Cass. civ., SS.UU., sentenza 09/03/2009, n. 5624
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L'art. 2033 cod. civ., pur essendo formulato con riferimento all'ipotesi del pagamento "ab origine" indebito, è applicabile per analogia anche alle ipotesi di indebito oggettivo sopravvenuto per essere venuta meno, in dipendenza di qualsiasi ragione, in un momento successivo al pagamento, la "causa debendi". (Fattispecie relativa alla ripetizione di somma conseguente ad accordo amichevole sull'indennità di espropriazione, a seguito della revoca sopravvenuta della dichiarazione di pubblica utilità comportante l'inefficacia dell'accordo medesimo, con relativo computo degli interessi compensativi dal momento della domanda giudiziale, essendo rimasta esclusa la malafede del soggetto espropriando).
In tema di espropriazione per pubblica utilità, qualora, percepita a seguito di "accordo amichevole" da parte del proprietario espropriando la somma convenuta a titolo di indennità di espropriazione in relazione ad un procedimento in corso, ed avvenuta la presa di possesso, in virtù di occupazione d'urgenza da parte dell'espropriante del bene, sia sopravvenuta la revoca della dichiarazione di pubblica utilità (costituente il presupposto del procedimento ablativo), tutti i successivi atti che vi si ricollegano diventano inefficaci in forza del suddetto provvedimento terminativo della procedura espropriativa. Conseguentemente, la somma anticipata all'espropriando diventa priva di causa, così come diventa ingiustificata (e, perciò, illegittima) la protrazione dell'occupazione del bene da parte del soggetto espropriante, con l'effetto che ciascuno dei due è obbligato alle rispettive restituzioni, cui si correla l'applicabilità della disciplina sulla "mora credendi", che ha carattere generale e si estende, perciò, anche all'obbligo di restituire un immobile, con derivante applicazione, altresì, della disposizione dell'art. 1227, comma secondo, cod. civ., alla stregua della quale il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.
In caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinché non risulti elusa la "ratio" dell'art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all'oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l'illustrazione.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V P - Primo Presidente f.f. -
Dott. P E - Presidente di sezione -
Dott. E A - Presidente di sezione -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. F F M - Consigliere -
Dott. P P - Consigliere -
Dott. F F - rel. Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. L T M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13074/2007 proposto da:
PARISI LUCIA (PRSLCU25C54E339C), elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 10, presso lo studio dell'avvocato M P, rappresentata e difesa dall'avvocato S A, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA DIFESA;
- intimato -
sul ricorso 16783/2007 proposto da:
MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
PARISI LUCIA;
- intimata -
avverso la sentenza n. 657/2006 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 30/10/2006;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/02/2009 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;
uditi gli avvocati Attilio SCOLA, VARRONE dell'Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. NARDI Vincenzo, che ha concluso, previa riunione, in via preliminare del ricorso principale e del corrispondente ricorso incidentale;rigetto del primo e accoglimento del secondo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Ministero della Difesa, con atto di citazione notificato il 22 maggio 1998, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Catanzaro la Sig.ra P Lucia per sentir dichiarare l'inefficacia dell'accordo stipulato in data 3 ottobre 1990 tra le parti, relativo al "concordamento dell'indennità" di esproprio di terreni di proprietà del convenuto, siti in agro di Isola Capo Rizzuto, e, conseguentemente, condannare la P alla ripetizione dell'indebito, per la somma complessiva di L. 103.420.000, oltre interessi legali dal 21 marzo 1996 al soddisfo. La P.A. attrice a fondamento della domanda deduceva che, avendo deciso, nel 1988, gli Stati aderenti alla NATO il trasferimento in Italia del 401^ stormo USAF, da localizzarsi in località Isola Capo Rizzato, con ampliamento dell'aeroporto ivi esistente, con D.P.R. 13 marzo 1989, n. 27, era stata dichiarata la pubblica utilità delle opere
occorrenti, e in data 22 giugno 1990 era stata autorizzata l'occupazione, in località Ronzino, di taluni terreni di proprietà della P. L'immissione nel possesso avveniva in data 24 settembre 1990. In data 3 ottobre 1990 le parti stipulavano il su menzionato accordo relativo alla misura dell'indennità di esproprio, che veniva corrisposta dall'Amministrazione, nella misura dell'80% del relativo importo, pari a L. 103.420.000. Essendo stata revocata la dichiarazione della pubblica utilità delle opere, il Ministero deduceva che l'"atto di concordamento" doveva ritenersi caducato e le somme erogate dovevano essere restituite, essendo divenuta la loro prestazione priva di causa.
