Cass. civ., sez. I, sentenza 24/07/2003, n. 11478

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L'istituto della denunzia di inizio attività, per quelle che sono subordinate ad autorizzazione il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e requisiti di legge, disciplinato dall'art. 19 della legge n. 241 del 1990, pone a carico del privato solo l'onere di comunicare l'avvio dell'attività, con un atto che, a differenza di quanto accade nel caso del silenzio - assenso disciplinato dall'art. 20 della stessa legge n. 241, non è una domanda, ma una informativa cui è subordinato l'esercizio del diritto. In tali casi, in conseguenza di tale liberalizzazione dell'attività, il privato ha la possibilità di iniziare immediatamente l'attività e di svolgerla lecitamente mentre l'Amministrazione è chiamata ad operare un controllo successivo volto a verificare d'ufficio l'esistenza dei presupporti e requisiti richiesti dalla legge, e può, anche oltre il termine di sessanta giorni, applicare le sanzioni stabilite. Infatti, l'art. 21 della legge n. 241 stabilisce che le sanzioni, già previste per le attività svolte senza la prescritta autorizzazione, possono essere applicate quando la stessa è iniziata o svolta in mancanza dei requisiti o in contrasto con le disposizioni di legge.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 24/07/2003, n. 11478
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11478
Data del deposito : 24 luglio 2003
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. L G - Presidente -
Dott. P D - Consigliere -
Dott. F F M - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. D A S - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
F A, in proprio e in qualità di erede della madre F G;
RANGHETTI FELICE SRL, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA

19 presso l'avvocato G A D M, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato A M, giusta procura a margine del ricorso;



- ricorrenti -


contro
COMUNE DI CHIARI;



- intimato -


avverso la sentenza n. 3339/00 del Tribunale BRESCIA, depositata il 19/07/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/03/2003 dal Consigliere Dott. S D A;

udito per il ricorrente, l'Avvocato D M, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. U A che ha concluso per il rigetto o l'inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A F, G F e la s.r.l. R F proponevano opposizione, innanzi al Tribunale di Brescia, avverso l'ordinanza n. 3033 del 7 febbraio 1997, con cui il Sindaco del Comune di Chiari aveva loro ingiunto il pagamento della somma di lire quindicimilioni, a titolo di sanzione amministrativa, per avere, in violazione dell'art. 11 della legge della Regione Lombardia 30 marzo 1982, n. 18, eseguito attività estrattive in
assenza della prescritta autorizzazione amministrativa. A fondamento dell'opposizione i ricorrenti assumevano che il modesto movimento di terra da loro posto in essere era finalizzato alla bonifica di un terreno agricolo e non all'estrazione di materiale;

