Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 18/10/2018, n. 26234
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Testo completo
te SENTENZA sul ricorso 2028-2015 proposto da: POSTE ITALIANE S.P.A. (97103880585), in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE EUROPA
190, presso lo studio dell'Avvocato M P, rappresentato e difeso 2018 dall'Avvocato A A;
2375
- ricorrente -
contro
CORRADI P;
- intimato -
avverso la sentenza n. 412/2014 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 14/07/2014 R.G.N. 124/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7/06/2018 dal Consigliere Dott. C M;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A C che ha concluso per l'accoglimento del 2° motivo del ricorso, assorbiti gli altri;
udito l'Avvocato ANNA M UO per delega verbale dell'Avvocato A A;
R. Gen. N. 2028/2015
FATTI DI CAUSA
1.1. P C adiva il Tribunale di Ascoli Piceno e, premesso di avere stipulato con Poste Italiane s.p.a. due contratti a tempo determinato dei quali il primo, ai sensi dell'art. 1 d.lgs. n. 368/2001 dall'1/6/2001 al 30/9/2001, giustificato dal ricorrere di 'ragioni di carattere sostitutivo' ed il secondo ai sensi dell'art. 2, co. 1 bis d.lgs. n. 368/2001, dal 19/1/2004 al 13/3/2004, chiedeva accertarsi la nullità del termine, la conversione del rapporto in rapporto a tempo determinato e la condanna della società datrice al risarcimento del danno.
1.2. Il giudice di primo grado, accertata la illegittimità del termine apposto al primo contratto, dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannando la società alla riammissione in servizio del lavoratore ed al risarcimento del danno determinato, ai sensi dell'art. 32, co. 5, I. n. 183/2010, in cinque mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
1.3. La Corte d'appello di Ancona, respingeva l'appello proposto dalla società con la precisazione che la declaratoria di nullità della clausola di apposizione del termine riguardava il secondo contratto.
1.4. Riteneva la Corte di merito, per quanto di interesse nel presente giudizio, che il ricorrente non fosse incorso nella decadenza ex art. 32 della L. n. 183/2010, che non fosse stata fornita dalla società la prova della effettiva sussistenza delle ragioni sostitutive indicate in contratto.
2. Avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a sei motivi.
3. P C è rimasto intimato.
4. La causa è stata rimessa all'udienza pubblica a seguito di ordinanza della Quarta Sezione Lavoro adottata ileilàdunanza R. Gen. N. 2028/2015 camerale del 14.12.2017 previa acquisizione, in quella sede, delle conclusioni scritte del Pubblico Ministero.
5. Non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo la società denuncia la violazione dell'art. 32 della I. n. 183/2010 nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alla tardiva impugnazione della clausola del termine apposta ai due contratti stipulati dal Corradi.
1.2. Il motivo è infondato. Il differimento dell'efficacia della nuova disciplina decadenziale, introdotta dall'art. 32, deve infatti ritenersi operante per tutte le fattispecie alle quali questa nuova disciplina si riferisce. In proposito questa Corte (cfr. Cass., Sez. U., 14 marzo 2016, n. 4913;
Cass. 6 maggio 2016, n. 9268 come già Cass. 8 febbraio 2016, n. 2462;
Cass. 14 dicembre 2015, n. 25103;
Cass. 10 febbraio 2015, n. 2494) ha già affermato che il comma 1 bis dell'art. 32, della I. n. 183 del 2010, introdotto dell'art. 2, co. 54 del D.L. n. 225 del 2010, convertito con modificazioni dalla I. n. 10 del 2011, nel prevedere 'in sede di prima applicazione' il differimento al 31 dicembre 2011 dell'entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato art. 6 della I. n. 604 del 1966, sicché, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell'intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. 'collegato lavoro') e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l'entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il R. Gen. N. 2028/2015 differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla 'ratio legis' di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all'introduzione 'ex novo' del suddetto e ristretto termine di decadenza.
Considerato che
la ratio del differimento dell'applicabilità del nuovo regime decadenziale è stata individuata nell'esigenza di evitare che l'immediata decorrenza di un termine decadenziale, prima non previsto, potesse pregiudicare chi, intenzionato a contestare la cessazione del rapporto di lavoro o le altre tipologie di atti datoriali indicati nell'art. 32 cit., si fosse trovato ad incorrere inconsapevolemente nella decadenza, non sarebbe giustificata, a fronte del principio di eguaglianza, una differenziazione che limitasse tale differimento alla sola ipotesi dell'impugnativa del licenziamento ed escludesse le altre, tra cui la contestazione della legittimità dell'apposizione del termine al contratto di lavoro. Deve pertanto ritenersi che il legislatore abbia inteso posticipare l'applicabilità del nuovo regime decadenziale nel suo complesso con riferimento a tutti i termini introdotti dall'art. 32 cit.. 2.1. Con il secondo motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, co. 1, 1375, 2967 cod. civ. in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte omesso di esaminare l'eccezione di risoluzione per mutuo consenso tempestivamente formulata, così violando anche l'art. 2967 cod. civ. visto che emergeva la prova della sussistenza di circostanze dalle quali si poteva desumere una volontà, sia espressa che per fatti concludenti, atta a sostenere la presunzione di estinzione del rapporto per mutuo consenso.
