Cass. civ., sez. I, sentenza 29/05/2003, n. 8599
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Il potere - dovere del giudice di appello di esaminare i documenti prodotti "ex" art. 345, secondo comma, cod. proc. civ. (vecchio testo) sussiste solo se la parte ne faccia specifica richiesta, esponendo gli scopi della esibizione in rapporto alle specifiche ragioni da essa poste a fondamento dell'impugnazione; in caso contrario, la controparte è nell'impossibilità di controdedurre e, conseguentemente, per lo stesso giudice resta impedita la valutazione di quei documenti ai fini della decisione.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D M R - Presidente -
Dott. C G - Consigliere -
Dott. P D - rel. Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. D P S - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G P, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIUSEPPE FERRARI 12, presso l'avvocato S S, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
G G, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G. MAZZINI 13, presso l'avvocato B S, rappresentato e difeso dagli avvocati R A, B A, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 397/99 della Corte d'Appello di SALERNO, depositata il 11/10/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/01/2003 dal Consigliere Dott. D P;
udito per il ricorrente l'Avvocato S che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l'Avvocato A che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C D che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso 5.9.1977 G P, deducendo di essere proprietario con il fratello Gennaro di un albergo in Praiano, ne chiese il sequestro giudiziario, lamentando che il fratello avesse omesso di pagare alcune opere eseguite e le rate di mutuo che sull'immobile gravavano.
La misura cautelare fu autorizzata e, all'esito del giudizio di merito, convalidata dal Tribunale di Salerno con sentenza 23.9.1996, che accolse in parte la do manda, dichiarando lo scioglimento della società di fatto tra i due germani, che aveva avuto ad oggetto la gestione dell'attività alberghiera nell'immobile di loro proprietà, che accertò essere composto da un vecchio corpo di fabbrica, dai fratelli diviso nel 1967, e da uno nuovo realizzato da entrambi, anche in sopraelevazione del vecchio, oltreché sulle aree contigue di ciascuno, risultanti dalla pregressa divisione. Il tribunale attribuì le quote come predisposte da un progetto divisionale del fabbricato conferito alla società, con conguaglio in favore del convenuto di L. 27.994.000, oltre rivalutazione monetaria ed interessi;accolse in parte anche la domanda riconvenzionale e condannò l'attore a pagare al fratello Gennaro la somma di L. 15.000.000, per rimborso delle spese anticipate per la conduzione dell'azienda, per i lavori di ampliamento e per le sue prestazioni lavorative.
La sentenza fu impugnata da G P, in riferimento alla formazione delle quote e alla misura dei conguagli, nonché in riferimento al mancato riconoscimento dei propri crediti vantati in dipendenza della gestione del fratello.
Dedusse l'appellante che sulla base del primo progetto di divisione elaborato dal C.T.U. egli aveva proposto la formazione di due quote, una costituita dal vecchio fabbricato e l'altra dal nuovo, senza conguagli, ed attribuito al fratello la facoltà di scelta. Non essendosi dato corso a quella proposta ed essendosi proceduto a nuova consulenza tecnica, si era pervenuti a criteri diversi nella formazione delle quote, di cui il tribunale aveva tenuto conto, assegnando a G G la prima, in forza della facoltà di scelta predetta, che invece non aveva più ragione di operare, essendo venuta meno quella proposta.
Errata era stata pertanto la decisione del tribunale, anche perché aveva riproposto, sia pure in parte, la comunione, il cui scioglimento costituiva il reale oggetto della domanda principale, con servitù a carico del suo immobile: situazione l'una e l'altra della quale peraltro non si era tenuto conto nemmeno nella formazione dei conguagli.
Lamentò, inoltre, che i primi giudici avessero disatteso la sua richiesta di rendiconto nei confronti del fratello e avessero a lui riconosciuto un credito inesistente, perché soddisfatto, per le spese sostenute per opere edili.
La Corte di Appello di Salerno con sentenza 11.10.1999 ha respinto l'appello, ritenendo con riguardo alla divisione dell'immobile che la normativa applicabile non fosse quella della comunione ordinaria - così come preteso dall'appellante - ma dello scioglimento delle società di persone, tenuto conto della esplicita richiesta di scioglimento formulata da G P.
