Cass. civ., sez. V trib., sentenza 22/06/2022, n. 20080

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 22/06/2022, n. 20080
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 20080
Data del deposito : 22 giugno 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

o la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 19365 del ruolo generale dell'anno 2020 proposto da: Agenzia delle entrate, in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

- ricorrente -

contro

Basi Grafiche s.r.I., in persona del legale rappresentante, nonché Mitidieri A, Mitidieri E e A G, rappresentati e difesi dall'Avv. A Cacopardo per procura speciale allegata al controricorso, elettivamente domiciliati in Roma, viale Mazzini, n. 142, presso lo studio dell'Avv. V P;
controricorrenti - per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Basilicata, n. 412/3/2019, depositata in data 5 novembre 2019;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 maggio 2022 dal Consigliere G T;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del Sostituto procuratore generale Dott.ssa P F, con le quali ha chiesto l'accoglimento del quarto motivo di ricorso;

Fatti di causa

Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l'Agenzia delle entrate aveva notificato alla società Basi Grafiche s.r.l. ed ai soci Mitidieri A, Mit:idieri A e A G un avviso di accertamento, relativo all'anno 2010, con il quale aveva contestato l'effettuazione di cessioni intracomunitarie di beni in esenzione iva nei confronti di una società rumena in quanto le stesse erano da considerarsi inesistenti;
avverso l'atto impositivo la società ed i soci avevano proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Potenza;
avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società ed i soci avevano proposto appello. La Commissione tributaria regionale della Basilicata ha accolto l'appello, in particolare ha ritenuto che: l'attribuzione del numero identificativo iva costituiva mero requisito formale, che, tuttavia, non può essere ostativo al riconoscimento del diritto alla non imponibilità dell'iva qualora ricorrano le condizioni sostanziali di una cessione comunitaria;
nel caso di specie, la cessione intracomunitaria doveva essere ritenuta non imponibile in quanto era stata effettuata a titolo oneroso e risultava che i beni erano stati trasferiti in altro stato membro tra soggetti passivi d'imposta risultanti dalla iscrizione al Vies, non assumendo rilevanza le ulteriori vicende avvenute successivamente alla vendita tra il cedente nazionale e il cessionario;
non era, infine, fondata la contestazione relativa alla fittizietà dell'operazione. L'Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a sette motivi di censura, illustrato con successiva memoria, cui hanno resistito la società ed i soci depositando controricorso, illustrato con successivo ricorso. Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott.ssa P F, ha depositato le proprie conclusioni scritte con le quali ha chiesto l'accoglimento del quarto motivo di ricorso. Ragioni della decisione Per ragioni di ordine logico sistematic:o si ritiene di dovere esaminare unitariamente il primo, secondo e terzo motivo del ricorso. Con il primo motivo del ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 36, n. 4), d.lgs. n. 546/1992, dell'art. 132, n. 4), cod. proc. civ., per avere reso una motivazione apparente. In particolare, evidenzia parte ricorrente che il giudice del gravame, dopo avere fatto riferimento alla non rilevanza della iscrizione al Vies e del possesso del codice identificativo iva da parte dell'operatore economico cessionario in caso di cessione intracomunitaria ed al relativo onere probatorio, ha affermato che le operazioni in esame erano connotate da tutti i requisiti richiesti per potersi ritenere che le stesse fossero state correttamente realizzate, cioè che le stesse fossero onerose, che l'acquirente fosse un effettivo operatore economico e che fosse avvenuto il trasferimento fisico della merce in altro stato dell'Unione. Sotto tale profilo, lamenta parte ricorrente che non risulta in alcun modo espresso il ragionamento logico secondo cui il giudice del gravame è pervenuto al suddetto convincimento, essendosi limitato ad esaminare solo la questione relativa alla non rilevanza della successiva cancellazione dal Vies della società ces:sionaria e senza avere, invece, argomentato in ordine a quella che era l'effettiva materia del contendere, come prospettato nell'avviso di accertamento e come contestato dalla società ed i soci sia con il ricorso introduttivo che con il successivo atto di appello avverso la pronuncia del giudice di primo grado„ Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 112, cod. proc. civ., in quanto le considerazioni espresse in motivazione non sono riferibili al reale thema decidendum che era stato portato alla cognizione del giudice del gravame. Evidenzia, in particolare, parte ricorrente che le questioni di fondo della controversia riguardavano la natura fittizia o meno della cessione di merci nei confronti della società rumena Fastkol, atteso il ruolo di "missing traider" della medesima, del comportamento di diligenza della cedente e dell'effettivo trasferimento della merce, ma, su tali questioni, il giudice del gravame non si sarebbe pronunciato. Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 138, par. 1, Direttiva 2006/112/Ce e degli artt. 41 e 50, d.l. n. 331/1993, per avere erroneamente ritenuto che la regolarità delle operazioni di cessione intracomunitaria derivasse dalla circostanza della irrilevanza della successiva perdita del codice identificativo iva della società cessionaria, mentre, nel caso di specie, avrebbe dovuto accertare l'effettività delle operazioni, al di là del dato meramente formale consistente nella perdita della partita iva, cioè l'effettività del trasporto e la effettiva operatività della cessionaria. I motivi sono fondati.Si evince, in primo luogo, dalla sentenza censurata che la ragione della pretesa impositiva consisteva nella ritenuta imponibilità ai fini iva delle cessioni intracomunitarie compiute dalla società nei confronti di una società rumena in quanto le stesse erano da considerarsi inesistenti. Inoltre, si evince dal ricorso che il giudice di primo grado aveva rigettato l'impugnazione proposta dalla società e dai soci in quanto aveva ritenuto che mancava la prova dell'effettivo trasferimento dei beni presso la società cessionaria nonché dei pagamenti e, avverso la suddetta pronuncia, la società ed i soci avevano proposto appello prospettando le seguenti ragioni di censura: omessa valutazione dei documenti prodotti al fine di provare l'effettività del trasporto presso la società comunitaria e per contrastare la tesi dell'amministrazione finanziaria secondo cui la cessionaria non era una società realmente esistente;
omessa valutazione della effettività dei pagamenti;
illegittimità della sentenza in quanto il giudice di prima grado aveva erroneamente ritenuto che la società cessionaria estera non fosse un soggetto passivo iva, sia in quanto non rilevava la mancata iscrizione al Vies sia in quanto non era corretta la prospettazione secondo cui la stessa fosse un missing trader;
illegittimità della sentenza per avere ritenuto irrilevante l'assenza di vantaggi economici per la società nell'ambito della prospettazione della ritenuta partecipazione ad una frode;
omessa motivazione relativa ala eccezione di contraddittorietà della motivazione. Dai suddetti elementi si evince, quindi, che la pretesa dell'amministrazione finanziaria si fondava, essenzialmente, sulla ritenuta inesistenza della società cessionaria, ritenuta missing trader, dunque fittizia, e, a tal fine, si era prospettato che la fittizietà della cessione era riconducibile, oltre al fatto che la società cessionaria era stata cancellata nel corso del 2010 dal Vies, anche alla mancanza di prova in ordine alla effettiva esistenza della stessa, nonché alla effettività dei trasporti e dei pagamenti.Gli stessi motivi di appello della società e dei soci erano orientati a ribaltare la pronuncia del giudice di primo che, invece, aveva ritenuto mancanti i presupposti per potere ritenere che le operazioni fossero non imponibili, cioè la soggettività passiva della società cessionaria e l'effettivo trasferimento della merce. In questo quadro ricostruttivo del thema decidendum, dunque, il giudice del gravame avrebbe dovuto orientare la decisione accertando, in fatto, se, nonostante la mancanza del codice identificato iva, la società cessionaria fosse comunque esistente, cioè un reale soggetto economico cui attribuire la soggettività passiva iva, e, in questo ambito, verificare se la merce fosse stata effettivamente ad essa trasportata, tenuto conto della complessiva prospettazione, posta a fondamento della pretesa impositiva, della natura fraudolenta dell'operazione. La pronuncia del giudice del gravame ha incentrato la disamina su di un profilo, quello relativo alla non rilevanza del venire meno dell'iscrizione al Vies che non attiene al thema decidendum che era stato posto alla sua cognizione. Quel che, come detto, il giudice del gravame avrebbe dovuto accertare era se, a prescindere dal venire meno dell'iscrizione al Vies, la società ed i soci avevano effettivamente