Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 23/04/2004, n. 7724

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Il giudizio di proporzionalità, l'adeguatezza, della sanzione disciplinare (demandato al giudice di merito e non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo del difetto di motivazione), qualora abbia ad oggetto la sanzione massima del licenziamento, deve essere volto ad accertare se i fatti ascritti al dipendente sono di gravità tale, tenuto conto della natura dell'impresa, dell'attività all'interno di essa svolta e delle mansioni del dipendente, da compromettere irrimediabilmente il necessario rapporto di fiducia, laddove l'assenza di nocumento o di serio pericolo di nocumento alla sfera patrimoniale del datore di lavoro non è elemento decisivo per escludere il venir meno del rapporto di fiducia.(Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un cassiere di banca il quale aveva rilasciato quietanze di pagamento di un prestito senza registrare il versamento delle somme e trattenendo indebitamente le stesse per un certo periodo di tempo, anche se gli importi trattenuti non erano tali, in sè, da poter danneggiare considerevolmente il datore di lavoro).

In materia di illecito disciplinare nel rapporto di lavoro privato, i principi della immediatezza della contestazione e della tempestività della irrogazione della misura disciplinare, che costituiscono esplicazione del generale precetto di conformarsi alla buona fede e alla correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, devono essere intesi in senso relativo, nel senso che la tempestività può essere compatibile con un intervallo di tempo necessario, in relazione al caso concreto e alla complessità dell'organizzazione del datore di lavoro, ad una adeguata valutazione della gravità dell'addebito mosso al dipendente ed alla validità o meno delle giustificazioni da lui fornite; l'accertamento al riguardo compiuto dal giudice di merito è insindacabile in cassazione, ove adeguatamente motivato.(Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito avesse fatto corretta applicazione di tale principio in una fattispecie in cui l'illecito, consistente nell'aver un cassiere di banca rilasciato quietanze di pagamento di due rate di prestito senza che vi corrispondesse la registrazione del versamento, era venuto alla luce nel mese di marzo, in aprile era stata disposta una ispezione, a seguito della comunicazione dei risultati dell'ispezione la contestazione veniva intimata in settembre e nel successivo mese di ottobre il dipendente veniva licenziato, dopo aver ascoltato le sue difese).

In caso di proposizione del ricorso per cassazione nei confronti di società incorporata da un'altra società, posteriormente alla iscrizione dell'atto di fusione nel registro delle imprese, l'inesistenza del soggetto indicato nell'atto comporta l'assoluta incertezza circa l'identità della parte, e quindi una nullità dell'atto inerente alla costituzione del contraddittorio; tale nullità è sanabile per effetto dell'instaurazione del contraddittorio mediante la notificazione tempestiva del controricorso della società incorporante.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 23/04/2004, n. 7724
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 7724
Data del deposito : 23 aprile 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

4 AULA A 0 7 24 /04 REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano LA CORTE DI CASSAZIONE Sezione Lavoro Oggetto: Lavoro R.G.N. 12088/2002 Composta dai magistrati: G S - Presidente M D L - Consigliere Стоп. ли 888 Rep. Luciano Vigolo LCorrado Guglielmucci . Ud. 29.10.2003 P P relatore " ha pronunziato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da A V, elettivamente domiciliato in Roma, via Gregorio VII., n. 508, presso l'avv. G G, difeso dall'avv. P L con procura speciale apposta a margine del ricorso -ricorrente- contro