E poiché nelle società personali il formale procedimento di liquidazione non è imposto dalla legge, ma è una fase facoltativa della vita della società, potendo i soci evitarla con una divisione consensuale, oppure con un ordinario giudizio di cognizione, volto a definire i rapporti di dare e avere, infondata risultava la pretesa dell'appellante di ricondurre la questione della determinazione delle quote alle regole della comunione e corretta la determinazione del tribunale di assegnare le quote secondo la volontà delle parti, alla quale il giudice si era attenuto, contrariamente a quanto ritenuto dall'appellante.
Ha infine disatteso la documentazione prodotta da G P in grado di appello, a riprova degli esborsi sostenuti ed erogati al fratello, in relazione alla domanda riconvenzionale accolta dal tribunale, e ciò per il fatto che era mancata la indicazione della ragione della esibizione, che aveva lasciato la controparte nella impossibilità di controdedurre.
Propone ricorso per Cassazione con tre motivi G P resiste con controricorso G G.
Entrambi hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1111, 1114 e 2275 c.c.;345 2^ comma c.p.c, laddove la sentenza impugnata giudica infondata la pretesa di
ricondurre la determinazione delle quote alle regole della comunione ordinaria.
Non nega la possibilità per i soci, che siano d'accordo, di evitare il procedimento di liquidazione previsto dall'art. 2275 c.c. e di addivenire alla definizione dei rapporti sociali secondo modalità diverse, ma rileva che tra tali diverse modalità ben possono essere comprese quelle regolate dalle norme sulla comunione, tanto più se ad essere divisi sono immobili.
E il tribunale aveva, nel convalidare il sequestro giudiziario, affermato - senza che il punto fosse stato oggetto di impugnazione, finendo così per divenire giudicato - che la divisione dell'immobile destinato ad attività alberghiera si poneva come ripartizione del patrimonio comune tra i soci, così ritenendo applicabili le norme regolatrici della divisione in materia di comunione ordinaria, in forza delle quali la divisione dell'immobile sarebbe dovuta avvenire su basi paritarie, con quote omogenee, senza pesi, vincoli e servitù.
La richiesta formulata di nuova consulenza tecnica aveva pertanto tali finalità e se fosse risultato impossibile determinare quote omogenee senza vincoli o servitù, di ciò si sarebbe dovuto tener conto nella determinazione dei conguagli.
Lamenta, conclusivamente, il ricorrente che la corte salernitana abbia omesso ogni decisione sul punto.
La censura è senza pregio e non ha, comunque, alcun rilievo ai fini della risoluzione della controversia.
La sentenza impugnata ha osservato che alla specie sia estraneo lo schema della comunione ordinaria, trattandosi di scioglimento di una società collettiva irregolare. Ha tuttavia rilevato che il procedimento di liquidazione di società non è posto dalla legge in modo assoluto, costituendone una fase facoltativa nell'interesse dei soci, i quali possono evitarla pervenendo alla estinzione dell'ente, attraverso una divisione concordata, ovvero chiedendo al giudice la definizione dei reciproci rapporti di dare ed avere;ed ha concluso che i germani G non avevano seguito la procedura ordinaria di liquidazione, ma un procedimento sui generis, secondo una specifica volontà, con la quale contraddice la pretesa di G P "di ricondurre la questione della determinazione delle quote alle regole della comunione ordinaria".
Tale principio di diritto, che è suffragato da numerosi precedenti di questa Corte (Cass. 2376/2000;860/1992;6525/1985;1468/1981;
6212/1980;5927/1978), non è posto in discussione dal ricorrente, che nell'escludere, come la corte di merito ha escluso, l'applicazione delle norme della liquidazione societaria, ha ritenuto che tra le modalità diverse per dar corso allo scioglimento possano comprendersi quelle sulla comunione ordinaria, potendo le parti "senz'altro addivenire alla definizione dei rapporti sociali secondo modalità diverse, anche in presenza di divergenze nella determinazione delle quote".