La convenuta si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attrice e, in via riconvenzionale, che venisse dichiarato il trasferimento della proprietà degli immobili in questione al Ministero della Difesa. In via subordinata la P chiedeva che venisse accertato e dichiarato che nulla era da lei dovuto in relazione alle somme percepite quali maggiorazione dell'indennità di base, in considerazione della "ratio" delle maggiorazioni stesse. Inoltre, la convenuta formulava domanda riconvenzionale intesa ad ottenere l'accertamento dei danni patiti a causa della condotta dell'Amministrazione e, per l'effetto, la condanna del Ministero agente al relativo risarcimento. Nel corso del giudizio il Ministero chiedeva e otteneva dal tribunale che fosse disposto il sequestro liberatorio del bene, che veniva autorizzato con ordinanza del 2 giugno 1999. Con sentenza n. 133 del 2003, il Tribunale così statuiva: a) dichiarava l'inefficacia dell'accordo sull'indennità di espropriazione intervenuto tra le parti il 3 ottobre 1990;b) condannava la convenuta alla restituzione, in favore del Ministero della Difesa, della somma di Euro 53.411,97 pari all'indennità percepita con gli interessi legali dalla notifica della domanda al soddisfo;c) disponeva il rilascio, in favore del convenuto, degli immobili oggetto di esproprio;d) condannava il Ministero della Difesa al pagamento, in favore della convenuta, delle seguenti somme:
Euro 14.580,61 oltre interessi al saggio legale sulla somma annualmente rivalutata, dalla data del deposito della relazione di c.t.u. al soddisfo per danno emergente;Euro 44.913,36 oltre interessi al saggio legale sulla somma annualmente rivalutata, dalla data di deposito della predetta relazione, per lucro cessante sino all'anno 2000;Euro 1.910,89 oltre interessi al saggio legale sulla somma rivalutata dalla sentenza al soddisfo, per lucro cessante il relativo all'anno 2001;e) le somme eventualmente anticipate dal convenuto per c.t.u.;compensava interamente tra le parti le spese processuali, ponendo le spese per la c.t.u. a totale carico del Ministero della Difesa.
Gravata con appello principale tale sentenza dal Ministero della Difesa, e con appello incidentale da parte della P, la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 657 del 2006, depositata il 30 ottobre 2006, rigettava integralmente l'impugnazione incidentale e, in parziale accoglimento di quella principale, fissava al 3 aprile 1996 la data di decorrenza degli interessi legali sulla somma capitale di Euro 53.411,97 che la P era obbligata a restituire al Ministero e rideterminava la somma capitale complessivamente dovuta dallo stesso Ministero alla P per i vari titoli riconosciuti, riducendola ad Euro 32.921,98 (di cui Euro 4.971,15 a titolo d'indennità di occupazione legittima, oltre accessori;Euro 14.580.61, oltre accessori, a titolo di indennità connessa con fatti verificatisi nel periodo di occupazione legittima;Euro 13.370,21 a titolo di risarcimento danni, con rivalutazione monetaria e accessori), ponendo a carico di entrambe le parti, in pari misura, le spese di c.t.u. come liquidate in primo grado, confermando nel resto la sentenza di prime cure. Compensava le spese del grado fra le parti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la P, con atto notificato il 27 aprile 2007, prospettando sei motivi. Il Ministero della Difesa resiste con controricorso e ricorso incidentali notificati il 6 giugno 2007.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., riguardando la stessa sentenza.
2. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Deduce al riguardo che la causa riguarda la materia espropriativa ma non attiene a meri comportamenti della pubblica amministrazione, ma a domande connesse con l'utilizzazione di strumenti negoziali sostitutivi di poteri autoritativi, cosicché la giurisdizione per conoscere di esse dovrebbe appartenere il giudice amministrativo a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale nn. 204 del 2004 e 191 del 2006. Il motivo è inammissibile, non risultando la censura prospettata ne' nel corso del giudizio di primo grado ne', dopo la decisione di merito in quel grado, nel giudizio di appello ed essendosi pertanto formato un giudicato implicito sulla giurisdizione del giudice ordinario, dovendosi ritenere - alla stregua di un'interpretazione evolutiva dell'art. 37 c.p.c., comma 1, in connessione con l'art. 276 c.p.c., comma 2, art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 324 c.p.c. (già
adottata da queste sezioni unite nella sentenza 9 ottobre 2008, n. 24883) - che ogni pronuncia di merito, ancorché non accompagnata da alcuna espressa statuizione sulla giurisdizione, di regola implica la preventiva verifica della potestas iudicandi da parte del giudice che la emette. Cosicché, emessa una sentenza di merito in primo grado, la mancata proposizione in appello della questione di giurisdizione implica un comportamento incompatibile con la volontà di dedurre il difetto di giurisdizione, da valutarsi come acquiescenza sul punto, con le conseguenti preclusioni di cui l'art. 329 c.p.c., comma 2, e art. 324 c.p.c., che rendono la questione improponibile nel giudizio di Cassazione.
3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell'art. 345 c.p.c., per non avere la Corte di appello dichiarato inammissibile il
gravame in quanto contenente domande ed eccezioni nuove. La ricorrente, dopo avere illustrato il motivo, ha formulato il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se le domande e le eccezioni svolte per la prima volta in appello, e contenenti quindi la prospettazione di nuove circostanze, il mutamento dei fatti costitutivi e/o estintivi del diritto fatto valere nel giudizio di primo grado, e la conseguente introduzione nel processo di un nuovo tema d'indagine comporti l'inammissibilità del gravame. Il motivo è inammissibile, a norma dell'art. 366 bis c.p.c., per la genericità e l'astrattezza del quesito, che non contiene alcun riferimento alla fattispecie concreta, e precisamente ai fatti costitutivi e/o estintivi dedotti in primo grado, nonché alle eccezioni e domande che sarebbero state proposte per la prima volta in appello introducendo nuovi temi d'indagine, risolvendosi nella richiesta alla Corte di una mera affermazione di principio, inidonea, di per sè, a condurre all'accoglimento del motivo.
