Cass. pen., sez. V, sentenza 10/05/2023, n. 19887
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da G C, nato a Palmi il 12/09/1963, avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, emessa in data 03/11/2021;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa R C;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale G R, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
udite le conclusioni del difensore di fiducia dell'imputato, avv.to F P, anche in sostituzione dell'avv.to B, per delega orale, che si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Reggio Calabria, in sede di rinvio, ex art. 627 cod. proc. pen., a seguito di sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, Sezione prima, n. 41111 del 01/01/2018, in riforma della sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, ritenuta la continuazione con i fatti di cui alla sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria in data 25/01/1996, definitiva in data 21/10/1996, rideterminava in anni quattro di reclusione la pena inflitta all'imputato, a titolo di aumento per la continuazione sulla pena inflitta con la predetta sentenza definitiva.
2. Va, preliminarmente, ricordato che C G era stato condannato in primo grado, all'esito di giudizio abbreviato, per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen., aggravato ai sensi dei commi quarto e sesto, riconosciuto un ruolo direttivo nell'ambito della cosca omonima, operante nel comJne di Palmi e nella fascia tirrenica della provincia di Reggio Calabria, con l'ulteriore circostanza aggravante di aver commesso il fatto durante il periodo di applicazione della sorveglianza speciale di P.S., dal 22/06/2011 con condotta permanente (capo A);
nonché per il delitto di cui agi artt. 110, 81, comma secondo, 12-quinquies I. 356/1992, 7 I. 203/1991, in Reggio Calabria il 10/03/2008 (capo B). Il primo giudice, ritenuta la continuazione tra i predetti reati, aveva condannato C G alla pena finale di anni venti di reclusione, così determinata per il rito, disponendo la confisca dei beni immobili oggetto del delitto di cui al capo B). La Corte di Appello di Reggio Calabria, in data 05/05/2014, aveva escluso il ruolo direttivo dell'imputato in ambito associativo„ nonché la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis, comma sesto, cod. pen., riducendo la pena inflitta al predetto ad anni dodici di reclusione e confermando, nel resto, la sentenza impugnata. A seguito di ricorso per Cassazione, la Quinta Sezione Penale, con sentenza n. 43036 del 08/06/2015, annullava la sentenza impugnata limitatamente al capo A) ed alla circostanza aggravante di cui all'art. 7 I. 203/1991 contestata al capo B). In sede di rinvio, la Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza emessa in data 01/03/2016, confermava la sentenza emessa dal primo giudice, come riformata in data 05/05/2014, ponendo i fatti in continuazione con quelli di cui alla sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria, irrevocabile in data 21/10/1996, determinando la pena a titolo di continuazione in anni quattro mesi quattro di reclusione. A seguito di ricorso per Cassazione, la Sezione Prima, con sentenza n. 41111 del 10/01/2018, ha annullato la sentenza emessa in sede di rinvio, disponendo nuovamente il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per il giudizio. In data 03/11/2021, La Corte territoriale, con motivazione depositata in data 27/01/2022, ha emesso la sentenza oggetto del presente ricorso.
3. In data 11/03/2022 ed in data 16/03/.2022, con due distinti atti di ricorso, C G ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia avv.to F P, quanto al ricorso depositato in data 11/03/2022, e avv.to Davide B, quanto al ricorso depositato in data 16/03/2022, deducendo, rispettivamente, tre motivi e quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. Ricorso a firma dell'avv.to F P 3.1 violazione di legge, in riferimento agli artt. 627, comma 3, 628, 192, commi 2 e 3, 533, comma 1, 546, comma 1, lett. e), cod. proc pen., vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo la Corte di merito finito per ripercorrere lo stesso iter logico-giuridico già in precedenza censurato;
il motivo ripercorre analiticamente i singoli elementi indiziari valutati dalla Corte territoriale, al fine di evidenziare i vizi denunciati. Quanto alla presunta spartizione dei proventi a vantaggio anche del ricorrente, desunta da alcune captazioni ambientali, in sede di annullamento era stato rilevato che tali elementi, unitamente ad altri profili indiziari, non avrebbero potuto, nel loro complesso, essere ritenuti sufficienti capisaldi probatori e, ciò nonostante, la Corte reggina ha reiterato lo stesso schema inferenziale. In particolare, le due conversazioni, la prima del 22/02/2007 - svoltasi presso la Casa circondariale di Secondigliano tra G G, il figlio Antonino e la moglie Maria Carmela Surace, in cui si sarebbe fatto riferimento alla divisione per sei dei proventi delle estorsioni, evidente riferimento ai sei fratelli G - e la seconda del 05/08/2010 - tra G G, detenuto, ed il proprio difensore, in cui il primo riferiva della partecipazione alla divisione dei proventi dell'estorsione ai danni di Placido M, titolo custodiale oggetto del c:olloquio, anche del fratello C - sono state oggetto di una motivazione che costituisce reiterazione pedissequa delle stesse argomentazioni in precedenza utilizzate, riproducendo il medesimo passaggio motivazionale contenuto alle pagg. 72-73 della sentenza di appello emessa in data 01/03/2016, anche quanto all'obiezione difensiva in ordine all'impegno sostenuto da Liliana Facchini per il mantenimento di C G nel periodo della sua latitanza e della suc:cessiva detenzione;