L'affermazione suppone, dunque, che i contendenti abbiano concordato specificamente le forme dello scioglimento di siffatta comunione, circostanza che, invece, la corte di merito ha escluso, con le ragioni che sono oggetto dei successivi motivi, che appresso si esamineranno, restando, con riguardo al primo, incontroverso che le norme sulla comunione ordinaria possono trovare applicazione, se ed in quanto il richiamo ad esse sia stato concordato;dovendosi, contrariamente a quanto il ricorrente assume, negare che un giudicato si sia formato sulla applicazione di siffatte disposizioni, posto che, alla stregua di quanto esposto nello stesso ricorso, le affermazioni del tribunale in sede di convalida del sequestro giudiziario, che la questione relativa alla divisione dell'immobile si configurerebbe "pur sempre come controversia sulla proprietà" e che la divisione si ponesse "come ripartizione del patrimonio comune tra i soci", non assumono affatto la portata di statuizioni del segno voluto dal ricorrente, costituendo una semplice presa d'atto della volontà dei soci di ripartire il patrimonio comune e che, per tale verso, fosse la proprietà oggetto della controversia, tanto da giustificare la misura del sequestro giudiziario.
Giudicato ancor più improponibile, ove si consideri che il tribunale ebbe a provvedere sulla divisione non secondo le norme sullo scioglimento della comunione ordinaria, ma sulla base di un ritenuto accordo delle parti, con giudizio condiviso dalla corte territoriale e censurato con l'atto di appello, quanto con l'attuale mezzo.
Se è esclusa, quindi, la violazione delle norme codicistiche richiamate nel motivo di ricorso, ancor più deve esserlo quella dell'art. 345 cpv. c.p.c, all'epoca in vigore, che contemplava le ipotesi di nuove eccezioni e richieste di prova in appello, invocato con riferimento ad una non accolta istanza di nuova consulenza tecnica al giudice di 2^ grado, della cui violazione G P si è doluto.
La corte di merito ha, infatti, ritenuto di non esaminarla, una volta valorizzato l'accordo tra le parti su un progetto divisionale predisposto dal C.T.U. in primo grado.
Con il secondo motivo viene denunziata la omessa, comunque insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia, in relazione agli artt. 1111, 1114, 2275 c.c. e 345 2^ c. c.p.c. Deduce il ricorrente di avere censurato la sentenza di primo grado, rilevando di avere sì rimesso al fratello la facoltà di scelta della quota, ma solo con riferimento alla ipotesi di due quote immobiliari tra loro indipendenti ed autonome - il vecchio e il nuovo fabbricato - senza che vi fossero conguagli. La circostanza che fosse poi mancato l'accordo delle parti sulla omogeneità delle quote;che fosse persistita una comunione, sia pure parziale, e che dovessero insorgere servitù a carico di un fondo, imporrebbe una nuova consulenza, per individuare le quote omogenee, esenti da pesi e servitù;mentre la sentenza impugnata aveva superato le doglianze, attraverso la interpretazione della volontà delle parti, con una motivazione carente, comunque insufficiente e contraddittoria.
Osserva che nella specie, se vi era stato l'accordo sullo scioglimento della società, era mancato quello sulla determinazione della entità delle quote e dei conguagli;sicché impropriamente la corte territoriale aveva ricondotto le doglianze dell'appellante alla mancata applicazione delle regole sulla comunione ordinaria, da un lato non considerando che egli si era lamentato che le quote indicate nel progetto divisionale non erano omogenee ed eque, con l'ulteriore conseguenza che i conguagli erano errati;dall'altro ricostruendo la volontà delle parti, senza indicare nessun elemento decisivo ed inequivoco, che fosse in contrasto con quanto esso G aveva specificato nel primo motivo di appello, e omettendo infine di tenere conto del fatto che nelle conclusioni definitive in primo grado egli aveva insistito per l'accoglimento delle sue domande, come manifestate nell'atto introduttivo, senza alcuna accettazione della attribuzione in favore del fratello della prima quota del primo progetto divisionale, sì da escludere l'accordo considerato dalla Corte di Appello.
Da ciò era derivato l'ulteriore vizio di omissione dell'esame delle doglianze contenute nei due motivi di appello, circa la assenza di omogeneità delle quote e dei valori con i relativi conguagli;tanto da richiedere una nuova indagine tecnica - richiesta obliterata dalla sentenza impugnata - per individuare le quote omogenee, autonome ed indipendenti e determinare, in quanto necessari, gli effettivi conguagli.
La complessa censura, prima che infondata, è inammissibile, in quanto, attraverso la deduzione del vizio motivazionale, introduce critiche alla valutazione del giudice di merito delle risultanze processuali, che, involgendo giudizi di fatto, sono improponibili nel giudizio di legittimità.
