Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/11/2008, n. 28053

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Massime1

In tema di concessione ad uso esclusivo di beni demaniali la giurisdizione appartiene al giudice ordinario se la controversia trovi la propria origine in un rapporto tra concessionario (nella specie il Comune) ed il terzo, sempre che l'Amministrazione concedente resti totalmente estranea a tale rapporto derivato e non possa ravvisarsi alcun collegamento con l'atto autoritativo concessorio da qualificarsi come mero presupposto. Al contrario, quando la pretesa azionata sia riferibile direttamente all'atto di concessione e l'Amministrazione concedente abbia espressamente previsto ed autorizzato il rapporto tra concessionario e terzo la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo. (Nella fattispecie, il Comune, in qualità di concessionario del demanio marittimo aveva stipulato una convenzione con terzi per l'utilizzazione degli spazi portuali ed agiva per il pagamento "pro quota" degli oneri di gestione derivanti dalla manutenzione di tali aree).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 25/11/2008, n. 28053
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 28053
Data del deposito : 25 novembre 2008
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. S S - Presidente di Sezione -
Dott. E A - Presidente di Sezione -
Dott. M M R - Presidente di Sezione -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. M D C L - rel. Consigliere -
Dott. S S - Consigliere -
Dott. R R - Consigliere -
Dott. C F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 29932/2006 proposto da:
CONSORZIO ARTIGIANI RAPALLESI CARENISTI E ORMEGGIATORI (CARCO), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEGLI SCIPIONI

268/A, presso lo studio dell'avvocato P A, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato Z D, giusta delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
COMUNE DI RAPALLO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA DEL PARADISO

55, presso lo studio dell'avvocato R F L, rappresentato e difeso dall'avvocato B C, giusta delega a margine del controricorso;



- controricorrente -


e contro
PORTO TURISTICO INTERNAZIONALE S.P.A., CONSORZIO NAUTICA DA DIPORTO;



- intimati -


sul ricorso 30464/2006 proposto da:
CONSORZIO NAUTICA DA DIPORTO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEGLI SCIPIONI

268/A, presso lo studio dell'avvocato P A, rappresentato e difeso dall'avvocato QUEIROLO SILVANO, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
COMUNE DI RAPALLO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA DEL PARADISO

55, presso lo studio dell'avvocato R F L, rappresentato e difeso dall'avvocato B C, giusta delega a margine del controricorso al ricorso incidentale;

- controricorrente al ricorso incidentale -
e contro
PORTO TURISTICO INTERNAZIONALE DI RAPALLO S.P.A., CONSORZIO ARTIGIANI RAPALLESI CARENISTI E ORMEGGIATORI - CARCO;



- intimati -


avverso la sentenza n. 838/2005 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, depositata il 19/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2008 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

uditi gli Avvocati Alessio PETRETTI, Carlo BERTINI;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott.

