetta, al riguardo, dal vizio di insufficienza come sopra dedotto. Circa, poi, la seconda ratio decidendi posta dalla Corte territoriale a fondamento della propria pronuncia, si osserva che detto Giudice ha argomentato nel senso che l'ultimo comma dell'art.2797 c.c. “consente alle parti di convenire forme diverse per la vendita della cosa data in pegno, dunque facendo salva in ogni caso la necessità che sulle cose date in pegno il creditore si soddisfi solo all'esito di una procedura di vendita, giammai attraverso la vendita diretta delle cose stesse (non importa se a terzi od a sé stesso) e l'incameramento del relativo corrispettivo", aggiungendo, poi, che 15 6699""""la stessa clausola 13 delle condizioni generali degli atti costitutivi dei pegni, cui l'appellante si richiama, prevede che la banca depositaria dei titoli dati in pegno dal correntista “può far vendere con preavviso...i titoli costituiti in pegno a mezzo di agente di cambio o in mancanza di ufficiale giudiziario", (sicché) neanche la previsione pattizia derogava nella specie alla esigenza del rispetto della procedura di vendita secondo il generale paradigma legale". Simili argomentazioni non appaiono condivisibili. L'art.2797 c.c., il quale regola le “forme della vendita" (tale essendo il tenore della rubrica) della cosa data in pegno, prevede, al primo comma, che la vendita sia preceduta da un'intimazione (di pagamento) al debitore, da effettuarsi a mezzo ufficiale giudiziario. Il secondo comma del medesimo art.2797 disciplina le modalità della vendita, prevedendo che, in caso di mancata opposizione entro il termine di c. cinque giorni o di rigetto della stessa, il creditore possa far vendere la cosa al pubblico incanto “o, se la cosa ha un prezzo di mercato, anche a prezzo corrente, a mezzo di persona autorizzata a tali atti”. L'ultimo comma, infine, della disposizione in esame stabilisce che "per la vendita della cosa data in pegno le parti possono convenire forme diverse". Nella specie, secondo l'incensurato (di per sé) apprezzamento della Corte territoriale, le parti hanno usufruito della facoltà loro concessa appunto dall'ultimo comma dell'art.2797 c.c., pattuendo che, in caso di mancato pagamento del credito, la Banca “può far vendere...con preavviso di almeno un giorno, dato in qualsiasi forma scritta, in tutto o in parte, i titoli costituiti in pegno a mezzo agente di cambio o, in mancanza, di ufficiale giudiziario", onde, in questo senso, non è dubitabile la legittimità della relativa clausola 16 contrattuale che prevedeva due deroghe alla procedura di vendita di cui al primo ed al secondo comma del già citato art.2797 c.c., rispettivamente concernenti il termine minimo di preavviso (ridotto ad un giorno) e la sostituzione dell'intimazione a mezzo di ufficiale giudiziario con un preavviso in forma scritta, dal momento che la stessa Corte ne ha fatto oggetto di espresso riconoscimento, dichiarando di condividere, al riguardo, l'assunto del primo Giudice ("la facoltà di deroga pattizia preveduta dall'ultimo comma dell'art.2797 c.c........può modificare le forme dell'intimazione di pagamento del primo comma o ridurre il termine dell'opposizione da parte dell'intimato”). Peraltro, come si è detto, la Corte territoriale ha affermato che "quest'ultima diposizione consente alle parti di convenire forme diverse per la vendita della cosa data in pegno,...facendo salva in ogni caso la necessità che sulle cose date in pegno il creditore si soddisfi solo all'esito di una procedura di vendita, giammai attraverso la vendita diretta delle cose stesse (non importa se a terzi od a sé stesso) e l'incameramento del relativo corrispettivo”. In realtà, il secondo comma dell'art.2797 c.c. stabilisce che la cosa data in pegno sia venduta “al pubblico incanto” soltanto qualora quest'ultima non abbia "un prezzo di mercato", giacché, in un caso simile, la vendita può avere luogo "anche a prezzo corrente, a mezzo di persona