la stessa reiterazione argomentativa viene operata anche in riferimento alle censure difensive, con cui si era evidenziato come la conversazione del 22/02/2007 non fosse riferita ai sei fratelli G, in quanto era stato dimostrato che anche altri soggetti, quali Filippo M ed Antonio Ciappina, partecipassero alla divisione dei proventi estorsivi, come risulta dal raffronto tra la motivazione della sentenza impugnata e le pagg. 74-76 della sentenza emessa in data 01/03/2016, senza che venga fornito alcun chiarimento circa l'intervenuta verifica di genuinità ed attendibilità di dichiarazioni ipoteticamente attribuite da Antonino Gallo ad un terzo soggetto, lo zio R G, e dal predetto riportate al padre. Stessa riproduzione pedissequa della motivazione è stata evidenziata in riferimento al secondo colloquio captato, in cui viene indicata dalla difesa la pag. 74 della precedente sentenza di appello, in cui già si sottolineava il riferimento esplicito a C G, senza affatto considerare le argomentazioni difensive che già avevano sottolineato come il ricorrente non fosse stato ritenuto partecipe dell'estorsione ai danni del M e come, in realtà, nel corso del colloquio con il difensore, G G si stava limitando ad indicare al proprio difensore la versione dei fatti che egli intendeva seguire per contrastare l'accusa di estorsione, ma, anzi, anche in tal caso riproducendo le stesse considerazioni precedentemente poste a base della sentenza oggetto di annullamento, alle pagg. 74 e 75;
in ogni caso, posto che la sentenza impugnata ha negato il coinvolgimento del ricorrente nell'attività estorsiva ed ha escluso la percezione, da parte dello stesso, di una quota del provento illecito, non si comprende come l'eventuale accantonamento in suo favore, da parte di uno stretto familiare, di parte di un provento illecito, la cui consapevolezza, da parte del ricorrente, è indimostrata, possa essere ritenuta dimostrativa della intraneità alla compagine criminosa, avendo la sentenza impugnata, S punto, fornito una motivazione del tutto illogica, in cui, da un lato, si conviene circa l'inquadramento in chiave difensiva del colloquio tra G G e l'avv.to M, tendendo il G a ricostruire in chiave lecita l'episodio, e, dall'altro, non si è considerato come il riferimento al fratello R si inserisse proprio nella parte del colloquio in cui G G tentava di accreditare una versione lecita della dazione di denaro da parte del M;
in realtà, come emerge dalla lettura dell'ordinanza applicativa della misura coercitiva in riferimento a detta vicenda, era stato proprio il Giudice della cautela ad ipotizzare — come emerge alla pag. 470 dell'ordinanza allegata in estratto — che le quote dell'estorsione, divise per cinque, avrebbero lasciato fuori Maria Antonietta G, anche questa deduzione del tutto priva di ancoraggio, soprattutto tenuto conto del fatto che dai capi di imputazione dell'ordinanza oggetto del colloquio in esame, già emergeva chiaramente che i cinque soggetti che avrebbero dovuto dividersi il provento estorsivo erano R G, Antonino G, Antonella Italia G, Maria Carmela Surace e Teresa G, senza alcun riferimento né possibile inclusione, quindi, del ricorrente. Quanto alla restituzione della barca rubata da D Nasso, la sentenza impugnata non supera le obiezioni difensive circa la mancata individuazione, in termini di certezza, dell'imputato con il soggetto a nome C evocato nelle conversazioni intercettate, posto che nell'ambito della stessa conversazione dei 24/07/2007 - allegata per estratto al ricorso - si fa più volte riferimento a tale C presente in Vaticano, C Scarcella, non avendo, peraltro, la sentenza impugnata indicato in quali altre conversazioni ci si riferisse, inequivocabilmente, al G, allo scopo di attribuire con certezza il riferimento al predetto del nominativo indicato nella sola conversazione del 24/07/2007;
né l'epoca della vicenda appare compatibile con il fatto che il G risultava assente da Palmi in quel contesto temporale, come emerso sia dalla conversazione del 12/07/2007 tra Antonino G ed il padre R, detenuto a
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa R C;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale G R, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
udite le conclusioni del difensore di fiducia dell'imputato, avv.to F P, anche in sostituzione dell'avv.to B, per delega orale, che si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Reggio Calabria, in sede di rinvio, ex art. 627 cod. proc. pen., a seguito di sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, Sezione prima, n. 41111 del 01/01/2018, in riforma della sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, ritenuta la continuazione con i fatti di cui alla sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria in data 25/01/1996, definitiva in data 21/10/1996, rideterminava in anni quattro di reclusione la pena inflitta all'imputato, a titolo di aumento per la continuazione sulla pena inflitta con la predetta sentenza definitiva.
