Cass. civ., SS.UU., sentenza 10/07/2003, n. 10842
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La c.d. tassa parere ben può inquadrarsi, in ragione delle finalità ad essa sottese, nella ampia e variegata figura dei contributi, il versamento dei quali è imposto all'avvocato, accanto all'adempimento delle obbligazioni previdenziali e fiscali, dall'art. 15 del codice deontologico, con conseguenze sul piano anche disciplinare in caso di relativa omissione.
Nel procedimento disciplinare nei confronti degli avvocati, nonostante il carattere amministrativo della fase davanti al consiglio dell'ordine, la lacuna dell'art. 45 del R.D.L. n. 1578 del 1933 che, nel prevedere la citazione dell'incolpato a comparire davanti a tale organo, non contiene la disciplina degli eventuali impedimenti, è colmabile analogicamente mediante la disciplina del codice di procedura penale relativa alla comparizione dell'imputato al dibattimento penale, del quale è previsto il rinvio in caso di assenza dell'imputato dovuta ad "assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento" (art. 486 cod. proc. pen.). Le valutazioni circa la sussistenza di un siffatto impedimento, compiute dal Consiglio nazionale forense in sede di impugnazione della decisione del consiglio dell'ordine, rappresentano un apprezzamento di fatto insindacabile in cassazione ove correttamente motivato.
La contestazione disciplinare nei confronti di un avvocato, che sia adeguatamente specifica quanto all'indicazione dei comportamenti addebitati, non richiede ne' la precisazione delle fonti di prova da utilizzare nel procedimento disciplinare, ne' la individuazione delle precise norme deontologiche che si assumono violate, dato che la predeterminazione e la certezza dell'incolpazione può ricollegarsi a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività. Ne consegue che necessario, ma al contempo sufficiente, al fine di garantire il diritto di difesa dell'incolpato - e di consentire, quindi, allo stesso di far valere senza alcun condizionamento o limitazione le proprie ragioni - è una chiara contestazione dei fatti addebitati, non assumendo, invece, rilievo la sola mancata indicazione delle norme violate o una loro erronea individuazione, spettando in ogni caso all'organo giudicante la definizione giuridica dei fatti contestati e configurandosi una lesione al diritto di difesa solo allorquando l'incolpato venga sanzionato per fatti diversi da quelli che gli sono stati addebitati ed in relazione ai quali ha apprestato la propria difesa.
Le disposizioni dei codici deontologici predisposti dagli ordini (o dai collegi) professionali, se non recepite direttamente dal legislatore, non hanno ne' la natura ne' le caratteristiche di norme di legge, come tali assoggettabili al criterio interpretativo di cui all'art. 12 delle preleggi, ma sono espressione di poteri di autorganizzazione degli ordini (o dei collegi), sì da ripetere la loro autorità, oltre che da consuetudini professionali, anche da norme che i suddetti ordini (o collegi) emanano per fissare gli obblighi di correttezza cui i propri iscritti devono attenersi e per regolare la propria funzione disciplinare. Ne discende che le suddette disposizioni vanno interpretate nel rispetto dei canoni ermeneutici fissati dagli artt. 1362 e ss. cod. civ., sicché con il ricorso per cassazione è denunciabile, "ex art. 360, numero 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dei suddetti canoni, con la specifica indicazione di quelli tra essi in concreto disattesi, nonché, "ex" art. 360, numero 5, cod. proc. civ., il vizio di motivazione, peraltro non riscontrabile allorquando si intenda far prevalere sulla logica e coerente interpretazione seguita nel giudizio di merito una diversa opzione ermeneutica patrocinata dalla parte ricorrente.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. I G - Primo Presidente f.f. -
Dott. O G - Presidente di sezione -
Dott. R E - Consigliere -
Dott. L E - Consigliere -
Dott. S F - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. M M R - Consigliere -
Dott. V G - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A C, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 140, presso lo studio dell'avvocato P L, rappresentato e difeso da S S;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI FERMO, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la decisione n. 172/02 del Consiglio nazionale forense di ROMA, depositata il 17/10/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/05/03 dal Consigliere Dott. G V;
udito l'Avvocato C A;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A M che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO Con decisione in data 28 giugno 2001 il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Fermo infliggeva all'avv. A la sanzione disciplinare dell'avvertimento per il mancato pagamento della c.d.
tassa parere, relativa alla parcella liquidata nei confronti del sig.
