Cass. pen., sez. V, sentenza 10/01/2023, n. 00506

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 10/01/2023, n. 00506
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 00506
Data del deposito : 10 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da D G nato a ROMA il 07/07/1969 avverso la sentenza del 24/11/2021 della CORTE di APPELLO di ROMAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M T B letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale, L O, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. Letta la memoria dell'avvocato D A, difensore dell'imputato, che insiste, in particolare, nei primi due motivi di ricorso, e conclude per l'accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione del Giudice dell'udienza preliminare di quella stessa città - che aveva dichiarato G D colpevole dei reati di cui ai capi F), G), H), avvinti in continuazione, condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento del danno, da determinarsi separatamente, in favore della costituita parte civile - ha assolto l'imputato dal delitto di cui all'art. 485 cod. pen. (capo F), e ha dichiarato la prescrizione del delitto di cui all'art. 483 (capo H), rideterminando la pena inflitta per il residuo reato di cui al capo G ( artt. 110 - 48 - 479 in relazione all'art. 476 co. 2 cod. pen.), e confermando le statuizioni civili.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, con il ministero del difensore di fiducia, avvocato D A, che si affida a cinque motivi.

2.1. Con il primo, denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 649 cod. proc. pen. , nonché dell'art. 4 del protocollo 7 CEDU, con riguardo al delitto di cui al capo G. Si sostiene la violazione, da parte della Corte di appello, del divieto di bis in idem, dal momento che il medesimo fatto storico contestato nel presente processo era stato già oggetto di precedente procedimento, instaurato per il delitto di riciclaggio, ex art. 648 bis, a seguito di trasmissione degli atti disposta dal Tribunale con la sentenza di primo grado, reato dal quale l'imputato era stato assolto. Trattandosi della sola diversa qualificazione giuridica del medesimo fatto storico, costituito dalla falsa attestazione nel P.R.A. del nominativo della venditrice, la Corte di appello si sarebbe erroneamente soffermata sulla diversa qualificazione giuridica, piuttosto che sull'identità fattuale, in spregio ai principi declinati dalla Corte costituzionale ( sent. n. 200/2016) e dalla Corte di cassazione, che, nel recepire l'arresto della Grande Camera della CEDU del 10/02/2009, considerano che il criterio di valutazione debba incentrarsi sull'idem factum e non sull'idem legale, in una prospettiva in cui il divieto di bis in idem si sviluppa in una dimensione esclusivamente processuale, precludendo una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia stato già oggetto di una pronuncia di carattere definitivo.

2.2. Analogo vizio è denunciato con il secondo motivo, relativamente al reato di cui al capo H, per cui la Corte di appello ha dichiarato la prescrizione, invece della improcedibilità ex art. 649 cod. proc. pen.

2.3. Con il terzo motivo è denunciato vizio della motivazione nell'affermazione di responsabilità per il delitto di cui al capo G) per non essere stata individuata la partecipazione concorsuale del ricorrente a tutti i singoli episodi, e segnatamente a quello oggetto dell'imputazione in questione. Posto che il Tribunale aveva assolto l'imputato dalle altre imputazioni - di truffa aggravata, sostituzione di persona e altri reati di falso - per non aver commesso il fatto, si duole la Difesa che la Corte di appello abbia omesso di fornire adeguata motivazione in merito alla partecipazione concorsuale dell'imputato al fatto sub G).

2.4. Con gli ultimi due motivi si attingono le statuizioni civili, che verrebbero meno nel caso di accoglimento dei primi motivi, e il trattamento sanzionatorio per il delitto sub G). Si duole la Difesa del diniego delle circostanze attenuanti generiche e dell'omessa motivazione del diniego della sospensione condizionale della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO I motivi di ricorso non sono fondati.

1.Come premesso, la Difesa ricorrente si duole che l'imputato sia stato processato due volte per il medesimo fatto materiale, per avere compiuto, sul veicolo tg. DX208SX, alcune operazioni "in modo da ostacolarne la provenienza delittuosa", sostenendo che tale fatto fosse stato già contestato nell'imputazione per il delitto di cui all'art. 648 bis cod. pen., da cui il ricorrente è stato assolto perché il fatto non sussiste, con sentenza irrevocabile del Tribunale di Roma del 07/06/2019. 1.1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello ha ritenuto tale giudicato ininfluente ai fini della denunciata violazione del divieto di cui all'art. 649 cod. proc. pen., in quanto non incidente sulle condotte di falso, oggetto del presente giudizio, essendosi limitato il Tribunale di Roma a ritenerle inidonee ad integrare anche l'elemento oggettivo dell'ulteriore delitto di riciclaggio.

1.2. Ai fini di un corretto inquadramento della questione prospettata, occorre considerare, alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale che ha investito il thema del bis in idem, che si tratta di un principio che, nelle sue declinazioni, sostanziale e processuale, presenta confini ed ambiti applicativi (almeno parzialmente) diversi, e differenti strumenti correttivi per porre rimedio alla violazione del divieto, a seconda che venga in rilievo l'uno o l'altro divieto. Il bis in idem sostanziale, infatti, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità (artt. 15 e 84 cod. pen.), fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona;
il bis in idem processuale, invece, concerne non già il rapporto astratto tra norme penali, bensì il rapporto tra il fatto e il giudizio, vietando l'esercizio di una nuova azione penale dopo la formazione del giudicato (Sez. 7 , Ordinanza n. 42994 del 20/10/2021, Rv. 282187;
conf. sez. 5 n. 1363 del 25/10/2021, dep. 2022). L'improcedibilità rappresenta un utile rimedio alla violazione del divieto di doppia incriminazione ( ne bis in idem processuale), mentre per impedire l'irrogazione di una doppia sanzione ( ne bis in idem sostanziale), occorre dirimere la questione dell'unità o pluralità di reati.

