Cass. civ., SS.UU., sentenza 02/07/2004, n. 12139

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L'indennità virtuale d'espropriazione, sulla cui base è computabile mediante misura percentuale l'indennità per il periodo di legittima occupazione temporanea e d'urgenza non seguita da espropriazione o cessione, si identifica, quando si tratti di procedura espropriativa di area edificabile soggetta alle regole dell'art. 5 bis del d.l. 11 luglio 1992 n. 333, inserito dalla legge di conversione 8 agosto 1992 n. 359, nella metà della somma del valore venale e del valore fiscale (reddito dominicale rivalutato), ridotta del 40 per cento se l'espropriando, con la determinazione dell'indennità espropriativa provvisoria (o con altra idonea modalità) abbia ricevuto e non abbia accettato offerta d'importo coincidente o non apprezzabilmente divergente rispetto alla stessa semisomma, ovvero non ridotta del 40 per cento se tale offerta sia mancata o sia stata effettuata invalidamente od in misura incongrua.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 02/07/2004, n. 12139
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12139
Data del deposito : 2 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente f.f. -
Dott. O G - Presidente di sezione -
Dott. P G - Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. L E - Consigliere -
Dott. N G - Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. G G - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Comune di Quarto, in persona del sindaco prof. A O, elettivamente domiciliato in Roma, via Boezio n. 16, presso il doti. A S, difeso dagli avv.ti G M e V B per procura a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
Augustissima Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti di Napoli, in persona del legale rappresentante avv. G D R, elettivamente domiciliata in Roma, lungotevere Flaminio n. 46, presso lo studio Gian M G, difesa dagli avv.ti L ed A M per procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- resistente -
ed inoltre sul ricorso incidentale proposto dalla Augustissima Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti di Napoli, come sopra rappresentata, domiciliata e difesa;



- ricorrente -




contro

Comune di Quarto, in persona del Sindaco;



- intimato -


per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Napoli n. 2513 del 10 novembre-2 dicembre 1999, notificata il 7 giugno 2000;

sentiti il Cons. Dott. Graziadei, che ha svolto la relazione della causa;

l'avv. Barone, per il Comune, e l'avv. Marotta, per
l'Arciconfraternita;

il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale Dott. Iannelli Domenico, il quale ha concluso per raccoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale, con rimessione per gli altri motivi a Sezione semplice.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Sindaco del Comune di Quarto l'8 novembre 1980, nell'ambito di procedimenti espropriativi inerenti all'attuazione di piano di zona, ha autorizzato per un triennio l'occupazione temporanea di un'area di complessivi mq. 95.398 di proprietà dell'Augustissina Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti di Napoli.
Detto Comune il 5 dicembre 1980 ha preso possesso dell'area, e poi, a partire dal 19 giugno 1982, ha mantenuto il possesso medesimo limitatamente a porzione di mq. 26.690, in quanto nell'occupazione della rimanente estensione di mq. 68.708 è subentrato il Consorzio Quarto-Pozzuoli, in forza di provvedimenti resi dal Presidente della Regione Campania in qualità di Commissario straordinario del Governo.
Le cooperative edilizie Militare e Mazzini, il 23 gennaio 1985 ed il 14 marzo 1985, su autorizzazioni del Sindaco di Quarto, hanno acquisito il godimento dell'indicato terreno di mq. 26.690, rispettivamente, per mq.