2. Va, preliminarmente, ricordato che C G era stato condannato in primo grado, all'esito di giudizio abbreviato, per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen., aggravato ai sensi dei commi quarto e sesto, riconosciuto un ruolo direttivo nell'ambito della cosca omonima, operante nel comJne di Palmi e nella fascia tirrenica della provincia di Reggio Calabria, con l'ulteriore circostanza aggravante di aver commesso il fatto durante il periodo di applicazione della sorveglianza speciale di P.S., dal 22/06/2011 con condotta permanente (capo A);
nonché per il delitto di cui agi artt. 110, 81, comma secondo, 12-quinquies I. 356/1992, 7 I. 203/1991, in Reggio Calabria il 10/03/2008 (capo B). Il primo giudice, ritenuta la continuazione tra i predetti reati, aveva condannato C G alla pena finale di anni venti di reclusione, così determinata per il rito, disponendo la confisca dei beni immobili oggetto del delitto di cui al capo B). La Corte di Appello di Reggio Calabria, in data 05/05/2014, aveva escluso il ruolo direttivo dell'imputato in ambito associativo„ nonché la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis, comma sesto, cod. pen., riducendo la pena inflitta al predetto ad anni dodici di reclusione e confermando, nel resto, la sentenza impugnata. A seguito di ricorso per Cassazione, la Quinta Sezione Penale, con sentenza n. 43036 del 08/06/2015, annullava la sentenza impugnata limitatamente al capo A) ed alla circostanza aggravante di cui all'art. 7 I. 203/1991 contestata al capo B). In sede di rinvio, la Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza emessa in data 01/03/2016, confermava la sentenza emessa dal primo giudice, come riformata in data 05/05/2014, ponendo i fatti in continuazione con quelli di cui alla sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria, irrevocabile in data 21/10/1996, determinando la pena a titolo di continuazione in anni quattro mesi quattro di reclusione. A seguito di ricorso per Cassazione, la Sezione Prima, con sentenza n. 41111 del 10/01/2018, ha annullato la sentenza emessa in sede di rinvio, disponendo nuovamente il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria per il giudizio. In data 03/11/2021, La Corte territoriale, con motivazione depositata in data 27/01/2022, ha emesso la sentenza oggetto del presente ricorso.
3. In data 11/03/2022 ed in data 16/03/.2022, con due distinti atti di ricorso, C G ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia avv.to F P, quanto al ricorso depositato in data 11/03/2022, e avv.to Davide B, quanto al ricorso depositato in data 16/03/2022, deducendo, rispettivamente, tre motivi e quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. Ricorso a firma dell'avv.to F P 3.1 violazione di legge, in riferimento agli artt. 627, comma 3, 628, 192, commi 2 e 3, 533, comma 1, 546, comma 1, lett. e), cod. proc pen., vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo la Corte di merito finito per ripercorrere lo stesso iter logico-giuridico già in precedenza censurato;
il motivo ripercorre analiticamente i singoli elementi indiziari valutati dalla Corte territoriale, al fine di evidenziare i vizi denunciati. Quanto alla presunta spartizione dei proventi a vantaggio anche del ricorrente, desunta da alcune captazioni ambientali, in sede di annullamento era stato rilevato che tali elementi, unitamente ad altri profili indiziari, non avrebbero potuto, nel loro complesso, essere ritenuti sufficienti capisaldi probatori e, ciò nonostante, la Corte reggina ha reiterato lo stesso schema inferenziale. In particolare, le due conversazioni, la prima del 22/02/2007 - svoltasi presso la Casa circondariale di Secondigliano tra G G, il figlio Antonino e la moglie Maria Carmela Surace, in cui si sarebbe fatto riferimento alla divisione per sei dei proventi delle estorsioni, evidente riferimento ai sei fratelli G - e la seconda del 05/08/2010 - tra G G, detenuto, ed il proprio difensore, in cui il primo riferiva della partecipazione alla divisione dei proventi dell'estorsione ai danni di Placido M, titolo custodiale oggetto del c:olloquio, anche del fratello C - sono state oggetto di una motivazione che costituisce reiterazione pedissequa delle stesse argomentazioni in precedenza utilizzate, riproducendo il medesimo passaggio motivazionale contenuto alle pagg. 72-73 della sentenza di appello emessa in data 01/03/2016, anche quanto all'obiezione difensiva in ordine all'impegno sostenuto da Liliana Facchini per il mantenimento di C G nel periodo della sua latitanza e della suc:cessiva detenzione;
