Cass. pen., sez. III, sentenza 06/04/2023, n. 14584
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da E O S O n. in Nigeria il 28/09/1975;avverso la ordinanza del 31/10/2022 del tribunale di Monza;visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere G N;letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. R P che ha chiesto l'annullamento con rinvio della ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Con ordinanza del 31 ottobre 2022, il tribunale del riesame di Monza, adito nell'interesse di E O S O avverso il decreto di sequestro del Gip del medesimo tribunale del 13 settembre 2022, rigettava l'istanza di dissequestro. 2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso E O S O mediante il suo difensore, con un unico motivo di impugnazione. 3. Deduce vizi di violazione degli artt. 545 cod. proc. civ., richiamato dall'art. 104 disp. att. cod. proc. pen., e il vizio di mancanza e contraddittorietà della motivazione. Si lamenta la mancata restituzione delle somme sequestrate siccome non eccedenti i limiti stabiliti ai sensi dell'art. 545 cod. proc. civ., con riferimento alla pignorabilità di somme dovute a titolo di stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, con particolare riguardo alla relativa pignorabilità per il solo importo eccedente il triplo dell'assegno sociale. Si aggiunge la deduzione del vizio di motivazione, per non avere compreso, il tribunale, la deduzione immediatamente sopra citata, e per avere lo stesso formulato considerazioni smentite dai documenti allegati dalla difesa, dimostrativi di come la somma di euro 380,89, pure sequestrata il 20 ottobre, corrispondesse perfettamente a quanto versato alla ricorrente quale stipendio alla stessa spettante. Si aggiunge che, diversamente da quanto sostenuto dal tribunale, le somme accreditate a titolo di reddito di cittadinanza non sarebbero liberamente disponibili, essendo impossibile effettuare bonifici in "giro conto". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. Il tribunale non ha tenuto conto del principio per cui l'art. 545 cod. proc. civ. costituisce espressione di una regola generale che deve trovare applicazione anche con riferimento all'esecuzione derivante dal sequestro preventivo, in ragione della sua diretta discendenza da principi di ordine costituzionale, più volte correttamente posta in evidenza da questa stessa Corte nonché dalla Corte costituzionale. Con necessità di una lettura costituzionalmente orientata delle norme in materia di sequestro preventivo finalizzate alla confisca, volta ad assicurare l'operatività, anche in tali casi, dei medesimi limiti di sequestrabilità e pignorabilità di Clli all'art. 545 cit., sebbene (a differenza dell'art. 316 cod. proc. pen. in tema di sequestro conservativo) non richiamati espressamente (Sez. 1, n. 41905 del 23/9/2009, Cardilli, Rv. 245049), in quanto idonei a garantire al lavoratore un minimo vitale per le sue esigenze primarie (Sez. 3, n. 17386 del 7/12/2018, dep. 2019, Calandrini, non mass., e Sez. 3, n. 15099 del 22/3/2016, Moreschi, non mass.). In un tale contesto, non osta il mero mancato richiamo, nella disposizione dell'art. 321 cod. proc. pen., ai "limiti" entro i quali la legge consente il pignoramento dei beni, testualmente presente, invece, nel comma 1 dell'art. 316 cod. proc. pen. in tema di sequestro conservativo e valorizzato ai fini della propugnata impermeabilità del sequestro preventivo per equivalente alle disposizioni dell'art. 545 cod. proc. civ. Tanto più in quanto un tale mancato richiamo appare invece del tutto spiegabile, ove si abbia riguardo all'art. 104 disp. att. cod. proc. pen. che, nel regolare l'esecuzione del sequestro preventivo, dispone che la stessa abbia luogo, con riferimento ai beni mobili e ai crediti, nelle "forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili". Neppure il tribunale ha tenuto conto, conseguentemente, della correlata necessaria esclusione che la confusione delle somme, corrisposte a titolo di emolumenti retributivi o pensionistici, con il restante patrimonio immobiliare, possa avere una valenza ostativa all'applicazione dei limiti. Sul punto occorre ricordare che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno precisato che l'interpretazione della norma processual civilistica ex art.545 cod. proc. pen., per cui essa non sarebbe operante laddove le somme di denaro, accreditate sul conto corrente, finiscano per perdere la loro identità perché confuse nel patrimonio del lavoratore o pensionato, appare dissonante rispetto al complessivo assetto normativo dell'art. 545 cod. proc. civ., come definito all'esito della entrata in vigore della legge 6 agosto 2015, n.132 di conversione del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, che ha inserito, nella norma, il comma ottavo, specificamente dedicato proprio alle somme accreditate su conto corrente bancario o postale intestato al lavoratore. Nel precedente regime si era, infatti, affermato, che le somme accreditate fossero sottoposte all'ordinario regime dei beni fungibili secondo le regole del contratto di deposito irregolare ex art. 1782 cod. civ., in virtù del quale le somme versate perdono appunto la loro identità di crediti lavorativi o pensionistici, i da farne derivare, anche a fronte del principio generale della responsabilità patrimoniale del debitore di cui all'art. 2740 cod. civ., l'inapplicabilità dei limiti di pignorabilità dipendenti dal titolo degli accrediti (si veda, tra le altre, Cass. civ., Sez. L., n. 26042 del 17/10/2018, Rv. 651193 - 01). E tale indiscriminata pignorabilità delle somme accreditate su conto corrente a titolo di emolumenti retributivi o di trattamenti pensionistici era stata successivamente oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2015, fondamentalmente risoltasi, pur a fronte di una formale pronuncia di inammissibilità, in una sollecitazione al legislatore ad intervenire a tutela delle esigenze di vita del debitore esecutato. Di qui, dunque, la successiva introduzione, nell'art. 545 cit., del comma ottavo, che superando, con riferimento a tali specifici crediti qualificati, il principio di "confusione" conseguente all'accredito in conto corrente bancario o postale delle somme corrisposte dal datore di lavoro o dall'istituto previdenziale, ha previsto un regime di parziale impignorabilità, differenziato proprio in base al momento dell'accredito: se anteriore al pignoramento, dette somme possono essere pignorate solo per l'importo eccedente il triplo della pensione sociale;se, invece, l'accredito avvenga alla data del pignoramento o in data successiva, dette somme possono essere pignorate entro i limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge. Anche in tal caso, le somme eccedenti detti limiti sono considerate nella piena disponibilità del debitore e, dunque, pignorabili. Ne consegue, dunque, che è la stessa regolazione normativa a considerare, dal 2015, non dirimente, ai fini dell'applicabilità dei limiti di pignorabilità, il momento dell'accredito delle somme, idoneo invece solo a differenziare l'entità delle predette limitazioni. Va altresì sottolineato che alla operatività dell'art. 545 citato si accompagna, sul piano probatorio, la necessità che risulti attestata la causale dei versamenti, ovvero, in altri termini, sia certo che le somme interessate siano riconducibili ad emolumenti corrisposti nell'ambito del rapporto di lavoro o d'impiego (cfr. in motivazione Sez. U - n. 26252 del 24/02/2022 Rv. 283245 - 01). Alfine, occorre rilevare, posta la citata irrilevanza della "confusione", nella tematica in esame, tra elementi mobiliari, non appare logicamente e giuridicamente coerente la rilevazione del tribunale circa la mancata allegazione di un estratto conto, inerente il conto corrente interessato dal sequestro, attestante la circostanza del mancato transito sul medesimo dei fondi indebitamente percepiti a titolo di reddito di cittadinanza.
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