Michele Governatori per un ammontare pari a lire 175.000, e per il ritardato pagamento della stessa tassa relativa alla parcella liquidata nei confronti del sig. Danilo Latini per un ammontare di lire 138.000. Tali fatti si assumeva che perfezionavano la fattispecie di cui all'art. 15 del Codice deontologico professionale (approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 17 aprile 1997) e della delibera del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Fermo n. 9 dell'8 febbraio 1980 in relazione all'art. 7 del Decreto legislativo n. 382 del 23 novembre 1944, in quanto i fatti
addebitati erano in contrasto con il dovere di corrispondere i contributi dovuti agli organi forensi e con l'obbligo di osservanza dei provvedimenti del Consiglio, da parte dell'iscritto. Il Consiglio Nazionale Forense in data 17 ottobre 2002 rigettava il ricorso proposto dall'avv. A contro la decisione di primo grado. Premetteva a tale riguardo che erano del tutto pacifici i fatti contestati e cioè la richiesta di liquidazione delle note ed il mancato pagamento, in un caso, ed il ritardo nel pagamento della tassa parere, nell'altro caso;detta condotta contrastava con l'art. 15 del codice deontologico forense che al primo comma impone all'avvocato di soddisfare le obbligazioni previdenziali e fiscali ed al secondo comma stabilisce, invece, che l'avvocato è tenuto a corrispondere regolarmente e tempestivamente i contributi dovuti agli obblighi forensi;i fatti contestati si ponevano altresì in contrasto con l'art. 24 del codice deontologico, che disciplina il rapporto con il Consiglio dell'Ordine.
Non vi era, per concludere, soltanto un inadempimento di carattere monetario ma anche una specifica inosservanza del provvedimento del Consiglio dell'Ordine. Quanto all'eccezione che era stata sollevata di illegittimità della pronunzia per mancata adesione alla richiesta di rinvio, il Consiglio assumeva che l'assenza dell'incolpato doveva ritenersi ingiustificata perché il certificato medico inviato nell'immediatezza della seduta disciplinare - il che aveva impedito ogni controllo - non aveva attestato l'assoluta impossibilità dell'iscritto a presenziare all'udienza. Avverso tale decisione l'avv. A propone a queste Sezioni Unite della Cassazione ricorso, affidato a cinque motivi. Non si è costituito in giudizio il consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Fermo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'inapplicabilità della fattispecie di cui all'art. 15 del codice deontologico sostenendo al riguardo che la suddetta disposizione volta a fissare l'obbligatorietà degli adempimenti previdenziali e fiscali ed, in particolare, a corrispondere i contributi dovuti agli organi forensi ed all'ente previdenziale non è estensibile alla c.d. tassa di opinione, costituente un mero corrispettivo della valutazione effettuata dall'Ordine in relazione alla congruità della parcella. Con il secondo motivo il ricorrente rileva che nella fattispecie non è rinvenibile un illecito disciplinare atteso che per effetto del mancato pagamento della tassa il Consiglio dell'ordine aveva chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo avverso il quale esso ricorrente aveva proposto opposizione, sicché pendendo il giudizio e non essendo stata concessa la provvisoria esecuzione l'importo della tassa era inesigibile.
Con il terzo motivo, sempre in relazione al ritardo di pagamento contestatogli, il ricorrente riferisce che a fronte della circostanza che il Consiglio aveva comunicato l'ammontare della tassa dopo ben dieci mesi dal deposito della istanza di liquidazione, il ritardo nel pagamento era di soli dieci giorni rispetto al termine fissato nella lettera del 14 marzo 2001. Con il quarto motivo l'avv. A sostiene che il Consiglio aveva violato il disposto dell'art. 50, comma 3, del R.D. 22 gennaio 1934 n. 37 perché aveva incredibilmente ritenuto che la rottura del
menisco non costituisse patologia tale da configurare un giustificato impedimento, procedendo così illegittimamente alla discussione della controversia in assenza dell'incolpato. Con il quinto motivo il ricorrente evidenzia che il provvedimento di liquidazione della parcella Danilo Latini era stato oggetto di ricorso al TAR Marche perché emesso (come quello di Michele Governatori) al di sotto dei minimi tariffari e, pertanto, in totale violazione e spregio dell'art. 4 del D.M. 5 ottobre 1994 n. 585 "Tariffa Forense".