Cass. civ., sez. II, sentenza 19/07/2022, n. 22666

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 19/07/2022, n. 22666
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 22666
Data del deposito : 19 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

nciato la seguente SENTENZA sul ricorso 13149/2017 R.G. proposto da: PEZZIMENTI GIUSEPPA, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ANTONIO BERTOLONI

31, presso lo studio dell'avvocato F P, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato E C M;
–ricorrente–

contro

NORTH WEST CANTIERI SRL IN LIQUIDAZIONE ;
-intimata- avverso la sentenza n. 1938/2016 della CORTE D'APPELLO di T, depositata il 14/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/06/2022 dal Consigliere Dott. G G;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROSA MARIA DELL'ERBA;

FATTI DI CAUSA

1. La vicenda processuale, per quel che qui rileva, può sintetizzarsi nei termini che seguono. 1. 1. Giuseppa Pzzimenti, la quale si era resa promissaria acquirente, con contratto del 6/4/2011, stipulato con la s.r.l. North-West Cantieri, di un alloggio, garage e posto auto, facenti parte di un fabbricato in corso di costruzione, pattuendo il prezzo complessivo di € 260.000,00, del quale aveva corrisposto la somma di € 150.000,00 a titolo di caparra confirmatoria e quella ulteriore di € 82.400,00 in conto prezzo, lamentando che la controparte, aveva violato la clausola n. 4 del contratto preliminare, con la quale la promittente alienante si era obbligata a mantenere per la durata di vent’anni la destinazione abitativa/residenziale all’intero stabile, avendo venduto a terzi l’intero piano terreno e primo sotterraneo dell’intero edificio condominiale, con destinazione commerciale e artigianale, che, inoltre negli altri atti di compravendita non aveva richiesto l’impegno degli acquirenti al rispetto di una tale clausola e anche redigendo regolamento condominiale non contemplante la predetta clausola, si rivolse al Tribunale, chiedendo, in via di gradazione: - dichiararsi legittimo i l recesso comunicato, ai sensi dell’art.1385 cod. civ., con condanna della controparte a corrispondere il doppio della caparra e a restituire gli acconti;
- risolversi il contratto per inadempimento della società convenuta, con condanna a restituire tutte le somme ricevute e a risarcire il danno;
- accertata l’impossibilità di ottenere il trasferimento coattivo, ex art. 2932 cod. civ., condannarsi la controparte a restituire quanto ricevuto, maggiorato degli interessi;
- pronunciare sentenza ai sensi dell’ art. 2932 cod. civ., obbligando la convenuta a cancellare le formalità pregiudizievoli gravanti sull’immobile promesso in vendita. La convenuta, in via riconvenzionale, chiesto il trasferimento ex art. 2932 cod. civ., avanzò domanda di risarcimento e richiesta di penale. 1. 1. Il Tribunale rigettò la domanda principale e quella incidentale. 1. 2. La Corte d’appello di Torino, rigetto l’impugnazione della Pzzimenti. 1. 2.1. La sentenza d’appello, per quel che qui ancora residua d’utile, condivise il ragionamento del primo Giudice e, in particolare: - escluse che la clausola fosse stata predisposta nell’interesse della promissaria acquirente, la quale, quindi, non poteva dolersi di inadempimento di sorta, ma solo quale patto introdotto per soddisfare le richieste del Comune di Aosta, al fine di potere il costruttore usufruire di oneri agevolati e mutata la situazione urbanistica, un tale obbligo non occorreva più che fosse mantenuto;
-gli immobili erano perfettamente commerciabili;
- la dedotta mancanza di qualità, ai sensi dell’art. 1447 cod. civ., non poteva essere scrutinata poiché nuova, non essendo stata riportata neppure in sede di conclusioni davanti al Tribunale;
- in ogni caso, una tale eccezione era priva di fondamento, perché la clausola atteneva al terreno su cui era in corso la costruzione, perché il bene era pienamente suscettibile di assolvere alla sua destinazione, perché il contratto preliminare non trasferisce di per se il diritto reale, presupposto della violazione della normain parola ;
-la circostanza che la Pzzimenti avesse versato gran parte del prezzo e ottenuta la consegna degli immobili faceva propendere per la ipotesi che la stessa fosse intenzionata al trasferimento, pur essendo avvenuto che, nelle more il piano terra e il seminterrato, venduti a terzi, fossero stati adibiti ad attività di panificazione al minuto e all’ingrosso, e di un tale trasferimento l’appellante non avrebbe non potuto avere percezione;
- si ribadisce che trattavasi di un obbligo unilaterale gr avante sul terreno, tanto che la relativa clausola non era stata riportata nei rogiti degli altri acquirenti e perciò non assumeva rilievo la circostanza che non fosse stata prevista una tale preclusione nel regolamento condominiale.