Va, a riguardo, premesso, che la sentenza impugnata ha desunto la volontà delle parti, di conformarsi al primo dei due progetti divisionali predisposti dal consulente tecnico di ufficio del 16.12.1982, dalle loro dichiarazioni e soprattutto da quelle rese nella ispezione dei luoghi del 26.1.1991, in cui concordemente i G si richiamarono a quel progetto;ad esse seguirono quelle del 6.5.1992 di G G, di volere tenere fede all'accordo verbale raggiunto, e quella del difensore di G P, in data 5.11.1992, di volere procedere alla attribuzione a ciascuno dei condividenti, con scelta a G G della parte nuova o della parte vecchia dell'immobile;ha infine considerato la dichiarazione, ancora, di G G, di volere rispettare quell'accordo, intendimento poi ribadito nella udienza del 13.1.1994 di precisazione delle conclusioni.
La interpretazione di siffatta volontà e in particolare di quella manifestata contestualmente dai due contendenti personalmente al giudice non è suscettibile di essere censurata, sorretta come è da congrua motivazione, con la quale la sentenza impugnata ha disatteso le avverse deduzioni, ritenendole frutto di un tardivo ripensamento, ed ha attribuito rilievo alla concorde determinazione espressa in sede di accesso sui luoghi, giudicandola inequivoca, dal momento che, nel riferirsi al primo progetto divisionale, le parti avevano escluso come criterio di formazione delle quote la netta ed assoluta distinzione del vecchio dal nuovo fabbricato.
Ed è irrilevante che nell'atto di appello G P abbia evidenziato che il suo riferimento non fosse affatto al primo progetto divisionale, ma alla ipotesi di due quote tra loro indipendenti ed autonome (fabbricato vecchio, fabbricato nuovo) e senza che vi fosse alcun conguaglio, poiché la sentenza ha esaminato direttamente gli elementi processuali utili alla ricostruzione dell'accordo ed ha la nuova prospettazione difensiva valutato come tardiva e inidonea a modificare la intesa raggiunta dalle parti.
Alla stregua di tali argomentazioni non è fondato il rilievo che l'accordo sullo scioglimento non avesse interessato l'entità delle quote e dei conguagli, posto che il progetto divisionale accettato prevedeva le une e gli altri;come inconferente è, per la stessa ragione, la disomogeneità delle prime e il supposto errore dei secondi;mentre la circostanza che nelle conclusioni definitive in primo grado il ricorrente avesse insistito per l'accoglimento delle sue domande non è argomento che inficia sul piano logico e giuridico la interpretazione del giudice di merito, che di tutti i comportamenti delle parti ha tenuto conto, assegnando ad alcuni, per la loro specificità e chiarezza, rilievo maggiore di altri, ritenuti di minore rilevanza.
Con il terzo motivo G P denunzia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione alle richieste istruttorie formulate, in riferimento agli artt. 1111, 1114 e 2275 c.c.. Deduce che la corte di appello abbia, senza motivazione e comunque con motivazione inadeguata, respinto il suo motivo di appello, con cui aveva chiesto la condanna del fratello a pagargli le somme dovute, previo accoglimento delle istanze istruttorie all'uopo proposte. Aggiunge di avere prodotto una serie di documenti e richiesto una consulenza tecnica, per ricostruire il dare e l'avere tra le parti, in ordine alle spese di ristrutturazione ed ampliamento sostenute da G G e alle somme a lui rimesse. Respinte le richieste istruttorie formulate ex art. 345 2^ c. c.p.c. (nel testo all'epoca in vigore), con la affermazione che egli si fosse limitato ad esibire documenti eterogenei, senza illustrarli in riferimento alle sue pretese, la corte di merito non aveva considerato che esso ricorrente aveva nell'atto di appello rilevato, con riferimento al riconoscimento al fratello di 15 milioni di lire, che "la verità era altrove", egli dimostrando con la documentazione prodotta che somme ben più ingenti erano state a lui rimesse e da lui utilizzate per le spese occorrenti.