da ciò conseguiva l'inapplicabilità della legge regionale menzionata nel provvedimento sanzionatorio o, al più, l'applicabilità dell'art. 43 della stessa legge con l'ulteriore conseguenza che, decorsi sessanta giorni dalla denunzia di inizio dell'attività di scavo, effettuata il 14 maggio 1996, doveva ritenersi tardivo il provvedimento di sospensione dei lavori adottato dal Comune in data 13 dicembre 1996.
Il Comune di Chiari si costituiva chiedendo il rigetto dell'opposizione;
in particolare, il Comune esponeva che, dopo un primo sopralluogo in data 25 settembre 1996, nel corso del quale era stato accertato l'inizio di attività in violazione dei termini di cui al d.l. n. 495 del 1996, la Facchi aveva successivamente presentato una nuova dichiarazione di inizio di attività. A seguito di quest'ultima dichiarazione, gli agenti della polizia municipale avevano accertato, in data 28 novembre 1996, una escavazione, che il tecnico incaricato aveva ritenuto eseguita in difetto della necessaria autorizzazione provinciale, considerato che, pur inserendosi nell'ambito di una attività di bonifica agricola, aveva comportato asportazione di materiale inerte.
All'esito dell'istruttoria, nel corso della quale venivano assunte le prove per testi chieste dal Comune, il Tribunale rigettava l'opposizione. In particolare, il giudice unico osservava che: 1) gli agenti verbalizzanti avevano riscontrato sul posto uno scavo della profondità di circa due metri e la presenza di una escavatrice che stava riempiendo il cassone di un autocarro;
2) il materiale escavato non veniva smaltito sul fondo ove era stata posta in essere l'attività di escavazione, ma trasportato presso la ditta Ranghetti.
Avverso detta sentenza A F, anche nella qualità di erede della madre G F, nel frattempo deceduta, e la s.r.l. R F propongono ricorso per Cassazione, deducendo tre motivi. Il Comune di Chiari non ha svolto attività difensiva. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 19 e 7 della legge n. 241 del 1990 nonché il vizio di motivazione. In particolare, i ricorrenti deducono che, dopo il decorso del termine di sessanta giorni dalla denunzia dell'inizio dell'attività, l'amministrazione non poteva più sanzionare come illegittima la stessa attività che doveva considerarsi ormai autorizzata;
al più l'amministrazione avrebbe potuto procedere alla revoca dell'autorizzazione, dando però comunicazione alla parte dell'inizio del relativo procedimento.
Il motivo è infondato. In proposito occorre premettere che l'amministrazione, costituendosi nella fase di merito, aveva collegato il proprio intervento sanzionatorio alla denunzia di inizio attività presentata dall'interessata il 28 novembre 1996 e non a quella presentata in data 14 maggio 1996, alla quale invece fanno riferimento i ricorrenti. La circostanza, sulla quale la sentenza impugnata non si è pronunziata, è tuttavia irrilevante. L'istituto della denunzia di inizio attività è disciplinato dall'art. 19 della legge n. 241 del 1990, che, per le attività subordinate ad autorizzazione, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, pone a carico del privato l'unico onere di comunicare l'avvio dell'attività, con un atto che, a differenza di quanto accade nel caso del silenzio-assenso, disciplinato dall'articolo 20 della stessa legge n. 241/1990, non è una domanda, ma una informativa cui
è subordinato l'esercizio del diritto. La possibilità di iniziare immediatamente l'attività esclude che l'amministrazione abbia il ruolo svolto tradizionalmente nei procedimenti autorizzatori ed eserciti, quindi, un preventivo potere permissivo. In questo caso, come rileva la dottrina, "l'amministrazione è chiamata a svolgere una attività di controllo successivo, ossia in un momento in cui l'attività comunque già si svolge lecitamente". Il fatto che l'attività possa iniziare anche prima del decorso del termine di sessanta giorni assegnato dalla legge all'amministrazione "per verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti" dimostra che l'attività stessa, se conforme ai presupposti e requisiti di legge, è liberalizzata e non necessita di autorizzazione. Manca, pertanto, un silenzio-assenso equiparato al provvedimento favorevole e manca perciò, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, un provvedimento rispetto al quale l'amministrazione possa esercitare poteri di autotutela. Quanto al decorso del termine di sessanta giorni, non sembra che lo stesso comporti oltre alla decadenza dell'amministrazione dal potere di inibire la prosecuzione dell'attività anche la possibilità che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa lecitamente continuare, senza essere sanzionata. In proposito, sembra decisivo il fatto che l'art. 21 della legge n. 241 del 1990 stabilisce che le sanzioni già previste per le attività
svolte senza la prescritta autorizzazione siano applicate quando una attività, pur dopo la comunicazione all'amministrazione, viene iniziata in mancanza dei requisiti richiesti o comunque in contrasto con le disposizioni di legge. Pertanto, anche dopo il decorso del termine di sessanta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'amministrazione non perde il potere sanzionatorio.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell'art. 2697 cod. civ. e dell'art. 23 l. n. 689/1981 nonché il difetto di
motivazione in relazione alla affermazione che era stato eseguito uno scavo della profondità di due metri e che il materiale veniva trasportato fuori dal fondo presso la ditta Ranghetti. Quanto al primo punto, in particolare, i ricorrenti lamentano che il Tribunale non abbia tenuto conto delle risultanze istruttorie, dalle quali era emerso che non era stata effettuata una misurazione precisa, anche se uno dei testi aveva riferito che la profondità dello scavo era superiore alla sua altezza. Quanto al secondo punto, i ricorrenti, premettono che, come dedotto con l'opposizione, l'attività svolta ricadeva nella previsione dell'articolo 43, 3^ comma, della legge Regione Lombardia n. 18 del 1982, che esclude dall'ambito di
applicazione della stessa legge "le attività di bonifica agricola consistenti nel semplice trasferimento di materiale all'interno del fondo o di fondi contigui";
ciò posto, i ricorrenti si dolgono che il Tribunale abbia affermato che il materiale fosse destinato alla ditta Ranghetti, sebbene il dato non fosse emerso da nessun elemento acquisito in istruttoria e sebbene essi avessero chiesto inutilmente di provare per testi che il materiale veniva trasportato e smaltito in un fondo contiguo di proprietà della Facchi, ove serviva per la formazione del rilevato della strada di accesso.
Il motivo è infondato, come emerge già dalla sua prospettazione, nella parte in cui lamenta il difetto di motivazione in ordine all'entità dello scavo. Gli stessi ricorrenti, infatti, deducono che lo scavo, secondo quanto riferito da un teste, aveva una profondità superiore all'altezza di un uomo. Il motivo è, invece, fondato nella parte in cui lamenta un vizio di motivazione in ordine alla destinazione del materiale e, quindi, in ordine ad una circostanza decisiva, ai sensi del citato art. 43, 3^ comma, ai fini della configurazione dell'illecito. La sentenza, infatti, afferma del tutto apoditticamente che i materiali frutto dello scavo erano destinati alla ditta Ranghetti, senza indicare su quali elementi fonda il proprio convincimento.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell'art. 2697 cod. civ. e dell'art. 23 l. n. 689/1981 nonché il difetto di
motivazione in relazione alla mancata ammissione delle prove per testi da essi formulate e dirette a provare la natura
dell'escavazione e la destinazione dei materiali.
Il motivo è fondato. Come si è visto nell'esame del motivo precedente, ai sensi del 3^ comma dell'art. 43 della legge n. 18/1982 della Regione Lombardia, "le attività di bonifica agricola
consistenti nel semplice trasferimento di materiale all'interno del fondo o di fondi contigui, ancorché di proprietà diverse, sono escluse dall'ambito di applicazione della ... legge". Pertanto, poiché le prove per testi articolate dagli opponenti erano dirette proprio a dimostrare la natura degli scavi e la destinazione dei materiali, alle stesse doveva riconoscersi carattere decisivo ed erroneamente sono state disattese dal Tribunale.
Per quanto sopra, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Brescia in persona di altro magistrato.

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