Cass. pen., sez. VI, sentenza 28/06/2022, n. 24774
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Testo completo
seguente SENTENZA sul ricorso proposto da C G, nato a Siracusa il 14/08/1979 avverso la sentenza del 13/11/2019 della Corte di appello di Messina;visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere E A;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale R G, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;udito per il ricorrente l'avv. M F e l'avv. A G, che hanno concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Messina confermava la pronuncia di primo grado del 13 novembre 2017 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato G C in relazione al reato di cui agli artt. 110 e n 343, primo e terzo comma, cod. pen., per avere, quale avvocato difensore di fiducia di G C - indagato in un procedimento penale in fase di indagini per aveva concorso, nella veste di notaio, nella commissione dei delitti di falso in atto pubblico e truffa aggravata - nel corso dell'interrogatorio di garanzia curato il 3 novembre 2015 dal Giudice per le indagini preliminari che aveva disposto nei riguardi del C l'applicazione di una misura cautelare personale, in concorso con il proprio assistito offeso l'onore e il prestigio del pubblico ministero ivi presente T P, magistrato in servizio presso l'ufficio di procura siracusano;in particolare, dopo che il C aveva formulato espressioni offensive verso il P (dicendo che "il pubblico ministero sta(va) dicendo cose inutili", che "il pubblico ministero non (sapeva) neanche cos'è un atto notarile falso... (e che avrebbe dovuto) spiegare di fronte a una pubblica accusa perché (aveva dichiarato) che il (suo) atto pubblico (era) falso", invitando il magistrato "a studiare"), aveva rivolto a quel magistrato altre frasi offensive, anticipandogli che l'indomani "gli avrebbe notificato per questo una citazione personale";sostenendo di voler sapere dal P "dove e come si (fosse) permesso di scrivere una richiesta di misura cautelare senza una norma in vigore";anticipandogli che "questo lo (avrebbero visto) al CSM", avendo ricevuto dal proprio cliente apposito "mandato", perché quello "era il suo lavoro... studiare la responsabilità dei magistrati quando violano gli obblighi in maniera oggettiva";aggiungendo che "le filosofie che (faceva) il pubblico ministero si scontra(va)no con un principio rodato che (lui) aveva studiato al primo anno di università" e che "doveva studiare il 1488...";intimandogli di "rendersi conto della gravità del suo comportamento (per aver chiesto) per negligenza e imperizia una misura a un notaio deputato della regione Sicilia;rivolgendosi al magistrato con la frase "non siete Dior;chiedendo "l'immediata revoca dell'ordinanza" e riservando "ogni e più opportuna azione sotto il profilo disciplinare";contestando al P la sua asserita "ignoranza" in ambito giuridico. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il C, con atto sottoscritto dai suoi difensori, il quale ha dedotto cinque motivi (il cui contenuto è stato ulteriormente esplicitato con la successiva memoria difensiva trasmessa via pec). 2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale ingiustificatamente disatteso la richiesta difensiva di rinvio della trattazione dell'appello nell'udienza del 13 novembre 2019, benché fosse stata documentata l'esistenza di una ragione ostativa sanitaria alla partecipazione dell'imputato a quella udienza.2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 343 cod. pen., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità e contraddittorietà, per avere la Corte distrettuale confermato la pronuncia di condanna di primo grado benché: 2.2.1. il C fosse stato chiamato a rispondere a titolo di concorso di frasi oltraggiose pronunciate dal coimputato;2.2.2. il prevenuto fosse stato giudicato responsabile per aver formulato una "minaccia di azione disciplinare", che è elemento estraneo al paradigma normativo della fattispecie oggetto di addebito;2.2.3. il predetto avesse pronunciato la frase "il 1488 lei lo deve andare a studiare, non io" che altro non era stata se non una risposta ad analoga affermazione rivoltagli dal pubblico ministero nel corso di quell'interrogatorio;2.2.4. l'imputato avesse espresso indicazioni oggettivamente -dovevamo pertinenti e continenti rispetto all'oggetto della disputa giuridica, tenuto conto che a seguito e per effetto di quei rilievi critici il pubblico ministero aveva provveduto a modificare il capo d'imputazione, eliminando ogni riferimento alla violazione di un protocollo notarile che non era mai entrato in vigore;2.2.5. il C fosse stato, dunque, dichiarato colpevole non per l'effettivo contenuto e il valore semantico delle frasi pronunciate all'indirizzo del magistrato, aspetto che non era stato chiarito (anche per il mero riferimento che era stato fatto agli elementi costitutivi - ignoranza e negligenza - di possibili illeciti disciplinari), ma per il modo in cui le stesse erano state esternate, cioè per il volume della voce e il tono della esposizione. 2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 598 e 393-bis cod. pen., e vizio di motivazione, per travisamento del fatto, per avere la Corte di merito erroneamente disatteso le richieste difensive di qualificare le affermazioni dell'imputato come direttamente funzionali alla difesa del proprio cliente, accusato di aver violato un protocollo notarile mai entrato in vigore e perciò giuridicamente inesistente;e di aver escluso che quei comportamenti fossero stati giustificati dalla esigenza di reagire al compimento di un atto arbitrario, quale quella di aver formulato una richiesta di applicazione di una misura cautelare nei confronti dell'indagato sulla base di un presupposto normativo inesistente, atto illegittimo perché espressione di quella "ingiustificatezza" e di quella "colpa inescusabile" del pubblico ministero che ben avrebbero potuto integrare gli estremi di un illecito disciplinare;ed ancora, per avere la Corte di appello attribuito al C la espressione di frasi che erano state, invece, certamente pronunciate dal coimputato C. 2.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 343, terzo comma, cod. pen., e vizio di motivazione, per illogicità, per avere la Corte messinese ritenuto la sussistenza della aggravante della minaccia, laddove l'imputato si era limitato a prospettare la possibilità della presentazione di una denuncia di natura disciplinare, comportamento che non può essere qualificato come minaccioso a fini penali. 2.5. Vizio di motivazione, per assenza o apparenza, per avere la Corte territoriale disatteso le richieste difensive di riduzione della pena, di riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza e di concessione del beneficio della non menzione della condanna, nonostante fosse risultato che il C aveva agito nella convinzione di esercitare un diritto di critica, proprio della sua attività professionale, a fronte della ingiustificatezza della richiesta cautelare che era stata formulata dal pubblico ministro.
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