Cass. civ., sez. III, sentenza 20/05/2015, n. 10287

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Gli acquedotti di proprietà comunale, che comprendono anche i canali destinati allo scorrimento delle acque per l'irrigazione, sono soggetti, in base al combinato disposto degli artt. 822, secondo comma, e 824 cod. civ., al regime del demanio idrico, sicché, in caso di rovina dei relativi argini, è applicabile esclusivamente l'art. 2053 cod. civ. e non gli artt. 915, 916 e 917, che disciplinano le acque private.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 20/05/2015, n. 10287
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10287
Data del deposito : 20 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

ORIGINALE 10287/ 2015 Oggetto REPUBBLICA ITALIANA Responsabilità IN NOME DEL POPOLO ITALIANO civile LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE R.G.N. 27702/2011 TERZA SEZIONE CIVILE Cron. 10287 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

0.1. Rep. Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO -- Presidente Ud. 26/02/2015 Dott. G M SLA Consigliere PU Dott. G L BRRECA - Rel. Consigliere - - Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA Dott.

FANCESCO MARIA CIRILLO

Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 27702-2011 proposto da:

COMUNE DI TERME VIGLIATORE

00158240838, in persona del suo Sindaco e rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CALABRIA

56, presso lo studio dell'avvocato G B, rappresentato e difeso dall'avvocato GIAMBATTISTA DI BLASI giusta procura speciale a margine del ricorso;
2015 ricorrente - 531 contro C R, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZALE CLODIO N.

13, presso lo studio dell'avvocato 1 O G, rappresentato e difeso dall'avvocato V M giusta procura speciale a margine del controricorso; controricorrente avverso la sentenza n. 520/2010 della CORTE D'APPELLO di MESSINA, depositata il 12/10/2010, RR.GG.NN. 343/2004 e 428/2004; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/02/2015 dal Consigliere Dott. G L BRRECA; udito l'Avvocato V M; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per il rigetto del ricorso. 2 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1.- R C citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di in persona del Barcellona P.G., il Comune di Terme Vigliatore, per sentirlo condannare al risarcimento deisindaco pro-tempore, danni provocati al fondo rustico destinato a vivaio di piante pregiate, di cui era affittuaria, da inondazioni di liquami e fanghiglia provenienti dal canale (localmente detto "saja") Mollerino, di proprietà del convenuto. Deduceva che lo straripamento, verificatosi nei giorni 3. e 4 ottobre 1996, era stato causato, oltre che dalla inidoneità strutturale, per la quale vi era stata l'erosione degli argini, anche dalla mancata manutenzione, per cui la gran quantità di arbusti e detriti presenti sul letto aveva impedito il regolare flusso delle acque. 1.1.- Si costituiva il Comune convenuto e, resistendo alla domanda, deduceva che la causa dello straripamento doveva imputarsi all'eccezionale ondata di maltempo che in quei giorni si era abbattuta in tutta la provincia di Messina, tanto che era stato dichiarato lo stato di calamità naturale per numerosi comuni, tra cui quello di Terme Vigliatore. Aggiungeva che, comunque, non sarebbe stato possibile distinguere, ai fini della quantificazione, i danni prodotti dalla cattiva manutenzione dai danni causati dal maltempo ed inoltre che vi era stata negligenza dell'attrice, che non aveva richiesto tempestivamente al Comune di sistemare gli argini del canale di scolo. 1.2.- Istruita la causa con l'audizione di testimoni e l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale, con sentenza del 31 gennaio/3 febbraio 2004, ritenuta la responsabilità del convenuto nella misura del 50%, lo condannava a pagare in favore dell'attrice, a titolo di risarcimento danni, la oltre interessi, nonché al somma complessiva di € 123.448,90, rimborso delle spese processuali. 2.- Avverso la sentenza proponeva appello il Comune di Terme Vigliatore. R C proponeva separato gravame e successivamente si costituiva anche nel giudizio già instaurato dal Comune, la propria concorrente contestando in via incidentale responsabilità. 2.1.- La Corte d'Appello di Messina, disposta la riunione dei giudizi, con la decisione ora impugnata, pubblicata il 12 ottobre 2010, ha rigettato l'appello del Comune di Terme Vigliatore ed ha accolto parzialmente l'appello della Cipriano. In parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il Comune al risarcimento dei danni in favore della Cipriano, liquidati complessivamente in € 246.897,80 (importo rivalutato alla data della sentenza di primo grado), oltre interessi, reputando la responsabilità esclusiva dell'originario convenuto;
ha confermato nel resto la sentenza di primo grado ed ha condannato il Comune al pagamento delle spese del secondo grado. 3.- Avverso la sentenza il Comune di Terme Vigliatore propone ricorso affidato a due motivi. R C resiste con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE 4 1.- Col primo motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ed insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ. Il ricorrente lamenta che il giudice abbia deciso la causa sulla base di una consulenza tecnica d'ufficio che non avrebbe potuto costituire valida fonte di prova dei fatti allegati dalla parte istante a dimostrazione della causa dei danni. Svolge quindi una serie di critiche alle conclusioni raggiunte dal consulente, osservando che questi si recò sui luoghi tre anni dopo i fatti e si sarebbe impropriamente avvalso di un elaborato di parte, redatto invece in coincidenza con quei fatti. Cita giurisprudenza di legittimità per la quale la perizia stragiudiziale di parte non di potrebbe costituire prova quanto in essa contenuto, potendo indiziario. Nel caso di specie, vi tutt'al più avere valore sarebbe stata violazione di legge per avere i giudici di merito attribuito alla stessa valore di prova. Altra violazione di legge vi sarebbe stata per avere i giudici di merito considerato alla testimoniale le dichiarazioni rese dalstregua di una prova tecnico comunale, geom. Torre, raccolte dal C.T.U. e riportate nella consulenza tecnica d'ufficio. 1.1.- La motivazione della sentenza, a detta del ricorrente, sarebbe contraddittoria ed insufficiente perché avrebbe considerato solo parzialmente le conclusioni del CTU, in quanto non ne avrebbe valorizzato la parte relativa al fenomeno 5 pluviometrico di particolare durata ed intensità che aveva colpito la zona e che si sarebbe dovuto considerare causa dello straripamento del canale. -2. Il motivo non merita di essere accolto. configurabile la violazione di legge denunciata con Non è cod. proc. civ.,riferimento alle norme degli artt. 115 e 116 risolvendosi il motivo nel dedotto vizio di motivazione, specificamente nel vizio di motivazione insufficiente (non rinvenendosi nella relativa illustrazione alcun accenno alla fattispecie della motivazione contraddittoria). E' da escludere che sia viziata la motivazione soltanto perché il giudice si è avvalso di una consulenza tecnica d'ufficio espletata anche sulla base di una perizia stragiudiziale di parte. Infatti, già 10 stesso giudice può porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale, ed anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione, attesa l'esistenza, nel vigente del principio del libero convincimento del giudice ordinamento, (così, da ultimo, Cass. ord. n. 26550/11, nonché, tra le altre, già Cass. n. 12411/01). A maggior ragione, può il consulente tecnico d'ufficio avvalersi delle risultanze, peraltro di mero fatto (quindi, non valutative), di una perizia di parte, purché sia 10 stesso CTU a valutare autonomamente tali risultanze, traendo le proprie conclusioni, a off loro volta, soggette all'apprezzamento del giudice. 6 Inoltre, va ribadito che il consulente tecnico d'ufficio, ricevuto, può chiedere, ai sensinell'espletamento del mandato dell'art. 194 cod. proc. civ., informazioni a terzi ed alle parti, fatti collegati con l'oggetto per l'accertamento dei dell'incarico, senza bisogno di una preventiva autorizzazione del giudice e queste informazioni, quando ne siano indicate le fonti, in modo da permettere il controllo delle parti, possono concorrere con le altre risultanze di causa alla formazione del convincimento verbalizzazione di siffatte del giudice;
il c.t.u., nella informazioni, in quanto ausiliario del giudice, ha la qualità di pubblico ufficiale pertanto, l'atto da lui redatto, il quale e, attesta che a lui sono state rese le succitate informazioni, fa fede fino a querela di falso (così Cass. n. 15411/04, nonché Cass. n. 14652/12). Nel caso di specie, la Corte d'Appello si è legittimamente avvalsa, non solo della consulenza tecnica d'ufficio e delle dichiarazioni raccolte dal consulente tecnico d'ufficio, ma anche di deposizioni testimoniali assunte in primo grado (come quella del Comandante della Polizia Municipale, espressamente richiamata in sentenza;
oltre ad altre, indicate nel controricorso), senza che il ricorrente vi abbia nemmeno fatto cenno. A tutto quanto sopra va aggiunto che, per infirmare, sotto il profilo dell'insufficienza argomentativa, la motivazione per relationem alle conclusioni del CTU, è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d'ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della 7 decisione e l'omesso esame in sede di decisione;
al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell'elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 10222/09). E' perciò inammissibile il primo motivo che si limita a criticare giuridicamente la motivazione del giudice, in sé congrua e validamente le risultanzeineccepibile, senza intaccare processuali su cui è fondata. 3.- Col secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 915, 916, 917 e 2053 cod. civ., al fine di censurare la riforma della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto la Cipriano corresponsabile dei danni, in quanto non si era attivata per invitare l'Ente proprietario a rimuovere gli ingombri presenti sul canale né vi aveva provveduto direttamente. Secondo il ricorrente, la Corte d'Appello avrebbe errato nel ritenere prevalente l'art. 2053 cod. civ. sulle norme di cui agli artt. 915 e seg. cod. civ., che stabiliscono a carico del proprietario, su cui incombe il pericolo derivante dalle ostruzioni del canale, l'onere di rimuovere gli ingombri. Sostiene che queste costituiscono norme specifiche, regolatrici della materia del deflusso delle acque, che, in quanto tali, si sostituiscono a quelle di carattere generale, quale è l'art. 2053 cod. civ., applicabili solo in mancanza di una particolare disciplina dell'istituto. 3.1. Il motivo non è fondato. 8 Giova premettere che non risultano affatto dal ricorso né dalla sono vivamente contestati nel controricorso, isentenza, e presupposti di applicabilità della disciplina compresa nel titolo secondo, "della proprietà”, del terzo libro del codice civile, specificamente negli artt. 915, 916 e 917 cod. civ. Si tratta, infatti, di disciplina applicabile esclusivamente alle acque private, non anche alle acque c.d. pubbliche, vale a dire soggette al regime del demanio idrico. O, premesso che, in base al combinato disposto degli artt. 822 e 824 cod. civ., è da escludere che l'ordinamento contempli, come ipotesi normale, un demanio idrico comunale, è tuttavia applicabile il regime del demanio idrico agli acquedotti di proprietà comunale. Tra gli acquedotti, di cui è detto nel comma secondo dell'art. 822 cod. civ., si comprendono i canali destinati allo scorrimento delle acque anche per l'irrigazione. La natura demaniale delle acque comporta l'inapplicabilità della disciplina richiamata in ricorso, essendo invece applicabili le norme degli artt. 2051 e/o 2053 cod. civ., quest'ultimo in riferimento alla rovina degli argini (cfr. Trib. Sup. Acque Pubb. n. 127/99), come sostenuto nel controricorso. Sarebbe stato onere del ricorrente dare conto del fatto che nel merito si fosse ritenuta la natura privata del canale -definito in ricorso come "saja Mollerino" (con l'uso di un termine del araba, dal dialetto siciliano, presumibilmente di derivazione generico significato di canale, canaletto dove scorre l'acqua per l'irrigazione della terra), ma non meglio individuato, quanto a 9 struttura e destinazione ° utilizzazione- al fine di escluderne l'appartenenza al demanio comunale, e rendere perciò ammissibile il richiamo alla disciplina privatistica. 3.2.- Peraltro, la decisione della Corte territoriale non contravviene comunque alla disciplina dettata dalle norme laddove pone a carico richiamate col secondo motivo di ricorso, del Comune un obbligo risarcitorio. La Corte d'Appello ha ritenuto imputabile ad un comportamento omissivo colposo del Comune proprietario la cattiva manutenzione del canale ed ha escluso, in punto di fatto, che fosse stata fornita dal Comune la prova di un comportamento omissivo colposo imputabile alla parte privata, atto a determinare o ad aggravare i danni prodotti dalla rottura degli argini e dalla tracimazione delle acque. Premesso che è lo stesso art. 917, comma secondo, cod. civ. a per danni nel caso in cui laprevedere la responsabilità distruzione degli argini o l'ingombro nel corso delle acque derivi da colpa di alcuno dei proprietari, va Osservato che, in tale eventualità, operano gli ordinari principi della responsabilità per fatto illecito, e non trovano perciò applicazione diretta gli artt. 915 e 916 cod. civ. (cfr. Cass. n. 14664/08). Nel caso di specie, l'obbligo risarcitorio del Comune fa seguito alla relativa affermazione di responsabilità per fatto illecito, in ragione di uno specifico comportamento omissivo colposo, senza che su quest'ultimo punto vi sia stata apposita censura, se non quella di cui si è detto trattando del primo motivo. 10 In particolare, la configurazione, da parte della Corte territoriale, del fatto produttivo di danni come dovuto, non tanto e non solo ad eventi naturali, ma ad uno specifico comportamento colposo del Comune rende inapplicabili, in via diretta, le : previsioni degli artt. 915 e 916 cod. civ. richiamate dal ricorrente (al solo scopo di sostenere il concorso di colpa della danneggiata), e rende la disciplina interamente applicabile dell'illecito. Quanto a quest'ultima, il tenore della decisione è nel senso che non sia stata fornita la prova di un comportamento della danneggiata di concorso nel fatto illecito del Comune, nonché nel senso che nemmeno sarebbe stato configurabile in capo alla stessa un vero e proprio dovere di controllo, che le imponesse di sollecitare il Comune a rimuovere gli ingombri o di provvedervi direttamente. La decisione è perciò fondata sulla ritenuta mancanza del concorso di colpa della danneggiata (peraltro affittuaria e non proprietaria del fondo rustico confinante con il canale comunale), avendo la Corte escluso, in particolare, l'esigibilità a suo carico, ai sensi di un'attività didell'art. 1227 cod. civ., controllo sullo stato dei luoghi. Questa ratio decidendi non risulta validamente censurata. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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