IANNELLI

Domenico, che ha concluso per il rigetto del primo motivo di entrambi i ricorsi (ago), rinvio per il resto ad una sezione semplice. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Comune di Rapallo otteneva decreto ingiuntivo nei confronti del Consorzio Nautica da Diporto di Rapallo, del Porto Turistico Internazionale di Rapallo s.p.a. e del Consorzio Artigiani Rapallesi Carenasti ed Ormeggiatori (CARCO) avente ad oggetto le spese spettanti pro quota a ciascun ingiunto riguardanti il dranaggio del porto di Rapallo a seguito dell'evento alluvionale verificatosi il 6/10/1987 e ciò ai sensi dell'art. 5, lett. a), della convenzione stipulata dalle parti il 6/4/1987 in forma pubblica. Gli ingiunti proponevano opposizione al decreto monitorio eccependo il difetto di giurisdizione, il difetto di competenza (per clausola arbitrale) e l'infondatezza nel merito della pretesa del Comune. Il tribunale di Chiavari rigettava l'opposizione con sentenza 21/1/2003 avverso la quale gli ingiunti proponevano appello. Con sentenza 19/9/2005 la corte di appello di Genova revocava il decreto ingiuntivo opposto limitatamente ad una frazione riguardante un credito vantato dal CARCO nei confronti del Comune. Osservava la corte di merito: che, come risultava dalla documentazione in atti, i rapporti di concessione di beni demaniali portuali riguardavano direttamente l'autorità marittima ed i singoli appartenenti al Consorzio del porto di Rapallo tra i quali vi era il Comune che aveva rinunciato ad alcune delle concessioni ottenute;
che il riparto delle spese di gestione del complesso portuale era nelle convenzioni in atto il frutto di una trattativa privata diretta a ripartire tra consorziati oneri vari tra i quali quello della rinuncia del Comune ad alcune concessioni demaniali e quello del 50% delle spese relative alla manutenzione straordinaria delle opere del porto, del dranaggio del porto stesso e della vasca alla foce del fiume Boate;
che, quindi, non si verteva in tema di concessione o di subconcessione di beni o servizi pubblici, ma di ripartizione consensuale di oneri di gestione tra soggetti compartecipi di tale gestione nella qualità di autonomi concessionari di beni portuali;
che di conseguenza andava affermata la giurisdizione del giudice ordinario riguardando la controversia in esame la determinazione dell'importo dovuto - per il dranaggio della vasca alla foce del fiume Boate - dai sottoscrittori della citata convenzione del 1987;
che secondo gli appellanti il giudice ordinario era incompetente essendo competente il collegio arbitrale previsto sia nella convenzione 25/5/1985 n. 11389 stipulata con la società Porto Turistico Internazionale di Rapallo, sia nella convenzione 25/5/1985 n. 11390;
che il richiamo ad entrambe le convenzioni del 1985 contenuto nella premessa della convenzione del 1987 non significava l'inserimento delle dette convenzioni con le relative clausole arbitrali nella nuova pattuizione;
che le parti, anche diverse dalla Porto Turistico, avevano stipulato una convenzione apposita per regolare rapporti distinti e separati da quelli in precedenza definiti;
che pertanto l'esame delle intenzione dei contraenti e l'interpretazione complessiva della clausole della convenzione del 1987 consentivano di affermare la competenza del giudice ordinario e non del collegio arbitrale;
che l'intenzione dei contraenti - quale emergeva anche dalla interpretazione letterale della clausola 5, lett. a) - era quella di ripartire in parti eguali tra il Comune e gli altri concessionari gli oneri derivanti dalla necessità, di comune interesse, di mantenere sgombro il fondale del porto di Rapallo;
che l'eventuale sussistenza dell'obbligazione solidale a carico di altri soci del Consorzio non comportava la necessità per il Comune di chiamare in causa altri obbligati solidali;
che il Comune era contrattualmente tenuto ad anticipare gli esborsi necessari per il dranaggio e gli appellanti erano tenuti a rimborsarli nella misura del 50%;
che ciò escludeva un diritto degli operatori economici ad un consenso preventivo con il Comune non contrattualmente previsto;
che la necessità dell'intervento di dranaggio non poteva essere contestata e la congruità degli esborsi era stata contestata in modo generico.