autorizzata a tali atti”. La disposizione appena richiamata, secondo quanto osservato anche in dottrina, deve essere intesa nel senso: a) per un verso, che il concetto legislativo di “prezzo di mercato” può essere desunto, per analogia, dall'art. 1515 c.c., relativo alla cosiddetta esecuzione coattiva della vendita, il quale stabilisce che la vendita stessa deve avere luogo all'incanto se la cosa non abbia un prezzo corrente, mentre, invece, se lo abbia 17 : e questo risulti "stabilito per atto della publica autorità ovvero risultante da listini di borsa o mercuriali", può svolgersi appunto “senza incanto, al prezzo corrente”, per mezzo di persone autorizzate a tali atti secondo l'art.83 disp. att.c.c. o, anche, di un commissionario; b) per altro verso, che vendita al "prezzo corrente" vuol dire, poi, vendita “a trattative private” per un prezzo non inferiore al minimo del listino, secondo quel che è dato di argomentare, per analogia, dall'art. 532 c.p.c.. Nella specie, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei criteri dianzi riportati, avendo, anche in relazione alla specifica prospettazione dell'odierna ricorrente, mancato di apprezzare: a) da un lato, se le cose oggetto del pegno, segnatamente in quanto rappresentate da titoli del debito pubblico rilasciati a garanzia, avessero “un prezzo di mercato”; b) dall'altro lato, se la medesima ricorrente, segnatamente in quanto rappresentata da un istituto di credito, come tale provvisto della qualità di intermediario finanziario e, quindi, di legittimato alla negoziazione dei valori mobiliari, rivestisse altresì la qualità di "persona autorizzata", ai sensi dell'ultimo comma dell'art.2797 c.c.. Nel senso di cui sopra, del resto, si è già espressa la più recente giurisprudenza di questa Corte (restando così superati i remoti precedenti di legittimità pure richiamati dal controricorrente: Cass. 15 giugno 1974, n.1753; Cass. Sezioni Unite 15 aprile 1976, n.1333) là dove, in analoga fattispecie, ha affermato, mediante la sentenza n.18439 del 14 settembre 2004, che non è revocabile, ai sensi dell'art.67, primo comma, n.2, della legge fallimentare, il pagamento eseguito, nel periodo sospetto, in base ad apposita convenzione 18 : trilaterale, mediante versamento diretto al creditore pignoratizio, da parte dell'acquirente del bene dato dal debitore in pegno non revocabile perché consolidato, del prezzo dello stesso, atteso che, in tal modo, essendosi provveduto attraverso la vendita del pegno all'estinzione di parte del debito, il creditore esercita il proprio diritto alla realizzazione del pegno medesimo, la cui costituzione non è più attaccabile con l'azione revocatoria fallimentare, laddove la revoca del pagamento produrrebbe l'effetto di una indiretta revoca della garanzia, senza che, peraltro, nella specie, possano spiegare rilievo, in contrario, né il fatto che sia stato il creditore pignoratizio ad avere proceduto all'acquisto dei titoli in questione (avendo il Giudice di merito, con apprezzamento di per sé incensurato, riconosciuto che "non importa” se la vendita diretta sia avvenuta “a terzi od a sé stesso") né il fatto che il creditore stesso, anziché trattenere il ricavato, lo abbia computato sul conto corrente J (chiuso) del debitore, al fine di dare evidenza contabile alla diminuzione del saldo passivo. Pertanto, il primo motivo di impugnazione merita accoglimento, onde, restando assorbiti il secondo ed il terzo, l'impugnata sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Ancona in diversa composizione, affinché tale Giudice provveda a decidere la controversia demandata alla sua cognizione facendo applicazione dei principi sopra enunciati. P. Q. M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, 19 anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Ancona in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 9 aprile 2008. IL PRESIDENTE Часама L'ESTENSORE CORTE SUPREMI DI CASSAZIONE Prime Se Depositai