1.3. Al riguardo, giova ricordare che un decisivo contributo alla rimodulazione del principio del divieto del bis in idem è provenuto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, pure avendo fornito diverse precisazioni di principio nel corso degli anni, con riferimento alla nozione rilevante di 'idem factum', con la sentenza della Grande Camera, 10/2/2009, caso Sergey Zolotukhin

contro

Russia, ha delineato il thema in maniera definitiva e organica. Nell'esaminare i trattati e gli strumenti internazionali che sanciscono il divieto del 'bis in idem', la Corte E.D.U. ha constatato che non tutti usano gli stessi termini, ed ha affermato che la distinzione tra i termini "stessi atti" o "stessi fatti", da un lato, e "stesso reato", dall'altro, è stata ritenuta dalla CGUE un elemento importante a favore dell'adozione di un approccio basato strettamente sull'identità degli atti materiali (idem factum) e sul rifiuto della mera qualificazione giuridica (idem legale) di tali atti come criterio di verifica della violazione, giudicata come irrilevante. La Corte EDU ha preso spunto dalla constatazione che un tale approccio interpretativo è più favorevole, perché l'autore del reato saprebbe che, una volta condannato o assolto, non deve temere ulteriori procedimenti penali per la medesima condotta o il medesimo fatto, e, ribadendo che la Convenzione EDU deve essere interpretata ed applicata in modo da rendere pratici ed effettivi, e non teorici o illusori, i diritti in essa riconosciuti, afferma che l'uso del termine "offence/infraction" nell'art. 4 del Protocollo n. 7 non giustifica un approccio interpretativo di tipo restrittivo;
il ricorso alla mera qualificazione giuridica del medesimo fatto rischia di indebolire il divieto di bis in idem, piuttosto che renderlo pratico ed effettivo, perché non impedisce che per la medesima condotta una persona possa essere processata e/o condannata due volte. Di conseguenza, secondo la Corte EDU, l'art. 4 del Protocollo n. 7 deve essere interpretato nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che io integrano sono identici oppure sono sostanzialmente gli stessi (§ 82), dovendosi intendere per fatto «l'insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono lo stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale» (§ 84) 1.4. Sul piano interno, con la sentenza n. 200 del 21/07/2016, la Corte costituzionale - che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 cod. proc. pen. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale - ha ridefinito il principio del ne bis in idem processuale, recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. L'affrancamento dall'inquadramento giuridico (non, però, dai criteri normativi di individuazione) del fatto (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 4), cioè dall'idem legale, ha comportato la riaffermazione della "dimensione esclusivamente processuale" del divieto di bis in idem, che "preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo" (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 10). Secondo la Corte costituzionale, infatti, il diritto vivente, pur in presenza di un identico fatto storico oggetto di precedente giudizio, aveva "saldato il profilo sostanziale implicato dal concorso formale dei reati con quello processuale recato dal divieto di bis in idem" (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 10), sterilizzando la garanzia processuale in ragione della qualificazione normativa multipla consentita dal (l'inoperatività del) principio del bis in idem sostanziale. Al contrario, proprio l'adesione ad una concezione storico-naturalistica del fatto (l'idem factum), ai fini della perimetrazione del divieto di bis in idem di cui all'art. 649 cod. proc. pen., implica l'ininfluenza del concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 12). Ne deriva che l'estensione del bis in idem processuale è diversa, e di regola più ampia, rispetto al bis in idem sostanziale, e, soprattutto, concerne, come detto, rapporti diversi: l'art. 649 cod. proc. pen., infatti, riguarda il rapporto tra il fatto storico oggetto di giudicato ed il nuovo giudizio, e, nella sua dimensione storico-naturalistica, prescinde dalle eventualmente diverse qualificazioni giuridiche;
il bis in idem sostanziale, invece, concerne il rapporto tra norme incriminatrici astratte, e prescinde dal raffronto con il fatto storico (Sez. 7, n. 32631 del 01/10/2020, Rv. 280774). Il Giudice delle Leggi, nell'affermare il criterio del/'idem factum, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio, ha chiarito che l'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto non implica l'affrancamento dai criteri normativi di individuazione del fatto. Il criterio dell'idem factum, afferma la Consulta, non può essere inteso nell'accezione ristretta alla sola condotta (azione od omissione), in quanto la stessa giurisprudenza della Corte EDU non è consolidata in tal senso, anche per l'approccio casistico che la connota, e in quanto la scelta sul perimetro dell'idem factum "è di carattere normativo", perché "ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum" (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 4). In particolare, la Corte costituzionale ha preso le distanze, affermandone la erroneità, dalla tesi secondo cui l'idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell'azione o dell'omissione, trascurando evento e nesso di causalità, giacchè " Fatto, in questa prospettiva, è l'accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione, e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente. È chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell'idem legale. Esse, infatti, non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere considerazione per valutare la medesimezza del fatto. Nell'ambito della CEDU, una volta chiarita la rilevanza dell'idem factum, è perciò essenziale rivolgersi alla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, per comprendere se esso si restringa alla condotta dell'agente, ovvero abbracci l'oggetto fisico, o anche l'evento naturalistico" (Corte Cost., n. 200 del 2016, § 4). Proprio confrontandosi con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la Corte Costituzionale ha escluso che l'idem factum venisse delimitato con riferimento esclusivo alla condotta: "Né la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi