Cass. pen., sez. VI, sentenza 12/05/2020, n. 14705
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da L A nato a Andria il 27/09/1950 avverso la sentenza del 05/10/2018 della Corte di appello di Bari;visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere M A;udite le richieste del Procuratore Generale presso questa Corte Marco Dall'Olio, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;udito l'avv. L T del Foro di Vibo Valentia, quale sostituto processuale dell'avv. V O del Foro di Trani, difensore della parte civile S L, il quale ha depositato conclusioni e nota spese;udito l'avv. D C del Foro di Roma, quale sostituto processuale dell'avv. S A del Foro di Trani, difensore dell'imputato, il quale si è riportato ai motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Bari, con sentenza del 05/10/2018, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, rispetto alla sentenza di improcedibilità per intervenuta prescrizione emessa da altra Sezione della Corte d'appello di Bari in data 11/03/2013, nei confronti di L A per il reato di cui all'art.646 cod. pen., condannava l'imputato al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile (statuizione che era stata omessa, nonostante la regolare costituzione). In primo grado, il Tribunale di Trani, con sentenza del 17/04/2015, aveva assolto L A dal reato di appropriazione indebita perché il fatto non sussiste. La Corte di appello di Bari, con la citata sentenza dell'11/03/2016, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato, riconoscendo la causa estintiva della prescrizione, obliterando le legittime istanze della p.c.. Avverso tale sentenza, aveva proposto ricorso per cassazione il difensore della parte civile, dolendosi dell'omessa pronuncia sull'appello dallo stesso proposto volto ad ottenere le statuizioni sulla domanda civile, nonostante la Corte adita avesse riconosciuto la responsabilità dell'imputato per il reato ascrittogli, ancorchè prescrittosi dopo la sentenza di primo grado e prima della sentenza di appello. La Corte di cassazione, con sentenza del 19/10/2017, aveva ritenuto fondato il ricorso della parte civile poiché la Corte di appello, nel dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, avrebbe dovuto decidere sull'impugnazione della parte civile agli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili e avrebbe dovuto pronunciarsi sulle domande da questa proposte. Di conseguenza aveva rinviato per un nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Bari. La Corte territoriale, con la sentenza in data 05/10/2018, oggi impugnata, manteneva ferma l'improcedibilità nei confronti di L A per intervenuta prescrizione del reato di appropriazione indebita aggravata attribuitogli, riconoscendo la responsabilità del Lombardi per il reato in contestazione (che si era realizzato mediante prelevamenti di denaro dall'investimento postale intestato alla sorella L A ovvero in disinvestinnenti di somme e prelevamento delle stesse sulla base di una procura generale rilasciatagli dalla germana, che non implicava autorizzazioni a donazioni, né dispensa dal rendere il conto degli atti posti in essere) e condannava il predetto al risarcimento del danno in favore della p.c. costituita. Sulle somme appartenenti alla sorella poi defunta, l'imputato aveva disposto uti dominus versandole sul libretto a lui intestato e che non aveva mai restituito, pro quota al fratello, dopo il decesso della predetta, benché fosse stato diffidato a presentare il rendiconto da parte del germano L S, suo coerede.Dagli accertamenti compiuti risultava che la somma complessivamente trasferita nel conto dell'imputato era pari ad euro 139.121,94. Pertanto, L A si era appropriato della metà della somma destinata al fratello coerede (69.560,97 euro), oltre danni non patrimoniali, interessi e spese processuali. 2. Ricorre per cassazione L A per il tramite del proprio difensore di fiducia per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 1) violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, 576, 622 cod. proc. pen. La Corte di appello di Bari in sede di rinvio non avrebbe dovuto procedere alla quantificazione e liquidazione dei danni, attesa la inapplicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 576 poiché, secondo l'assunto difensivo, tale norma prescinde da una precedente sentenza di condanna ma richiede che vi si impugnazione della sentenza di assoluzione ad opera della sola parte civile. Nel caso di specie, invece, avverso la sentenza di assoluzione in primo grado venne proposto appello, oltre che dalla parte civile, anche da parte del Procuratore Generale. Ne consegue che per i soli effetti civili all'annullamento della sentenza di appello per il difetto motivazionale doveva seguire un rinvio per nuovo esame dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello in applicazione dell'art. 622 cod. proc. pen.;2) con il secondo motivo, si propone questione di legittimità costituzionale dell'art. 576 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3, 111 comma 2 seconda parte Cost. nella parte in cui prevede cha la parte civile possa proporre al giudice penale anziché al giudice civile impugnazione ai soli effetti della responsabilità civile contro la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice. L'attribuzione discrezionale alla Corte penale anche della competenza per la domanda di impugnazione ai soli effetti civili rispetto all'alternativa possibile dell'attribuzione al giudice civile, assume connotati di grave irrazionalità priva di alcuna giustificazione. L'attuale permanente attribuzione al giudice penale, anziché al giudice civile dell'impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento ed ai soli effetti della responsabilità civile, costituisce una disciplina manifestamente irrazionale, in relazione ai parametri costituzionali di cui agli artt. 3 (perché l'attuale attribuzione altera la deliberazione nel merito sul contenuto della pretesa punitiva pubblica) e 111 comma 2 seconda parte Cost. (perché la giurisdizione sui meri interessi civili concorre a determinare l'irragionevole durata dei processi penali di appello in violazione dei principi dell'efficienza e dell'efficacia del sistema giurisdizionale).Si chiede pertanto di ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 576 cod. proc. pen., la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;3) violazione dell'art. 606 comma 1 lett. b), e) e c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, 129 cod. proc. pen., 152 comma 2 cod. pen., 75 comma 3 cod. proc. pen. In data 01/10/2010, L S citava l'odierno imputato dinnanzi al Tribunale di Bari in sede civile per avere agito con dolo in qualità di mandatario al fine di appropriarsi del patrimonio ereditario della sorella L A, con richiesta di condanna del convenuto, alla restituzione della somma del 50%. Il giudice civile adito dichiarava la sospensione del giudizio, in attesa della definizione di quello penale. Il 24/05/2016 L S depositava istanza di riassunzione per la prosecuzione del giudizio dopo la sentenza della Corte di appello di Bari del 11/03/2016. Con un ulteriore atto di citazione del 26/05/2016, rinnovato il 12/07/2016, L S instaurava un altro giudizio civile per chiedere la condanna di L A al risarcimento del danno morale da appropriazione indebita, da determinarsi nella somma di 25.000,00 euro o diversa somma dovuta secondo equità e giustizia. Successivamente alla pronuncia della Corte di cassazione del 19/10/2017, L S provvedeva a depositare due istanze per la riassunzione di due giudizi sospesi, uno per la restituzione delle somme dovute quale coerede e l'altra per il risarcimento dei danni non patrimoniali. Di conseguenza nel procedimento penale davanti la Corte di appello di Bari in sede di rinvio, avrebbe dovuto ritenersi configurata la revoca tacita della costituzione di parte civile essendo stata l'azione promossa anche davanti al giudice civile con perfetta coincidenza di causa petendi e di petitum e quindi pronunciare la conseguente declaratoria di revoca della parte civile onde evitare duplicazione di giudizio;4) violazione dell'art. 606 comma 1 lett. b), e) e e) in relazione agli artt.125, 129 cod. proc. pen., 120, 124, 126, 646, 649, 61 n. 11 cod. pen., 627 cod. proc. pen. La sentenza del giudice del rinvio risulta affetta da vizio motivazionale relativo alla violazione di legge e contraddittorietà e illogicità della motivazione: la querela proposta da L S in data 30/04/2008 nella qualità di erede di L A doveva ritenersi proposta irritualmente. Secondo l'assunto difensivo, parte offesa nel procedimento deve ritenersi L A e l'erede non può succedere nella posizione sostanziale e processuale del defunto. La contestazione dell'aggravante dell'art. 61 n. 11 cod. pen. non rende la fattispecie perseguibile di ufficio poiché era comunque carente la condizione di procedibilità, non ricorrendo l'aggravante dell'abuso di autorità o di relazioni domestiche o abuso di relazioni di ufficio di prestazione d'opera, di coabitazione o di ospitalità. Il L A aveva solo ricevuto dalla sorella rilascio della "procura generale" che, secondo l'assunto difensivo, non rientrerebbe in nessuna delle ipotesi di cui all'art. 61 n. 11 cod. pen. La querela risulta proposta in data 30/04/2008 e se ne doveva dichiarare la tardività ai sensi dell'art. 124 cod. pen. L'imputato si era appropriato delle somme che facevano capo alla sorella, acquisite in data 28/04/2008 presso le Poste Italiane s.p.a. e presso la Banca Intesa s.p.a.
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