dato la prova dell'effettività dell'operazione, cioè del trasporto della merce presso la società cessionaria estera e della qualificabilità della stessa quale soggetto passivo ai fini iva, dunque della sua effettiva operatività quale soggetto economico. Va precisato, a tal proposito, che la Corte di giustizia (causa c-21/16) ha precisato che l'articolo 131 e l'articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, devono essere interpretati nel senso che ostano a che l'amministrazione tributaria di uno Stato membro neghi l'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto di una cessione intracomunitaria per il solo motivo che, al momento di tale cessione, l'acquirente, domiciliato sul territorio dello Stato membro di destinazione e titolare di un numero di identificazione di imposta sul valore aggiunto valido per le operazioni in tale Stato, non è iscritto al sistema di scambio di informazioni in materia di imposta sul valore aggiunto e non è assoggettato ad un regime di tassazione degli acquisti intracomunitari, allorché non esiste alcun serio indizio che lasci supporre l'esistenza di una frode ed è dimostrato che sono soddisfatte le condizioni sostanziali dell'esenzione. In sostanza, se è pur vero che, al fine di negare l'imponibilità della cessione intracomunitaria, non è rilevante la mancata iscrizione al Vies, salvo che sussistano elementi presuntivi che inducano a ritenere che le operazioni siano state realizzate al fine di perseguire un intento fraudolento e purchè sia dimostrato che sussistano le condizioni sostanziali che devono essere a fondamento del riconoscimento della non imponibilità dell'iva. La stessa Corte di giustizia evidenzia sulla base di quali specifici elementi deve essere valutata la sussistenza della soggettività passiva, in particolare ha evidenziato che la definizione di soggetto passivo, enunciata all'articolo 9, paragrafo 1, della direttiva IVA, riguarda esclusivamente la persona che compie, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un'attività economica, quali che siano gli scopi e i risultati di tale attività, senza subordinare detta qualità al fatto che il soggetto possieda un numero di identificazione IVA (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2012, VSTR, C-587/10, EU:C:2012:592, punto 49 e giurisprudenza ivi citata), eventualmente specifico alla realizzazione di operazioni intracomunitarie, oppure che tale persona sia iscritta al sistema VIES. Dalla giurisprudenza della Corte risulta, inoltre, che il soggetto passivo agisce in tale qualità quando effettua operazioni nell'ambito della propria attività imponibile (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2012, VSTR, C-587/10, EU:C:2012:592, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).In particolare, per quanto riguarda i requisiti sostanziali che devono essere soddisfatti affinchè un'operazione possa essere qualificata come cessione intracomunitaria ai sensi dell'art. 28 quater, punto A, lett. a), comma 1, della sesta direttiva (aggiunto dalla Direttiva 16.12.91, n. 91/680), va osservato che dalla giurisprudenza comunitaria risulta che rientrano in tale nozione, e sono pertanto esentate dall'IVA, le cessioni di beni spediti o trasportati, dal venditore o dall'acquirente, o per loro conto, fuori dal territorio di uno Stato membro, ma all'interno dell'Unione, effettuate per un altro soggetto passivo di imposta che agisce in quanto tale in altro Stato membro, e che si traducono nel trasferimento del potere di disporre di un bene come proprietario (cfr. C. Giust. CE, 7.12.10, C-285/09, C. Giust. CE, 27.9.12, cit.). La giurisprudenza comunitaria ha precisato, inoltre, che spetta al fornitore di beni provare che sono soddisfatte le condizioni di applicazione dell'art. 28 quater, punto A, lett. a), comma 1, della sesta direttiva, comprese quelle imposte dagli Stati membri per una corretta e semplice applicazione delle esenzioni e per prevenire ogni possibile frode, evasione fiscale o condotta concretante abuso del diritto (v. C. Giust. CE, 7.12.10, cit.). Questa Corte, anche di recente, ha precisato che, in caso di cessioni intracomunitarie, il cedente ha l'onere di dimostrare l'effettività del trasporto della merce nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario;
in mancanza, deve emergere la sua buona fede, cioè che egli non sapesse o non avrebbe dovuto sapere che l'operazione effettuata rientrava in un'evasione posta in essere dall'acquirente e, ciò nonostante, non avesse adottato tutte le misure ragionevoli per evitare di parteciparvi, così come stabilito da
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