la stessa reiterazione argomentativa viene operata anche in riferimento alle censure difensive, con cui si era evidenziato come la conversazione del 22/02/2007 non fosse riferita ai sei fratelli G, in quanto era stato dimostrato che anche altri soggetti, quali Filippo M ed Antonio Ciappina, partecipassero alla divisione dei proventi estorsivi, come risulta dal raffronto tra la motivazione della sentenza impugnata e le pagg. 74-76 della sentenza emessa in data 01/03/2016, senza che venga fornito alcun chiarimento circa l'intervenuta verifica di genuinità ed attendibilità di dichiarazioni ipoteticamente attribuite da Antonino Gallo ad un terzo soggetto, lo zio R G, e dal predetto riportate al padre. Stessa riproduzione pedissequa della motivazione è stata evidenziata in riferimento al secondo colloquio captato, in cui viene indicata dalla difesa la pag. 74 della precedente sentenza di appello, in cui già si sottolineava il riferimento esplicito a C G, senza affatto considerare le argomentazioni difensive che già avevano sottolineato come il ricorrente non fosse stato ritenuto partecipe dell'estorsione ai danni del M e come, in realtà, nel corso del colloquio con il difensore, G G si stava limitando ad indicare al proprio difensore la versione dei fatti che egli intendeva seguire per contrastare l'accusa di estorsione, ma, anzi, anche in tal caso riproducendo le stesse considerazioni precedentemente poste a base della sentenza oggetto di annullamento, alle pagg. 74 e 75;
in ogni caso, posto che la sentenza impugnata ha negato il coinvolgimento del ricorrente nell'attività estorsiva ed ha escluso la percezione, da parte dello stesso, di una quota del provento illecito, non si comprende come l'eventuale accantonamento in suo favore, da parte di uno stretto familiare, di parte di un provento illecito, la cui consapevolezza, da parte del ricorrente, è indimostrata, possa essere ritenuta dimostrativa della intraneità alla compagine criminosa, avendo la sentenza impugnata, S punto, fornito una motivazione del tutto illogica, in cui, da un lato, si conviene circa l'inquadramento in chiave difensiva del colloquio tra G G e l'avv.to M, tendendo il G a ricostruire in chiave lecita l'episodio, e, dall'altro, non si è considerato come il riferimento al fratello R si inserisse proprio nella parte del colloquio in cui G G tentava di accreditare una versione lecita della dazione di denaro da parte del M;
in realtà, come emerge dalla lettura dell'ordinanza applicativa della misura coercitiva in riferimento a detta vicenda, era stato proprio il Giudice della cautela ad ipotizzare — come emerge alla pag. 470 dell'ordinanza allegata in estratto — che le quote dell'estorsione, divise per cinque, avrebbero lasciato fuori Maria Antonietta G, anche questa deduzione del tutto priva di ancoraggio, soprattutto tenuto conto del fatto che dai capi di imputazione dell'ordinanza oggetto del colloquio in esame, già emergeva chiaramente che i cinque soggetti che avrebbero dovuto dividersi il provento estorsivo erano R G, Antonino G, Antonella Italia G, Maria Carmela Surace e Teresa G, senza alcun riferimento né possibile inclusione, quindi, del ricorrente. Quanto alla restituzione della barca rubata da D Nasso, la sentenza impugnata non supera le obiezioni difensive circa la mancata individuazione, in termini di certezza, dell'imputato con il soggetto a nome C evocato nelle conversazioni intercettate, posto che nell'ambito della stessa conversazione dei 24/07/2007 - allegata per estratto al ricorso - si fa più volte riferimento a tale C presente in Vaticano, C Scarcella, non avendo, peraltro, la sentenza impugnata indicato in quali altre conversazioni ci si riferisse, inequivocabilmente, al G, allo scopo di attribuire con certezza il riferimento al predetto del nominativo indicato nella sola conversazione del 24/07/2007;
né l'epoca della vicenda appare compatibile con il fatto che il G risultava assente da Palmi in quel contesto temporale, come emerso sia dalla conversazione del 12/07/2007 tra Antonino G ed il padre R, detenuto a
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