4.1. Con il terzo motivo si deducono: a) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1208, 1209, 1210, 1212, 1216 e 1173 cod. civ. e dell'art. 112 cod. proc. civ., per avere erroneamente ritenuto la Corte di appello applicabili le norme sulla "mora credendi", "non applicando quelle sulla fonte delle obbligazioni, con quanto di conseguenza in ordine al vizio di ultrapetizione";b) la violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3, "per avere erroneamente i ritenuto
applicabile al caso di specie la predetta norma, incorrendo peraltro, così, nel vizio di extrapetizione";c) la violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 76 e dell'art. 2043 cod. civ. "per avere erroneamente ritenuto legittima l'occupazione
d'urgenza e, comunque, fino alla data di dichiarazione di revoca di pubblica utilità, con esclusione della relativa responsabilità aquiliana";d) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., "per avere ritenuto sussistenti gli estremi della violazione dei principi della correttezza e buona fede in capo al ricorrente" in violazione, peraltro, dell'art. 112 c.p.c.". Con il profilo del motivo sub a) la ricorrente deduce genericamente la violazione dell'art. 112 c.p.c., sostenendo poi che ne' la comunicazione del 21 marzo 1996, ne' l'intimazione del 21 novembre 1996 potevano costituire offerta reale, non esistendo ancora la relativa obbligazione, come dimostrerebbe il fatto che il Ministero, con la citazione, in effetti aveva chiesto una sentenza "costitutiva e di accertamento" dell'inefficacia dell'accordo relativo alla misura dell'indennità di espropriazione, con conseguente condanna alla restituzione di essa. Inoltre con detti atti, compreso il secondo, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, era stata richiesta anche la restituzione dell'indennità ed attenevano ad un bene che aveva subito trasformazioni, come accertato dal CTU, per cui non potevano essere considerati atti di offerta reale e la controparte non poteva essere considerata in malafede per non avere accettato la restituzione del bene. Con il motivo si deduce la colposa tardività della revoca della dichiarazione di pubblica utilità e l'erronea limitazione del periodo di responsabilità aquiliana della P.A. dall'aprile 1993 (in cui avvenne la revoca) al momento in cui si sarebbe perfezionata l'offerta reale, periodo che sarebbe invece cessato solo nel 2000, con il perfezionamento della procedura ex art. 1216 cod. civ.. In proposito si deduce anche che, ai sensi dell'art. 1207 cod. civ., gli effetti della mora del creditore retroagiscono al giorno dell'offerta reale solo se questa è accertata con sentenza passata in giudicato, nella specie mai intervenuta.
In relazione ai successivi profili del motivo si lamenta che la sentenza impugnata abbia erroneamente statuito che, per il periodo di occupazione legittima, la determinazione dell'indennità potesse farsi con riferimento al disposto della L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3, e senza le maggiorazioni di cui al combinato disposto degli
artt. 12 e 17, previste solo per il caso di cessione volontaria e l'espropriando sia coltivatore diretto. Si censura al riguardo la sentenza impugnata per non avere tenuto conto che l'art. 20, comma 3 su detto è stato dichiarato illegittimo dalla sentenza n. 5 del 1980 della Corte costituzionale, lamentando che Corte di appello abbia liquidato detta indennità in un dodicesimo della somma di L. 44.712.000, somma pari a quella accettata con l'atto di "concordamento" del 3 ottobre 1990. E ciò con decisione viziata, per un verso, da extrapetizione, non essendo stata prospettata dalle parti la liquidazione di detto tipo di indennità;per altro verso illogica e contrastante con il disposto della L. n. 2359 del 1865, art. 76. In relazione al motivo la ricorrente ha formulato i seguenti quesiti:
a) "Dica la Corte se in presenza di un negozio di diritto pubblico, nel caso di specie l'atto di concordamento del prezzo dell'indennità di esproprio, sul quale solo mediatamente incide il provvedimento di revoca della dichiarazione di p.u., possano trovare applicazione le norme relative alla mora del creditore (nonché di quelle di cui si lamenta la violazione sopra indicate) in assenza di un provvedimento giudiziale (nel caso di specie sentenza di primo grado) che ne accerti e ne dichiari l'inefficacia e sancisca di tal guisa le conseguenze che da tale accertamento derivano, avuto particolare riguardo ai reciproci obblighi";b) "dica altresì se vertendosi in materia di espropriazione per pubblica utilità per la realizzazione di opere militari e, pertanto, operando il principio dell'automatica illegittimità dell'occupazione d'urgenza, per il solo motivo del venir meno delle esigenze che la sorreggevano, si configuri in capo all'amministrazione, ed ab origine, una responsabilità aquiliana (Cass. 20 ottobre 1994, n. 8567)";c) "dica la Corte se, come nel caso di specie, pur in presenza di una declaratoria d'illegittimità costituzionale e nell'ipotesi in cui l'indennità di espropriazione sia stata determinata a norma della L. n. 20 ottobre 1971, n. 865, art. 17, sia applicabile la L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3".