La cassazione della sentenza della corte di appello di Genova è stata chiesta dal Consorzio Nautica da Diporto e dal CARCO con ricorsi affidati rispettivamente a cinque ed a quattro motivi. Il Comune di Rapallo ha resistito ai due ricorsi con separati controricorsi. Il Porto Turistico Internazionale di Rapallo non ha svolto attività difensiva in sede di legittimità. Le parti costituite hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il Consorzio Nautica da Diporto denuncia violazione dell'art. 37 c.p.c., e L. n. 1034 del 1971, art.5, deducendo che la corte di appello è incorsa in errore avendo
deciso su materia devoluta al giudice amministrativo. Infatti i beni demaniali non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non attraverso lo strumento della concessione amministrativa. La convenzione stipulata dalle parti si fonda sulla Delib. G.M. n. 723 del 1985, avente ad oggetto la concessione amministrativa di una parte dell'area portuale demaniale ed è il frutto di una determinazione autoritativa e discrezionale dell'ente territoriale. Inoltre solo qualificando il rapporto dedotto in giudizio come concessione amministrativa si può giustificare che nella delibera citata il Comune abbia rinunciato alla gestione di pontili galleggianti in cambio di esecuzione di opere pubbliche. Con il primo motivo di ricorso il CARCO denuncia violazione della L. n. 1034 del 1971, art. 5, e L. n. 241 del 1990, art. 11, sostenendo
che l'accordo posto a base della richiesta del Comune - il quale ha agito nell'ambito di un Piano Particolareggiato come soggetto pubblico tenuto ad eseguire determinati lavori - ha natura di contratto di diritto pubblico attesi i richiami contenuti nella convenzione del 1987 e le finalità perseguite. Ne consegue la giurisdizione del giudice amministrativo L. n. 241 del 1990, ex citato art. 11.
Le dette censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate in quanto, come ineccepibilmente evidenziato nella sentenza impugnata, il Comune ha posto a base del diritto di credito vantato nei confronti dei ricorrenti la convenzione stipulata tra le parti nel 1987 - a seguito ed in virtù di una trattativa privata intervenuta su base paritaria e consensuale - avente ad oggetto la ripartizione degli oneri di gestione tra soggetti titolari di autonome concessioni di beni portuali e utilizzatori delle strutture e dei servizi del porto di Rapallo. Nella specie non si verte in tema di concessione di beni portuali, ricompresi all'epoca nel demanio dello Stato, non essendo intervenuto nella detta convenzione l'ente concedente e non potendo il Comune rilasciare alcuna concessione di beni demaniali.
Va al riguardo rilevato che, come questa Corte ha più volte affermato, in tema di concessione in uso esclusivo a privati di beni demaniali la giurisdizione appartiene al g.o. se la pretesa trovi la propria origine in un rapporto tra il concessionario (nella specie il Comune) e il terzo (nel caso in esame i ricorrenti) sempre che l'Amministrazione concedente resti totalmente estranea a detto rapporto derivato e non possa ravvisarsi alcun collegamento tra l'atto autoritativo concessorio e il rapporto medesimo, essendo il primo un semplice presupposto del secondo (sentenze 21/10/2005 n. 20339;
25/6/2002 n. 9233
). Perché sussista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è quindi necessario che la pretesa del concessionario nei confronti del terzo, derivante dal rapporto tra costoro costituito, sia basata sul contenuto dell'atto di concessione e sia, quindi, riferibile direttamente all'Amministrazione pubblica concedente, il che si verifica quando questa abbia con tale atto espressamente previsto e autorizzato il rapporto tra il concessionario e un determinato terzo. La giurisdizione appartiene invece al giudice ordinario se la pretesa trovi la sua origine in un rapporto tra il concessionario e il terzo, rispetto al quale quello di concessione si presenti come un suo semplice presupposto, essendo ad esso l'Amministrazione rimasta estranea. In tale ipotesi, infatti, non sussistendo alcun collegamento tra il rapporto derivato e quello di concessione, la controversia della quale siano parti soltanto il concessionario e il terzo è di natura privata.
Nel caso in esame il Comune concessionario ha agito in giudizio facendo valere una pretesa fondata sull'inadempimento di un obbligo derivante esclusivamente dal rapporto secondario, di natura privata, perché costituito tra il concessionario ed i ricorrenti senza la partecipazione dell'Amministrazione pubblica (rimasta estranea al processo), che con l'atto di concessione non risulta aver autorizzato la subconcessione a favore di terzi determinati.