2. Giuseppa Pzzimenti propone ricorso avverso quest’ultima sentenza sulla base di otto censure. La North-West Cantieri s.r.l. in liquidazione è rimasta intimata.

3. Fissata pubblica udienza, non essendo pervenuta dalle parti e dal P.G. richiesta di discussione orale, ai sensi dell’art. 23, co. 8bis, d. l. n. 137/2020, convertito nella l. n. 176/2000, si è proceduto in camera di consiglio.

4. Il P.G. ha fatto pervenire le sue richieste scritte, con le quali ha concluso per l’accoglimento del primo motivo, assorbiti il secondo, il terzo, il quarto e il quinto, inammissibili o, in subordine, infondati il sesto, il settimo e l’ottavo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente denuncia nullità della sentenza in riferimento agli artt. 112, 113 e 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1455 e 1497 cod. civ., nonché l’erronea interpretazione e valutazione dei documenti di causa . La ricorrente riporta la clausola di cui si è sopra detto: La parte promittente venditrice dichiara e garantisce che al momento del rogito notarile l’immobile in oggetto sarà di sua piena proprietà e completa disponibilità, libero da persone e cose, nonché da pesi, vincoli, oneri, privilegi, liti in corso, arretrati di imposte, ipoteche e trascrizioni pregiudizievoli. La parte venditrice dichiara inoltre, in riferimento alla lett. a) in premessa, di mantenere per almeno 20 (venti) anni dalla data di ultimazione dei lavori, la destinazione dell’immobile concessionato ad abitazione principale o permanente, con obbligo di alienare o locare detto immobile soltanto a soggetti che lo destineranno a abitazione permanente o principale . Non era dubbio che, dopo la stipulazione del contratto preliminare di cui sopra, la promittente alienante, in violazione del riportato patto aveva alienato talune unità del fabbricato alla Unicredit Leasing s.p.a., quale acquirente e alla F.lli Panetta di Francesco Panetta e C. s.n.c., qual utilizzatrice, la proprietà di locali da adibire ad uso commerciale, a uffici e magazzini. La Corte d’appello aveva ingiustamente escluso la obbligatorietà della clausola fra le parti stipulanti, nonostante la stessa facesse parte integrale del contratto, piuttosto che costituirne generica premessa. Ne era rimasta frustrata la volontà delle parti e accertata l’aperta violazione della letteralità della statuizione. Né si sarebbe potuto affermare, come aveva fatto la sentenza, che si trattava di una disposizione concernente il nudo terreno, avendo i contraenti fatto inequivoco riferimento allo “immobile concessionato” e, quindi, all’intero edificio. Non poteva assumere rilievo il motivo soggettivo per il quale la promittente alienante si sarebbe assunta un tal impegno;
né, tantomeno, la circostanza, che per mutata disposizione urbanistica, avrebbe potuto godere dello sgravio degli oneri urbanistici anche senza necessità di limitare l’uso delle unità in costruzione. Quel che era certo è che la parte non poteva unilateralmente sciogliersi dall’obbligazione che aveva assunto nei confronti della promissaria acquirente, sol perché da ciò non le sarebbe derivato aggravio di spesa urbanistica. Erano rimaste, pertanto, violate le norme che governano l’ermeneutica negoziale e, in particolare, gli artt. 1362, 1363 e 1366. La circostanza che il bene non fosse stato privato della sua commerciabilità non costituiva di certo ragione per giustificare la violazione del contratto. Inoltre la gravità e il rilievo dell’eventuale inadempimento era stato predeterminato dalle parti stipulanti, con la consequenziale ricaduta ex art. 1497 cod. civ. Non potevasi in alcun modo non reputare la gravità dell’inadempimento, o addirittura predicarne la sua irrilevanza. Non trattavasi di un divieto di destinazione valevole per pochi mesi, ma posto per un ventennio, avente il chiaro scopo d’impedire lo snaturamento della destinazione abitativa, dando collocazione alle più disparate attività (commerciali, industriali, artigianali, associative), così minando radicalmente la serenità dell’abitazione, che la promissaria acquirente aveva immaginato di assicurare alla propria vecchiaia. Esclude, indi, la ricorrente, la tardività dell’eccezione di cui all’art. 1497 cod. civ. La mancanza di qualità del bene costituiva la struttura portante della citazione e di tutti gli atti difensivi e non era di certo occorrente una sacramentale riproduzione in sede conclusionale. Non corrispondeva, infine, al vero, che non sussistesse l’ipotesi contemplata dall’art. 1497 cod. civ.: il vincolo non gravava sul terreno, ma, come si è già detto, sul fabbricato e decorreva dall’ultimazione della costruzione;
la presenza di vizi autorizzava il promissario acquirente immesso nel “possesso” anticipato del bene a chiedere la sospensione dei pagamenti e a chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, nonché, in via alternativa, a cumulare alla pronuncia ex art. 2932 cod. civ. l’azione diretta all’esatto adempimento, con la conseguenza che il richiamo alla natura obbligatoria del patto, non paralizza il ricorso all’art. 1497 cod. civ.;
la circostanza, poi, che il bene fosse comunque in grado di assolvere alla sua funzione, non impedisce di reputarlo menomato di una qualità essenziale, tale ritenuta per espressa pattuizione (sia per gli effetti dell’art. 1455, che dell’art. 1497 cod. civ.). Invero, soggiunge la ricorrente, anche qualità non essenziali possono essere assicurate come tali dal contratto. Infine, poiché la controparte non aveva mai eccepito la prescrizione non occorreva che la esponente avesse dato dimostrazione del rispetto del termine decadenziale di cui all’art.1497 cod. civ. 1. 1. Il motivo è fondato nei termini di cui appresso. In un solo motivo la ricorrente prospetta plurimi profili di doglianza, di cui taluni rubricati come “errores in procedendo” e altri “in iudicando”. Tuttavia assume carattere prioritario la doglianza, esplicitata, nel corpo del motivo, con sufficiente specificazione e puntuale riferimento alle norme, con la quale si affermano violate o malamente applicate le norme regolanti l’ermeneutica negoziale. Questa Corte ha avuto modo di precisare, anche di recente, che il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall'art. 360, comma 1 cod. proc. civ., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa. (Nella specie, a fronte di un motivo caratterizzato da scarsa tassatività e specificità nonché dalla esposizione di una congerie di argomenti, la S.C. lo ha ritenuto comunque ammissibile poiché la complessiva lettura dell'insieme censuratorio permetteva di enucleare e perimetrare le critiche alla stregua dei parametri di cui all'art. 360 cod. proc. civ.) - S.U., n. 32415, 08/11/2021, Rv. 662880 -. Nel caso alla mano deve osservarsi che, come nell’ipotesi richiamata, la lettura del complesso censuratorio consente di individuare, con sufficiente chiarezza le mosse critiche, in relazione alle ipotesi di cui all’art. 360 cod. proc. civ. 1. 1.2. In particolare, l’appunto fondato e decisivo risulta indirizzato alla statuizione impugnata nella parte in cui svilisce radicalmente il significato negoziale della clausola di cui qui si discute, attraverso un percorso ermeneutico non solo palesemente in contrasto con le regole normative, come appresso si vedrà, ma addirittura affidato a sviluppi argomentativi non ripercorribili, in quanto del tutto eterodossi rispetto alla ricerca del significato giuridico che viene imposta al giudice dalle emergenze contrattuali e dalle condotte delle parti correlate al contratto durante le sue fasi. Proprio partendo da questa premessa risulta agevole osservare che, quale che fossero stati gli irrilevanti motivi soggettivi che spinsero la promittente alienante a condividere la disposizione negoziale, con la quale si obbligò a mantenere per almeno 20 (venti) anni dalla data di ultimazione dei lavori, la destinazione dell’immobile concessionato ad abitazione principale o permanente, con obbligo di alienare o locare detto immobile soltanto a soggetti che lo destineranno a abitazione permanente o principale , non può seriamente dubitarsi che si dette vita a un’obbligazione giuridica perfettamente valida, consapevolmente assunta nei confronti della promissaria acquirente. Ovviamente nessun rilievo giuridico potrebbe giammai assegnarsi all’eventuale riserva mentale della promittente alienante, la quale sarebbe addivenuta a quell’impegno sol perché ciò le fosse stato indispensabile al fine di ottenere sgravi degli oneri d’urbanizzazione. Con l’ovvia conseguenza che, venuta meno una tale necessità, la medesima, perciò solo, non avrebbe potuto legittimamente reputarsi unilateralmente sciolta dall’impegno contrattuale, costituente legge fra le parti. 1. 1.3. È ben noto che questa Corte ha con giurisprudenza costante, chiarito che l'opera dell'interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d'ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell'applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili [il secondo, ovviamente, sotto il regime del vecchio testo del n. 5 dell’art. 360, cod. proc. civ.], il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti,ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti;
di conseguenza, ai fini dell'ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea - anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente - la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d'una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d'argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex pluribus, da ultimo, Cass.
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