BANCA INTESA BANCA COMMERCIALE ITALIANA

SpA (succeduta a seguito di fusione per incorporazione alla Banca commerciale italiana SpA), in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, via Virgilio, n. 8, presso l'avv. 5550 E C, che, unitamente all'avv. P I, la difende con procura speciale apposta in calce al controricorso; -resistente- per la cassazione della sentenza della corte di appello di Palermo n. 126 in data 10 aprile 2001 (R.G.1163/2000); sentiti, nella pubblica udienza del 29.10.2003: il cons. P P che ha svolto la relazione della causa;
l'avv. C;
il Pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore generale Giovanni D'Angelo che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo La Corte di appello di Palermo ha confermato, rigettando l'appello di Vincenzo Attardo, la sentenza del Pretore della stessa sede, che aveva giudicato infondata l'impugnazione del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla Banca Commerciale Italiana SpA in data 18 ottobre 1995. Al dipendente era stato contestato di aver rilasciato quietanze di pagamento alla scadenza (1° febbraio e 1° marzo 1995) di due rate di un prestito personale concesso alla cliente Maria Gabriella Palazzo, senza che vi corrispondesse la registrazione del versamento e provvedendo al versamento della somma il successivo 22 marzo 1995;
di aver fatto uso irregolare del rapporto di conto corrente in corso con la Banca alle condizioni previste per il personale dipendente, superando più volte il limite di scoperto autorizzato di £ 5.000.000. Sulle questioni comprese nell'oggetto del giudizio di legittimità, la Corte di Palermo ha ritenuto: comprovata l'affissione del codice disciplinare e comunque ininfluente la circostanza ai fini della rilevanza disciplinare della condotta imputata all'Attardo; tempestivi la contestazione e il licenziamento, in relazione all'esigenza di accertare i fatti e alla complessità dell'organizzazione aziendale;
proporzionata la sanzione espulsiva perché i fatti erano idonei a compromettere irrimediabilmente la fiducia nei confronti del dipendente. 2 La cassazione della sentenza è domandata da V A con ricorso articolato in quattro motivi, al quale resiste con controricorso la S.pA. Banca Intesa Banca Commerciale Italiana, succeduta alla Banca Commerciale a seguito di fusione per incorporazione nella Banca Intesa SpA, con contestuale nuova denominazione di quest'ultima. Motivi della decisione 1. Preliminarmene, la Corte dichiara infondata la questione di ammissibilità per ricorso, sollevata dalla controricorrente per essere stato notificato alla Banca Commerciale, soggetto estinto a far data dal 1° maggio 2001 a seguito di incorporazione. 1.1. La giurisprudenza della Corte, infatti, si è già espressa nel senso che in caso di proposizione del ricorso per cassazione nei confronti di società incorporata da un'altra società, posteriormente all'iscrizione dell'atto di fusione nel registro delle imprese, l'inesistenza del soggetto indicato nell'atto comporta l'assoluta incertezza circa l'identità della parte, e quindi una nullità dell'atto inerente alla costituzione del contraddittorio, inquadrabile nell'ambito del combinato disposto, applicabile per analogia, degli art. 163, n. 2, e 164 c.p.c., ma che tale nullità resta tuttavia sanata per effetto dell'instaurazione del contraddittorio mediante la notificazione tempestiva del controricorso della società incorporante (Cass.3967/1999;
5754/2002: 5716/2003). 2. Il primo motivo del ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, relativamente al principio dell'immediatezza e della tempestività, nonché vizio della motivazione. Si deduce che la Banca aveva avuto modo di constatare l'omesso pagamento già della prima rata a pochi giorni dalla scadenza, ma che aveva disposto un'ispezione solo nel luglio 1995 e proceduto alla contestazione il 15 settembre successivo e al licenziamento il 14 novembre;
che, in particolare, con specifico riferimento all'uso irregolare del conto corrente, non vi era stato in precedenza alcun richiamo, cosicché doveva escludersi che la Banca considerasse di rilievo disciplinare il fatto. 3 2.1. Il motivo non può trovare accoglimento. La giurisprudenza della Corte, in materia di illecito disciplinare nel rapporto di lavoro subordinato privato, ritiene, in via generale e in mancanza di specifiche disposizioni di legge o contrattuali, che la tempestività della reazione del datore di lavoro all'inadempimento del lavoratore rileva sotto due distinti profili: sotto il primo profilo, il tempo decorso dall'accertamento del fatto potrebbe rivelare la mancanza di interesse all'esercizio del potere disciplinare;