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata, peraltro, ulteriormente insufficiente e contraddittoria, allorché, esaminando la documentazione suindicata, aveva considerato che non fosse possibile stabilire il titolo e le finalità delle erogazioni in danaro "se cioè per sostenere..... gli oneri della gestione alberghiera od anche se non esclusivamente per puro spirito di fratellanza", così trascurando che l'invio di somme a quest'ultimo scopo avrebbe dovuto formare oggetto di specifiche eccezioni, asseverate da prove e non da ipotetiche considerazioni. Neanche questo motivo può trovare accoglimento, al cospetto di quanto la sentenza impugnata ha rilevato, con riferimento alla domanda riconvenzionale di G G, che aveva chiesto il rimborso delle spese anticipate per l'azienda e il pagamento delle sue prestazioni lavorative.
La corte di merito, dei documenti prodotto da G P, ha ritenuto di non potere apprezzare la rilevanza ai fini del decidere - e cioè in riferimento e contrapposizione alla pretesa creditoria fatta valere dal fratello - in quanto la esibizione, oltreché in fotocopia, era stata eterogenea e non era stata minimamente illustrata con riguardo agli intendimenti di chi l'aveva prodotta -. Ha aggiunto che, sebbene le copie delle lettere firmate da G G, provenendo da lui, "potrebbero costituire riconoscimento di debito, stante il rapporto di parentela intercorrente tra le parti ed in mancanza di appaganti chiarimenti, non è possibile stabilire il titolo e le finalità delle eventuali erogazioni di danaro nelle stesse menzionate";ed ha negato la possibilità che un siffatto accertamento fosse demandabile ad un consulente contabile. Tali rilievi ha tentato il ricorrente di superare, assumendo di avere con l'atto di appello affermato, in riferimento alla statuizione dei primi giudici, che avevano riconosciuto in favore di G G il credito di L. 15.000.000, di avere rimesso a lui somme ben più ingenti, utilizzate dal fratello per coprire le spese occorrenti;ma l'assunto non è idoneo a vincere l'argomentazione in punto di diritto della sentenza impugnata, secondo cui il potere - dovere del giudice di appello di esaminare i documenti prodotti ex art. 345 c. 2^ c.p.c. (vecchio testo) sussiste solo se la parte ne faccia specifica richiesta, esponendo gli scopi della esibizione in rapporto alle sue pretese, derivando, altrimenti, per la controparte, l'impossibilità di controdedurre e conseguentemente per il giudice quella di valutare le risultanze probatorie e i documenti ai fini della decisione.
Tale affermazione, sorretta dal richiamo di un precedente di questa Corte (Cass. 16.8.1990 n. 8304), merita di essere condivisa, avuto riguardo alle ragioni del secondo motivo di appello, di cui il motivo di ricorso in esame costituisce la riproposizione. La sentenza di primo grado fu, infatti, censurata sotto il profilo che era stata disattesa la richiesta di rendiconto nei confronti di G G, con la sua condanna a pagare le somme lucrate nella gestione dell'azienda;e la censura fu sostenta da una serie di documenti, che la corte di merito ha definito eterogenei, dopo avere rilevato che controparte ne aveva contestato "rilevanza" e "attendibilità", soprattutto evidenziando che di quella documentazione era mancata del tutto la illustrazione in riferimento alle pretese dell'appellante.
Posta, infatti, la esigenza di controparte di controdedurre specificamente, in riferimento ad un mezzo di prova fatto valere, e tenuto conto della necessità di specificità dei motivi di appello, come elementi di individuazione dell'ambito del riesame della controversia, sia in riferimento alle statuizioni investite dal gravame, che con riguardo alle argomentazioni fatte valere da chi lo propone (Cass. 498/12 999;449/1987), se è indispensabile che sia individuata la volontà di chi impugna, in riferimento alla determinazione del quantum appellatum, e se per l'effetto è indispensabile che sia esplicitato il fondamento della doglianza, in fatto e in diritto, non soddisfa siffatta esigenza una produzione di documenti priva di qualunque esplicitazione, quanto al contenuto di ciascuno e alla correlazione con il petitum. E l'apprezzamento di fatto a riguardo della corte di merito, che ha poi correttamente ricavato da tale circostanza la inammissibilità di una consulenza tecnica, si sottrae al sindacato di legittimità, essendo sostenuto da adeguata motivazione.
Il ricorso va, dunque, respinto, con compensazione delle spese di questo giudizio, ricorrendo giusti motivi.