3.280 e per mq. 23.410.
L'Arciconfraternita, facendo riferimento a tali vicende, nel 1985 ha citato il Comune di Quarto davanti al Tribunale di Napoli, formulando pretese restitutorie, indennitarie e risarcitone. Il Tribunale, in parziale accoglimento delle domande, ha riconosciuto all'Arciconfraternita lire 276.714.411, quale indennità per l'occupazione legittima dell'estensione di mq. 68.708 nel periodo dall'8 novembre 1980 al 19 giugno 1992, lire 240.210.000, quale indennità per l'occupazione legittima dell'estensione di mq. 26.690 nel periodo dall'8 novembre 1980 all'8 novembre 1983, nonché lire 270.770.560 e lire 1.912.316.080, a titolo di risarcimento del danno per la perdita della proprietà delle due porzioni di detta area di mq. 26.690, determinata dalla loro irreversibile trasformazione per effetto delle opere che le cooperative avevano realizzato senza che fossero intervenuti decreti espropriativi.
Pronunciando su gravami di entrambe le parti, con sentenza depositata il 2 dicembre 1999 e notificata il 7 giugno 2000, la Corte d'appello di Napoli:
- ha rilevato che sul verificarsi di detta irreversibile trasformazione si era formato giudicato, dato che il Comune, con l'appello incidentale, si era limitato ad avanzare mere ipotesi sulla sopravvenienza di provvedimenti espropriativi, con deduzione non qualificabile come motivo d'impugnazione;

- ha escluso l'insorgenza di crediti indennitari
dell'Arciconfraternita per l'occupazione anteriore al 1985, osservando che la stessa aveva nel relativo periodo continuato a percepire i frutti dei beni a seguito del protrarsi di rapporti di colonia;

- ha accordato all'Arciconfraternita, con riguardo ai terreni acquisiti dal Comune per il tramite delle cooperative, le indennità di occupazione legittima, rispettivamente, dal 23 gennaio 1985 al 23 gennaio 1990 e dal 14 marzo 1985 al 14 marzo 1990, e le ha liquidate, con il metodo degli interessi legali sull'indennità virtuale di espropriazione, calcolando questa, ai sensi dell'art. 5 bis primo comma del d.l. 11 luglio 1992 n. 333, introdotto dalla legge di
conversione 8 agosto 1992 n. 359, con la riduzione del 40% da tale norma prevista;