sotto il secondo profilo, la tempestività della contestazione permette al lavoratore un più preciso ricordo dei fatti e gli consente di predisporre una più efficace difesa, con la conseguenza che la mancanza di una tempestiva contestazione si traduce in violazione delle garanzie procedimentali fissate f dall'art. 7 della legge n. 300 del 1970 (cfr., da ultimo, Cass. 5396/2003). Si aggiunge che il principio dell'immediatezza della contestazione dell'addebito mosso al lavoratore e quello della tempestività della misura disciplinare, discende altresì dal precetto che impone di conformarsi alla buona fede e correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 1562/2003). 2.2. Sul piano delle applicazioni concrete del principio, gli orientamenti della Corte sono consolidati nel senso che la tempestività deve essere intesa in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo necessario, in relazione al caso concreto e alla complessità dell'organizzazione del datore di lavoro, per un'adeguata valutazione meno delle della gravità dell'addebito mosso al dipendente e della validità o giustificazioni da lui fornite;
di conseguenza, l'accertamento al riguardo compiuto dal giudice di merito è insindacabile in cassazione, se congruamente motivato (cfr., tra le numerose decisioni, Cass. 12261/2003;
12141/2003;
8963/2003;
1562/2002, cit.; 14074/2002 4170/2002). 2.3. A questi principi si è attenuta la sentenza impugnata, accertando in fatto che i bollettini dei versamenti recanti la quietanza di pagamento erano stati esibiti dalla cliente Gabriella Palazzo a seguito della sollecitazione del pagamento delle due rate 4 scadute rivoltole dalla Banca il 20 marzo 1995;
che il direttore della filiale aveva chiesto un'ispezione nel successivo mese di aprile;
che i risultati dell'ispezione venivano comunicati alla Direzione centrale nell'agosto, la contestazione formulata il 15 settembre e il licenziamento intimato, dopo le difese del dipendente, il 18 ottobre. La sentenza, infatti, con motivazione completa, sufficiente e logica, ha formulato sulla base del descritto accertamento il giudizio in ordine alla tempestività, osservando, in particolare, che l'indagine del datore di lavoro era stata completata in tempi del tutto ragionevoli, in relazione alle circostanze del caso concreto e all'organizzazione aziendale, e che si era proceduto con immediatezza alla contestazione e poi al recesso. 2.4. Quante alle censure specificamente concernenti l'uso irregolare del conto corrente, vanno confutate osservando che la circostanza di fatto che sarebbe stato risalente nel tempo, anche sotto il profilo dell'entità dello "sconfinamento" oltre il limite massimo 그 della scopertura tollerata, costituisce un'affermazione del ricorrente che non trova riscontro negli accertamenti compiutinelli have (c izio di merito, nel quale non si deduce di avere ritualmente introdotto il tema d'indagine. Ne segue che resta non sindacabile il giudizio di merito secondo cui fu nel corso dell'ispezione che venne constatato tale uso irregolare. Va peraltro aggiunto che la precedente tolleranza del datore di lavoro non sarebbe idonea, di per se considerata, ad escludere l'illecito e che, in caso di violazione protratte nel tempo, deve aversi riguardo agli ultimi episodi ai fini della valutazione della tempestività della contestazione (cfr. Cass. 11933/2003). 3. Vanno esaminate unitariamente le censure contenute nel secondo e nel terzo motivo, nonché nella prima parte del quarto motivo, perché tutte concernenti il giudizio di proporzionalità formulato dal giudice del merito della misura espulsiva rispetto agli addebiti. Si denuncia violazione e falsa applicazione di legge in riferimento agli art. 2210 e 2119 c.c., agli art. 7 e 18 l. 300/1970, all'art. 11. 604/1966, per avere il Tribunale omesso di per formulare il giudizio di proporzionalità (travalutare circostanze essenziali 5 l'altro, da comprovare dal datore di lavoro), quali la precedente condotta lavorativa, la stima goduta nell'ambiente, l'elemento soggettivo anche in relazione alle sue condizioni di salute (secondo motivo). Si afferma che la fattispecie è stata erroneamente qualificata dalla sentenza impugnata come appropriazione indebita, stante la mancanza degli elementi essenziali del reato in relazione alla prassi anomala consistente nel favorire una persona a lui legata da vincoli familiari (fidanzata di un nipote), curando per suo conto il pagamento delle rate senza costringerla a recarsi personalmente agli sportelli della Banca (terzo motivo). Si denunzia vizio della motivazione in relazione all'oggettiva contradditorietà della deposizione della teste Palazzo, che, da una parte, aveva affermato di aver sempre consegnato il danaro per il pagamento delle rate, salvo che per la rata iniziale; dall'altro, di aver continuato a tenere lo stesso comportamento anche dopo aver conosciuto il fatto addebitato all'Attardo (prima parte del quarto motivo). 