Pertanto, poiché la pretesa del concessionario è fondata su un rapporto oggettivamente e soggettivamente privatistico, diverso da quello di concessione, deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice ordinario avendo la controversia in esame ad oggetto un rapporto tra un soggetto titolare di una concessione e terzi con i quali il primo ha stipulato una convenzione senza la partecipazione diretta della p.a. concedente.
Nè la convenzione in questione può farsi rientrare nella previsione di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 11, posto che nella convenzione in questione deve ravvisarsi un contratto di diritto privato - in relazione al quale non è configurabile esercizio di pubbliche funzioni non richiamate direttamente o indirettamente, ne' una ipotesi di delega di pubbliche funzioni - stipulato tra un ente pubblico e i soggetti privati operatori portuali dal quale sono sorti diritti soggettivi e obblighi a carico delle parti.
Con il secondo motivo di ricorso il Consorzio Nautica da Diporto denuncia violazione dell'art. 38 c.p.c., riproponendo l'eccezione di incompetenza del giudice ordinario per essere competente il collegio arbitrale come previsto nelle convenzioni del 1985 richiamate in quella collegata ed integrativa del 1987. Il ricorrente deduce inoltre che la corte di appello non ha considerato che anche nell'atto costitutivo del consorzio per la gestione del Porto era stata prevista una clausola compromissoria.
Anche il CARCO con il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell'art. 806 c.p.c., eccependo il difetto di competenza e svolgendo argomenti analoghi a quelli esposti dall'altro ricorrente ed aggiungendo che anche nello statuto del consorzio per la gestione del Porto Pubblico - del quale fanno parte il Comune ed esso ricorrente - è contenuta la clausola compromissoria con riferimento a controversie tra i consociati.
I detti motivi - collegati e in parte ripetitivi - non meritano accoglimento.
Occorre premettere che, come è principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità, il collegamento negoziale si realizza attraverso la creazione di un vincolo tra i contratti che, nel rispetto della causa e dell'individualità di ciascuno, l'indirizza al perseguimento di una funzione unitaria che trascende quella dei singoli contratti e investe la fattispecie negoziale nel suo complesso. La fonte, nel collegamento volontario, è costituita dall'autonomia contrattuale delle parti e l'esistenza del collegamento va verificata non solo sulla base dei dati di natura soggettiva, bensì anche mediante ricorso a indici di tipo oggettivo. Al riguardo, comunque, deve precisarsi che l'accertamento del nesso di collegamento, delle sue modalità e conseguenze attraverso l'effettiva volontà delle parti e della reale funzione economico- sociale che esse hanno inteso dare ai contratti nell'economia dell'affare, rientra nei compiti del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logici giuridici (sentenze 14/6/2007 n. 13894;
5/6/2007 n. 13164;
11/6/2001 n. 7852
). Va aggiunto che in tema di interpretazione di una clausola arbitrale, l'accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che detto accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all'arto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche (sentenze 19/3/2004 n. 5549;
24/2/2004 n. 3614
). Nella specie la corte di merito, sollecitata da uno specifico motivo di gravame degli attuali ricorrenti, ha svolto un'accurata indagine al fine di stabilire la fondatezza o meno della tesi degli appellanti relativa al collegamento tra la convenzione stipulata dalle parti nel 1987 e le precedenti convenzioni del 1985 stipulate con il Porto Turistico Internazionale (contenenti la clausola arbitrale) richiamate nelle premesse della prima convenzione posta a base della pretesa del Comune.
In proposito la corte di appello, come sopra riportato nella parte espositiva che precede - all'esito della detta puntuale indagine effettuata valutando tutte le risultanze di causa e procedendo all'attento esame delle intenzioni dei contraenti e dell'interpretazione complessiva delle clausole della convenzione del 1987 - ha coerentemente espresso il proprio convincimento ed ha escluso che il semplice richiamo nelle sole premesse della convenzione del 1987 alle convenzioni del 1985 potesse significare l'inserimento delle clausole arbitrali nella successiva convenzione. Il giudice di secondo grado ha quindi concluso affermando la competenza del giudice ordinario e non del collegio arbitrale. La corte genovese è pervenuta alle dette conclusioni attraverso argomentazioni complete ed appaganti, improntate a retti criteri logici e giuridici, nonché frutto di un'indagine accurata del contenuto della premessa della convenzione aggiuntiva del 1987 e delle precedenti convenzioni del 1985. Il giudice di appello ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento. Alle dette valutazioni i ricorrenti contrappongono le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