- ha quantificato in lire 179.700.048 ed in lire 1.277.075.646 il danno subito dall'Arciconiraternita per la perdita della proprietà di quei due terreni, facendo applicazione del settimo comma bis del citato art. 5 bis, aggiunto dall'art. 3 sessantacinquesimo comma della legge 23 dicembre 1996 n. 662. Il Comune di Quarto, con atto notificato il 21 settembre 2000, ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Napoli, formulando tre motivi d'impugnazione.
Il primo motivo del ricorso del Comune rinnova la tesi secondo cui le aree edificate dalle cooperative sono state oggetto non di accessione invertita, ma di tempestiva e valida espropriazione. Denunciandosi la violazione degli artt. 342 e 345 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 329 e 346 cod. proc. civ., si assume con detto primo motivo che l'appello incidentale del Comune, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Napoli, ha investito anche l'affermazione del Tribunale circa il determinarsi di occupazione acquisitiva, in quanto ha sollecitato in toto la riforma, della decisione di primo grado.
Con gli altri motivi il Comune torna a sostenere il proprio difetto di legittimazione passiva, rispetto alle pretese fatte valere dall'Arciconfraternita, da avanzarsi nei confronti delle cooperative, ed inoltre contesta la determinazione del valore dei terreni, denunciando come eccessiva la stima operata dalla Corte di Napoli. L'Arciconfraternita ha replicato con controricorso, ed ha contestualmente proposto ricorso incidentale, articolato in quattro censure.
Con tale ricorso incidentale, oltre a criticarsi il diniego d'indennità di occupazione per il tempo anteriore al 1985 (primo motivo), a dedursi, condizionatamente all'accoglimento del primo motivo del ricorso principale, la disapplicabilità di eventuali decreti di espropriazione emessi in carenza di potere (terzo motivo), ed a censurarsi la compensazione delle spese processuali (quarto motivo), si contesta, mediante il secondo motivo, il criterio adottato dalla Corte d'appello per determinare le indennità di occupazione in concreto riconosciute.
Quando all'occupazione legittima segua l'appropriazione del bene (in assenza di atto espropriativo), sostiene l'Arciconfraternita con detto secondo motivo, l'indennità per l'occupazione medesima deve essere calcolata in misura percentuale del danno per la perdita della proprietà, non dell'indennità che spetterebbe per l'espropriazione, e, comunque, in fattispecie acquisitiva perfezionatasi prima dell'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992, deve essere calcolata senza l'abbattimento del 40%, mancando un'offerta dell'indennità di per la discussione all'udienza del 6 novembre 2002.
L'Arciconfraternita ha depositato memoria.
La Sezione prima, con ordinanza del 4 marzo 2003 n. 3217, rilevando la presenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti sulla problematica sollevata con la seconda deduzione del secondo motivo del ricorso incidentale, ha trasmesso gli atti al Primo presidente. Per la composizione del contrasto sono state investite queste Sezioni unite, ai sensi dell'art. 374 secondo comma cod. proc. civ.. L'Arciconfraternita ha prodotto ulteriore memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere riuniti, a norma dell'art. 335 cod. proc. civ.. Preliminare, rispetto alla pronuncia sul secondo motivo del ricorso incidentale, è l'esame del primo motivo del ricorso principale. Il motivo è infondato.
L'onere di formulare specifiche censure, ai sensi dell'art. 342 cod. proc. civ., al fine di ottenere in fase di gravame la revisione di
una determinata statuizione del giudice di primo grado, non può ritenersi assolto con la sola contestazione della sentenza appellata nella sua interezza, quando detta statuizione, come nella specie quella resa dal Tribunale di Napoli in ordine al verificarsi di accessione invertita per carenza di decreto d'espropriazione, abbia una propria autonomia, nell'ambito del complessivo tema del dibattito, e le ragioni che la sostengano non siano oggetto di pertinenti critiche (v. Cass. s.u. 20 settembre 1993 n. 9628). n secondo motivo del ricorso incidentale è fondato, con limitato riguardo alla seconda delle tesi con esso sviluppate. L'indennità di occupazione temporanea e d'urgenza preordinata ad espropriazione non si sottrae alla regola generale dell'art. 72 quarto comma della legge 25 giugno 1865 n. 2359, sull'unicità del
valore rilevante al fine del ristoro tanto dell'occupazione medesima quanto dell'espropriazione, e, dunque, ove si tratti di suolo a vocazione edificatoria, per il quale è venuto meno il criterio dell'art, 20 terzo comma della legge 22 ottobre 1971 n. 865 (che mantiene operatività residuale per i terreni non edificabile dopo la pronuncia della Corte costituzionale 30 gennaio 1980 n. 5), deve essere parametrata al valore dell'immobile contemplato nel regime legale dell'indennità espropriativa delle aree edificabili, anche se diverso dal valore di mercato.
Detto principio, enunciato da queste Sezioni unite con sentenza 20 gennaio 1998 n. 493, ha consentito in concreto di determinare l'indennità di occupazione sulla scorta di una percentuale (interesse al tasso legale od altro) dell'indennità di espropriazione, e, dunque, ove tale ultima indennità rimanga virtuale, in quanto all'espropriazione stessa non si addivenga e non si possa più addivenire per effetto del perfezionarsi dell'illecito acquisitivo, di una percentuale dell'indennità che sarebbe spettata per l'espropriazione (v. Cass. 13 luglio 2001 n. 9526, 12 aprile 2002 n. 5271). Sul quesito dell'individuazione dell'indennità virtuale di espropriazione, nei procedimenti soggetti all'applicazione dell'art. 5 bis, il contrasto giurisprudenziale, rilevato con la predetta ordinanza di rimessione, è sintetizzabile nei seguenti termini. Le sentenze 5 giugno 1998 n. 5537, 24 luglio 2000 n. 9681 e 19 luglio 2002 n. 10535 hanno ritenuto che l'indennità virtuale debba essere calcolata sottraendo il 40% dalla media fra valore venale ed il cosiddetto valore fiscale evidenziato dal reddito dominicale rivalutato di cui agli artt. 24 e segg. del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917. La decurtazione, si è osservato, è componente della regola generale posta dal primo comma dell'art. 5 bis per la liquidazione dell'indennizzo espropriativo, e, quindi, è influente per stabilire quale indennità sarebbe spettata in ipotesi di espropriazione, mentre l'esonero dalla decurtazione stessa è eccezione, contemplata dal secondo comma per il caso specifico della cessione volontaria del bene, cioè per situazione non prospettabile e non conferente quando, dopo l'occupazione legittima, si sia verificata accessione invertita, o comunque il procedimento abbia avuto uno sbocco diverso da quello naturale dell'atto traslativo (annullamento del decreto d'espropriazione, caducazione dello stesso a seguito di annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, restituzione dell'area perché non utilizzata, inutile decorso dei relativi termini). Le sentenze 6 maggio 1999 n. 4530 e 17 settembre 2002 n. 13599, con riguardo a fattispecie in cui l'occupazione legittima e la successiva acquisizione della proprietà erano intervenute, rispettivamente, prima e dopo l'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992, hanno affermato che la riduzione del 40% è condizionata alla mancata accettatone di un'offerta indennitaria effettuata in misura idonea a promuovere la cessione volontaria per un prezzo corrispondente alla media fra i menzionati valori. Difettando tale condizione, come nel caso in cui si sia perfezionata la vicenda acquisitiva senza alcuna offerta e connessa possibilità di cessione, l'indennità virtuale d'espropriazione deve prescindere da quella riduzione. Nella stessa linea si collocano la sentenza 3 settembre 1999 n. 9286, riferita all'ipotesi in cui l'occupazione legittima non approdi all'espropriazione in quanto il bene rimanga inutilizzato, e, in termini più generali, la recente sentenza 19 marzo 2004 n. 5538, le quali hanno escluso la decurtazione del 40%, quando la pubblica amministrazione abbia effettuato scelte preclusive della cessione volontaria secondo il corrispettivo di legge, non potendo tradursi il suo comportamento in un pregiudizio per l'altra parte del rapporto espropriativo, nemmeno in sede di quantificazione dell'indennità di occupazione legittima.
Il conflitto fra i riportati orientamenti va composto, con sostanziale adesione al secondo, attraverso l'interpretazione coordinata dei primi due commi dell'art. 5 bis, evidenziante una nozione dell'indennità di espropriazione atta a risolvere de plano la questione della determinazione della sua misura virtuale;
nozione indipendente dalla circostanza che la norma stessa trovi applicazione "a regime", rispetto a rapporti insorti dopo la data di entrata in vigore della legge n. 359 del 1992 di conversione del d.l. n. 333 del 1992, oppure, trattandosi di rapporti nati anteriormente, ina ancora