2.1. Il motivo è inammissibile. Si richiama, al riguardo, Cass. 24 luglio 2013, n. 17931 nonché Cass. 10 marzo 2016, n. 4687 secondo cui: "Il ricorso per R. Gen. N. 2028/2015 cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata
VIALE EUROPA
190, presso lo studio dell'Avvocato M P, rappresentato e difeso 2018 dall'Avvocato A A;
2375
- ricorrente -
contro
CORRADI P;
- intimato -
avverso la sentenza n. 412/2014 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 14/07/2014 R.G.N. 124/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7/06/2018 dal Consigliere Dott. C M;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A C che ha concluso per l'accoglimento del 2° motivo del ricorso, assorbiti gli altri;
udito l'Avvocato ANNA M UO per delega verbale dell'Avvocato A A;
R. Gen. N. 2028/2015
FATTI DI CAUSA
1.1. P C adiva il Tribunale di Ascoli Piceno e, premesso di avere stipulato con Poste Italiane s.p.a. due contratti a tempo determinato dei quali il primo, ai sensi dell'art. 1 d.lgs. n. 368/2001 dall'1/6/2001 al 30/9/2001, giustificato dal ricorrere di 'ragioni di carattere sostitutivo' ed il secondo ai sensi dell'art. 2, co. 1 bis d.lgs. n. 368/2001, dal 19/1/2004 al 13/3/2004, chiedeva accertarsi la nullità del termine, la conversione del rapporto in rapporto a tempo determinato e la condanna della società datrice al risarcimento del danno.
1.2. Il giudice di primo grado, accertata la illegittimità del termine apposto al primo contratto, dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannando la società alla riammissione in servizio del lavoratore ed al risarcimento del danno determinato, ai sensi dell'art. 32, co. 5, I. n. 183/2010, in cinque mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
1.3. La Corte d'appello di Ancona, respingeva l'appello proposto dalla società con la precisazione che la declaratoria di nullità della clausola di apposizione del termine riguardava il secondo contratto.
1.4. Riteneva la Corte di merito, per quanto di interesse nel presente giudizio, che il ricorrente non fosse incorso nella decadenza ex art. 32 della L. n. 183/2010, che non fosse stata fornita dalla società la prova della effettiva sussistenza delle ragioni sostitutive indicate in contratto.
2. Avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a sei motivi.
3. P C è rimasto intimato.
4. La causa è stata rimessa all'udienza pubblica a seguito di ordinanza della Quarta Sezione Lavoro adottata ileilàdunanza R. Gen. N. 2028/2015 camerale del 14.12.2017 previa acquisizione, in quella sede, delle conclusioni scritte del Pubblico Ministero.
5. Non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo la società denuncia la violazione dell'art. 32 della I. n. 183/2010 nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alla tardiva impugnazione della clausola del termine apposta ai due contratti stipulati dal Corradi.
1.2. Il motivo è infondato. Il differimento dell'efficacia della nuova disciplina decadenziale, introdotta dall'art. 32, deve infatti ritenersi operante per tutte le fattispecie alle quali questa nuova disciplina si riferisce. In proposito questa Corte (cfr. Cass., Sez. U., 14 marzo 2016, n. 4913;
Cass. 6 maggio 2016, n. 9268 come già Cass. 8 febbraio 2016, n. 2462;
Cass. 14 dicembre 2015, n. 25103;
Cass. 10 febbraio 2015, n. 2494) ha già affermato che il comma 1 bis dell'art. 32, della I. n. 183 del 2010, introdotto dell'art. 2, co. 54 del D.L. n. 225 del 2010, convertito con modificazioni dalla I. n. 10 del 2011, nel prevedere 'in sede di prima applicazione' il differimento al 31 dicembre 2011 dell'entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato art. 6 della I. n. 604 del 1966, sicché, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell'intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. 'collegato lavoro') e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l'entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il R. Gen. N. 2028/2015 differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla 'ratio legis' di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all'introduzione 'ex novo' del suddetto e ristretto termine di decadenza.
Considerato che
la ratio del differimento dell'applicabilità del nuovo regime decadenziale è stata individuata nell'esigenza di evitare che l'immediata decorrenza di un termine decadenziale, prima non previsto, potesse pregiudicare chi, intenzionato a contestare la cessazione del rapporto di lavoro o le altre tipologie di atti datoriali indicati nell'art. 32 cit., si fosse trovato ad incorrere inconsapevolemente nella decadenza, non sarebbe giustificata, a fronte del principio di eguaglianza, una differenziazione che limitasse tale differimento alla sola ipotesi dell'impugnativa del licenziamento ed escludesse le altre, tra cui la contestazione della legittimità dell'apposizione del termine al contratto di lavoro. Deve pertanto ritenersi che il legislatore abbia inteso posticipare l'applicabilità del nuovo regime decadenziale nel suo complesso con riferimento a tutti i termini introdotti dall'art. 32 cit.. 2.1. Con il secondo motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, co. 1, 1375, 2967 cod. civ. in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte omesso di esaminare l'eccezione di risoluzione per mutuo consenso tempestivamente formulata, così violando anche l'art. 2967 cod. civ. visto che emergeva la prova della sussistenza di circostanze dalle quali si poteva desumere una volontà, sia espressa che per fatti concludenti, atta a sostenere la presunzione di estinzione del rapporto per mutuo consenso.
2.1. Il motivo è inammissibile. Si richiama, al riguardo, Cass. 24 luglio 2013, n. 17931 nonché Cass. 10 marzo 2016, n. 4687 secondo cui: "Il ricorso per R. Gen. N. 2028/2015 cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata
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