3.1. Le censure, come esposte in sintesi, non possono determinare la cassazione della sentenza impugnata. Va premesso che l'esito favorevole di un giudizio avente ad oggetto l'impugnazione di un licenziamento disciplinare che si assume ingiustificato, è determinato dall'inesistenza (anche in difetto della prova di cui è onerato il datore di lavoro) dell'inadempimento imputato al lavoratore, ovvero, ove risultino accertate mancanze imputabili al lavoratore, queste siano valutate, con riferimento al concreto rapporto e a tutti gli elementi del caso, non di gravità tale da giustificare la massima sanzione disciplinare (ai sensi degli art. 1 e 3 della legge n. 604 del 1966, infatti, è necessario un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, o, addirittura, un inadempimento ! tale da non consentire neppure la prosecuzione provvisoria, durante il periodo di preavviso, del rapporto). In questo si sostanzia il giudizio di proporzionalità, o di adeguatezza, della sanzione all'illecito commesso, giudizio di fatto istituzionalmente rimesso al giudice di 6 merito, in presenza di una specificazione, in senso accentuativo della tutela del lavoratore, della norma generale che collega la risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive alla non "scarsa importanza" dell'inadempimento stesso (art. 1455 c.c.). Ne segue che la parte interessata può ottenere una nuova formulazione di tale giudizio esclusivamente denunciando vizi della motivazione che determinano la cassazione della sentenza all'esito del giudizio di legittimità (cfr. Cass. 20027/2003;
444/2003;
14229/2001) 3.2. Orbene, la sentenza impugnata ha ampiamente motivato il giudizio di proporzionalità del licenziamento alle mancanze commesse, principalmente ponendo l'accento sulla gravità del fatto di aver rilasciato quietanze di pagamento senza registrare il versamento e trattenendo indebitamente le somme. Nell'economia della motivazione è questo il fatto che viene considerato idoneo a compromettere irrimediabilmente la fiducia, secondo una valutazione relativa alla natura dell'impresa e alle mansioni del dipendente, nonché in applicazione del principio secondo il quale l'assenza di nocumento (o di serio pericolo di nocumento) della sfera patrimoniale del datore di lavoro, se può concorrere a fornire elementi per la valutazione di gravità del comportamento inadempiente, non è però decisiva per escludere che possa dirsi irrimediabilmente incriminato il rapporto di fiducia (cfr. Cass. 9576/2001; 10996/2001). 3.3. Non risulta, quindi, fondata la denuncia di vizi della motivazione, tenuto altresì conto che le circostanze che il giudice del merito avrebbe omesso di valutare, soprattutto ai fini dell'elemento psicologico della condotta, sono indicate del tutto genericamente (malattia, precedenti lavorativi), mentre non investe un punto decisivo della decisione la qualificazione del fatto in termini di appropriazione indebita, atteso che, come si è detto, il giudizio di proporzionalità si regge autonomamente sulla considerazione della gravità del rilascio di quietanze senza accreditare alla Banca le relative somme, unitamente alla considerazione che l'uso irregolare del 7 conto corrente era significativo di un bisogno di risorse finanziare tale da porre a rischio l'affidamento nella correttezza dei comportamenti futuri. 4. La seconda, autonoma, censura contenuta nel quarto motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla ritenuta affissione del codice disciplinare. 4.1. Il motivo è inammissibile. Il Tribunale, da una parte, ha ritenuto comprovata l'avvenuta affissione del codice disciplinare, dall'altra, ha anche affermato che, quand'anche il codice non fosse stato affisso, il comportamento del dipendente sarebbe stato ugualmente sanzionabile con il licenziamento disciplinare. Di conseguenza, la Corte non può esaminare la fondatezza del suesposto motivo in applicazione del principio di diritto, pacifico nella sua giurisprudenza (cfr. Cass. 9057/1999), secondo il quale, in tema di impugnazioni, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l'omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni, determina l'inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l'eventuale accertamento della fondatezza dei motivi di ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata non potrebbe essere cassata, restando, pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa. 5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente alle spese e agli onorari del giudizio di cassazione, nella misura determinata in dispositivo.

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