in corso in sede amministrativa o giudiziaria, sia applicabile per effetto delle previsioni transitorie di cui al sesto comma (modificato dall'art. 1 sessantacinquesimo comma della legge 28 dicembre 1995 n. 549) ed al settimo comma.
Il primo comma dell'art. 5 bis stabilisce che l'indennità per l'espropriazione di aree edificabili è determinata a norma dell'art. 13 terzo comma della legge 15 gennaio 1885 n. 2892 sul risanamento
della città di Napoli, sostituendo ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui agli arti 24 e segg. del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, e, dunque, sulla base della metà della somma
del valore venale e del valore espresso da detto reddito dominicale, e poi aggiunge che "l'importo così determinato è ridotto del 40%". Il secondo comma accorda all'espropriato, in ogni fase del procedimento espropriativo, la facoltà di convenire la cessione volontaria del bene, sottraendosi con essa alla riduzione del 40% e cosi percependo un corrispettivo per la cessione pari alla semisomma del valore venale e del valore fiscale.
La Corte costituzionale, con sentenza 16 giugno 1993 n. 283, ha dichiarato l'illegittimità del secondo comma, nella parte in cui, in favore dei soggetti già espropriati al momento dell'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992, sempre che nei loro confronti l'indennità non sia ancora divenuta incontestabile (e sia così soggetta allo ius superveniens ai sensi dei citati sesto e settimo comma), non prevede il diritto di accettare l'indennità di cui al primo comma, con esclusione della riduzione del 40%. Tale declaratoria di tipo additivo, come rilevato da univoco indirizzo della Sezione prima (v., fra le altre, sentt. 14 febbraio 1997 n. 1414, 8 agosto 2002 n. 11991, 6 giugno 2003 n. 9097), necessariamente comporta, a fronte del diritto dell'espropriato di evitare detta riduzione, accettando per il trasferimento del bene mediante espropriazione un indennizzo pari a quello stabilito dalla legge sopraggiunta, lo speculare onere dell'espropriante di offrire il relativo importo, con l'ulteriore conseguenza che, in assenza di offerta od in presenza di un'offerta invalida od incongrua, si deve escludere l'applicabilità della riduzione, in ragione dell'imputabilità a fatto dell'espropriante della perdita della possibilità di addivenire ad accordo sull'entità dell'indennizzo. La citata pronuncia della Corte costituzionale, pur se inerente all'ipotesi nella quale l'art. 5 bis sopravvenga all'espropriazione e si discuta ancora sull'ammontare dell'indennità espropriativa, riposa su una premessa logica più ampia: l'espropriando od espropriato può perdere il beneficio dell'inapplicabilità della decurtazione del 40% solo se l'espropriante offra una somma consona ai criteri di legge cui il rapporto è soggetto, si da consentire, per effetto di adesione, la cessione volontaria, ovvero, se vi sia già stata espropriazione, la formazione di accordo sul quantum dell'indennizzo.
La portata di detta premessa non si esaurisce nella fase transitoria di applicazione dell'art. 5 bis ai procedimenti in corso, dato che in nessun caso sarebbe giustificabile una riduzione del ristoro per la perdita della proprietà dipendente da un contegno del debitore, le cui unilaterali azioni od omissioni non possono incidere in termini riduttivi sull'ammontare dell'obbligazione.
Deve quindi convenirsi con il consolidato orientamento della Sezione prima, quando si afferma che l'indennità espropriativa non subisce la decurtazione del 40%, anche nella disciplina "a regime" dell'art. 5 bis, se vi sia stata perdita della facoltà di cessione volontaria per la mancanza dell'offerta dell'indennità provvisoria (quale ne sia la causa) o per la non congruità dell'offerta stessa rispetto alla misura di legge (v. sentt. 16 marzo 2001 n. 3833, 11 maggio 2001 n. 6538, 2 aprile 2003 n. 5059, 4 aprile 2003 n. 5257). L'esigenza di una proposta congrua, quale condizione per l'espropriazione con indennizzo decurtato (se la proposta medesima non sia accettata), è insita nel complessivo meccanismo dei primi due commi dell'art. 5 bis, a prescindere dal fatto che operino in un procedimento pendente od in un procedimento instauratosi dopo l'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992. Non sarebbe del resto ragionevole un deteriore trattamento di chi sia sottoposto ad espropriazione successivamente a quella data, e veda determinare l'indennità provvisoria in misura inadeguata, rispetto al proprietario già espropriato alla data stessa.
Dopo l'intervento della Corte costituzionale, con i riflessi sopra evidenziati, un'esegesi armonica delle disposizioni dell'art. 5 bis non può dunque fermarsi alla valorizzazione del dato letterale e topografico, quello cioè della collocazione della previsione di riduzione del 40% nel primo comma dedicato alla determinazione dell'indennità e della previsione di esonero dalla riduzione stessa nel secondo comma inerente alla cessione, per poi inferirne che l'una esprima la regola e l'altra l'eccezione, e porta invece ad affermare che l'insieme di tali previsioni delinei in via generale l'indennità di espropriazione in una misura unitaria, ma complessa, con una base fissa, costituita dalla metà della somma del valore venale e del valore fiscale, ed un parametro variabile, rappresentato dalla riduzione o non riduzione del 40% del relativo importo a seconda che il proprietario sia stato o meno messo in grado di accordarsi per il ristoro della traslazione del diritto dominicale dietro versamento di una somma pari a detta metà, o comunque non divergente da essa in misura rilevante.
Tale lettura trova pieno conforto nella natura del nesso fra espropriazione e cessione volontaria, che sono le alternative fisiologiche del procedimento apertosi con la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera abbisognante del suolo altrui. La cessione non è un'eventualità eccezionale od atipica, ed anzi si configura come lo sbocco preferenziale di quel procedimento, tanto da essere favorita con un incentivo per l'espropriando, cui corrisponde il vantaggio per l'espropriante di un'accelerata acquisizione del bene, evitando contestazioni in sede amministrativa o giudiziaria. Analoghe alternatività e collocazione paritaria, all'interno della complessiva disciplina di liquidazione delle spettanze del privato, devono attribuirsi ai due menzionati importi, previsti come variabili quantitative del credito discendente dalla traslazione della proprietà per atto legittimo (espropriazione o cessione). Conferma (indiretta, ma significativa) della predetta interpretazione si ricava dal testo unico in materia di espropriazioni per pubblica utilità di cui al d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 (modificato ed integrato dal d.lgs. 27 dicembre 2002 n. 302), che ha abrogato l'art. 5 bis per i procedimenti nei quali alla data del 30 giugno 2003 non sia ancora intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità (artt. 57 e 58 n. 133).
L'art. 37 del d.P.R. n. 327 del 2001 (riformulato dall'art. 1 del d.lgs. n. 302 del 2002) determina l'indennità di espropriazione ed
il corrispettivo della cessione di area edificabile con schemi e contenuti analoghi a quelli dei primi due commi dell'art. 5 bis, stabilendo, con il primo comma, che la misura dell'indennizzo è costituita dalla metà, ridotta del 40%, della somma del valore venale del bene e del decuplo del reddito dominicale netto rivalutato ai sensi degli artt. 24 e segg. del d.P.R. n. 917 del 1986, e poi, con il secondo comma, escludendo quella riduzione se si concluda l'accordo di cessione.
Lo stesso secondo comma prosegue considerando equipollente, rispetto all'accordo di cessione, la mancata conclusione di esso per fatto non imputabile all'espropriato.
Tale equiparazione, puntualmente recependo le indicazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 283 del 1993 e della giurisprudenza di legittimità formatasi in sede di applicazione dell'art. 5 bis nel testo risultante dalla sentenza medesima, mostra la volontà del legislatore di esplicitare una regola già presente nella disciplina indennitaria delle aree edificatoli, quella secondo cui valgono ad escludere l'abbattimento del 40% sia il perfezionarsi dell'accordo di cessione sia il mancato perfezionarsi dello stesso per assenza e per inadeguatezza di offerta.
In sintonia con detto intento esplicativo è anche l'ultima parte del secondo comma dell'art. 37 del d.P.R. n. 327 del 2001, il quale fissa in una differenza di due decimi dell'indennità definitiva il margine di tolleranza per reputare adeguata l'offerta dell'indennità provvisoria al fine dell'applicazione dell'abbattimento del 40%, così ponendo un criterio univoco e predeterminato per l'apprezzamento della congruità dell'offerta stessa (apprezzamento che, nella vigenza dell'art. 5 bis, resta necessariamente affidato a valutazoni del caso concreto).