Va infine rilevata l'inammissibilità della parte del motivo di ricorso del CARCO in esame concernente il richiamo alla clausola arbitrale prevista dall'art. 18, dello Statuto del Consorzio, norma che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta (nè è stato dedotto in ricorso) sia stata inserita e posta a base della tesi della ricorrente circa l'asserita competenza del collegio arbitrale. Con il terzo motivo il Consorzio Nautica da Diporto denuncia vizi di motivazione sostenendo che il giudice di secondo grado ha errato nel ritenere che la convenzione aggiuntiva non fosse riferibile solo alle spese derivanti dal dranaggio ordinario e nel ritenerla applicabile anche alle spese di manutenzione straordinarie e ad interventi derivanti da eventi alluvionali eccezionali non previsti e non prevedibili da un punto di vista contrattuale.
Con il quarto motivo il Consorzio Nautica da Diporto denuncia vizi di motivazione sostenendo che - al contrario di quanto affermato dalla corte di appello in base ad argomenti illogici - il Comune di Rapallo aveva l'obbligo di chiedere preventivamente il consenso delle altre parti della convenzione in ordine alla necessità degli interventi ed alla congruità della spesa.
La Corte rileva l'infondatezza delle dette censure che possono essere e-saminate congiuntamente risolvendosi tutte - sia pur sotto profili ed aspetti diversi - essenzialmente, pur se titolate come vizi di motivazione, nella pretesa di contrastare il risultato dell'attività svolta dal giudice del merito relativa all'interpretazione del contenuto della convenzione stipulata dalle parti nel 1987 e, in particolare, della clausola n. 5, lett. a) di detta convenzione. Sul punto è sufficiente il richiamo al principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l'interpretazione degli atti di autonomia privata si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice del merito: tale accertamento è incensurabile in cassazione se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici o da errori di diritto e sia il risultato di
un'interpretazione condotta nel rispetto delle norme di ermeneutica contrattuale di cui all'art. 1362 c.c. e segg.. L'identificazione della volontà contrattuale - che, avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed obiettiva, concreta un accertamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito - è censurabile non già quando le ragioni poste a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì quando siano insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica.
Questa Corte ha anche più volte rilevato che non è sindacabile in sede di legittimità la scelta da parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico più idoneo all'accertamento della comune intenzione delle parti, qualora sia stato rispettato il principio del gradualismo, secondo il quale deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiari solo quando i crateri principali (significato letterale e collegamento tra le varie clausole contrattuali) siano insufficienti all'individuazione della comune intenzione stessa.
Nella specie la corte di appello ha proceduto all'interpretazione della convenzione in questione e della menzionata clausola - il cui testo, nelle parti essenziali, è stato riprodotto nella decisione impugnata - ed alla valutazione del significato letterale e logico delle espressioni utilizzate dalle parti e delle indicazioni contenute nella clausola con particolare riferimento all'espressione "manutenzione straordinaria". La corte di merito è quindi coerentemente giunta alla conclusione che nella convenzione non era stato previsto l'obbligo di un preventivo accordo tra operatori portuali e Comune per l'esecuzione da parte di quest'ultimo delle opere di dranaggio ritenute necessarie a seguito di eventi alluvionali idonei a determinare gravi situazioni di insicurezza del porto e ciò soddisfare il comune interesse di mantenere sgombro il fondale del porto.