In conclusione, si deve ritenere che l'art. 5 bis, tanto per le espropriazioni già decretate al momento dell'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992, quanto per quelle successive, non stabilisce una regola indennitaria di tipo normale o generale, che comprende l'abbattimento del 40%, relegando poi l'esenzione da tale abbattimento ad eccezione riferibile alla cessione volontaria, ma fissa un unitario criterio per compensare l'acquisto della proprietà altrui, espresso dell'indicata semisomma di valori, da ridursi o non ridursi del 40% a seconda che la procedura espropriativa abbia o meno consentito l'alternativa della cessione volontaria (o dell'accordo sull'ammontare dell'indennità), in termini effettivi, tramite un'offerta d'entità pari o prossima a quella semisomma. Il risultato interpretativo non è contrastato dalle osservazioni svolte dalla Corte costituzionale con le sentenze 11 luglio 2000 n. 262 e 19 luglio 2000 n. 300, le quali hanno negato fondamento alla questione di legittimità costituzionale del primo e del secondo comma dell'art. 5 bis, nella parte in cui non subordinano la riduzione del 40% dell'indennità di espropriazione da determinarsi giudizialmente all'accertamento che vi sia stata offerta dell'indennità provvisoria in misura conforme ai criteri di legge. Dette pronunce, se escludono l'illegittimità costituzionale di quelle norme, secondo l'esegesi nelle rispettive occasioni prospettata, non mancano di evidenziare l'esigenza di protezione dell'espropriato, a fronte di contegni dell'espropriante ostativi alla conclusione della cessione volontaria, e lasciano dunque aperta una diversa interpretazione, idonea a cogliere all'interno delle stesse disposizioni dell'art. 5 bis una soluzione atta ad assicurare l'indicata protezione.
La conclusione raggiunta, sulla portata dell'art. 5 bis, in esito ad una lettura coordinata del primo e del secondo comma, rende agevole la soluzione del quesito dell'individuazione del quantum dell'indennità virtuale d'espropriazione, considerata quale base per il calcolo dell'indennità dovuta in relazione al periodo d'occupazione legittima esauritasi senza espropriazione o cessione (sulla scorta del sopra ricordato criterio percentuale, sostanzialmente recepito dall'art. 50 del d.P.R. n. 327 del 2001, che parimenti fissa l'indennità di occupazione in una frazione di quanto sarebbe dovuto in caso d'espropriazione).
Muovendosi dalla premessa che l'indennità d'espropriazione ex art. 5 bis, concettualmente unitaria, è rappresentata da un importo variabile, dato dalla semisomma del valore di mercato e del valore fiscale, con riduzione del 40% se sia stato offerto e non accettato un indennizzo congruo, e senza tale riduzione, in carenza di detta offerta, si deve ritenere che anche l'indennità virtuale in discorso sia costituita dall'uno o dall'altro importo, in dipendenza del riscontro della sussistenza o meno del presupposto di quella riduzione.
Il contrasto giurisprudenziale, pertanto, va risolto affermandosi che l'indennità virtuale d'espropriazione, sulla cui base è computabile mediante misura percentuale l'indennità per il periodo di legittima occupazione temporanea e d'urgenza non seguita da espropriazione o cessione, si identifica, quando si tratti di procedura espropriativa di area edificabile soggetta alle regole dell'art. 5 bis del d.l. 11 luglio 1992 n. 333, inserito dalla legge di conversione 8 agosto 1992
n. 359, nella metà della somma del valore venale e del valore fiscale (reddito dominicale rivalutato), ridotta del 40%, se l'espropriando, con la determinazione dell'indennità espropriativa provvisoria (o con altra idonea modalità) abbia ricevuto e non abbia accettato offerta d'importo coincidente o non apprezzabilmente divergente rispetto alla stessa semisomma, ovvero non ridotta del 40%, se tale offerta sia mancata o sia stata effettuata invalidamente od in misura incongrua.
Il principio comporta, con l'accoglimento in parte del secondo motivo del ricorso incidentale, la cassazione della sentenza della Corte d'appello, nella statuizione inerente al calcolo dell'indennità di occupazione.
Per Tesarne degli altri motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale gli atti vanno trasmessi alla Sezione prima, cui la causa è stata inizialmente assegnata, ai sensi dell'art. 142 disp. att. cod. proc. civ.. Le pronunce consequenziali a detto accoglimento ed all'esito finale del giudizio di cassazione, inclusa quella inerente alle relative spese, restano affidate alla Sezione semplice.

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