Il procedimento logico-giuridico sviluppato nell' impugnata decisione è ineccepibile, in quanto coerente e razionale, ed il giudizio di fatto in cui si è concretato il risultato dell'interpretazione del contenuto del detto contratto è fondato su un'indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e sorretto da motivazione, adeguata ed immune dai vizi denunciati.
A fronte delle coerenti argomentazioni poste a base della conclusione cui è pervenuto il giudice di appello è evidente che le censure in proposito mosse dalla ricorrente devono ritenersi rivolte non alla base del convincimento del giudice, ma al convincimento stesso e, cioè, all'interpretazione della convenzione e delle clausole contrattuali in modo difforme da quello auspicato. Con le censure in esame è stato in sostanza investito il "risultato" interpretativo raggiunto, il che è inammissibile in questa sede.
Sono quindi insussistenti gli asseriti vizi di motivazione che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella effettuata dal giudice del merito.
Con il quinto motivo il Consorzio Nautica da Diporto denuncia vizi di motivazione lamentando l'errore commesso dalla corte territoriale nel riconoscere la solidarietà passiva in ordine alle spese in questione solo a carico degli originali sottoscrittori della convenzioni e non anche dei successivi operatori che alle stesse hanno poi aderito. Il motivo non è meritevole di accoglimento atteso che la corte di appello ha adeguatamente posto in evidenza che la volontà delle parti, volta a dar vita con la clausola n. 5, lett. a) della convenzione del 1987 ad una responsabilità solidale, discendeva sia da quanto previsto dall'art. 1294 c.c., (per non aver le parti disposto diversamente) sia dal comportamento tenuto dalle stesse parti prima della stipula della convenzione in esame. Del tutto irrilevante è poi la sussistenza o meno dell'obbligo di partecipare alle spese in questione a carico degli operatori aderenti alla convenzione dopo la sua sottoscrizione. Quel che conta è che il Comune si è correttamente rivolto nei confronti dei sottoscrittori della convenzione del 1987 i quali potranno eventualmente chiedere ad altri operatori di adempiere l'obbligo successivamente assunto di partecipare alle spese in questione.
Con il terzo motivo il CARCO denuncia violazione degli artt. 1372, 2606 e 1100 c.c., sostenendo la necessità di una delibera del consorzio per la determinazione dei lavori di dranaggio (rientranti nell'oggetto del consorzio) unilateralmente decisi dal Comune senza interpellare gli operatori economici facenti parte del consorzio per la gestione del porto. Secondo il ricorrente il consorzio avrebbe dovuto deliberare l'esecuzione dei lavori e la ripartizione delle spese con delibera consortile. Ai fini della corretta deliberazione e ripartizione delle spese si sarebbe dovuta applicare la normativa riguardante la comunione ordinaria. La quota spettante al Comune avrebbe dovuto essere divisa al 50% tra tutti gli operatori economici che avevano sottoscritto la convenzione.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Va innanzitutto osservato che, come sopra evidenziato, nella convenzione del 1987 non risulta che sia stato fatto alcun cenno alla necessità di intervento degli operatori portuali in ordine alla decisione di eseguire i lavori di dranaggio in questione. Va poi segnalato che, come già esposto esaminando il primo motivo dei due ricorsi, con la convenzione del 1987 le parti intesero disciplinare i rapporti economici tra il Comune e gli operatori portuali ponendo a carico di questi ultimi l'obbligo di concorrere nella misura del 50% alla spese che il Comune si era obbligato a sostenere per le opere di dranaggio e di manutenzione straordinaria della vasca alla foce del fiume Baote sulla cui necessità non era previsto alcun intervento del Consorzio portuale.
È invece inammissibile la tesi difensiva del ricorrente circa l'applicabilità nella specie delle norme dettate in tema di comunione: trattasi infatti di una tesi con la quale vengono prospettate questioni in fatto e in diritto mai sottoposte ai giudici del merito e sulle quali non vi è stato dibattito tra le parti in sede di merito.
Con il quarto motivo il CARCO denuncia violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., sostenendo che l'art. 5, della convenzione del 1987 va interpretato nel senso che le parti intesero escludere l'imputazione agli operatori privati del porto delle opere di dranaggio conseguenti ad eventi calamitosi ed eccezionali.
Il motivo è palesemente infondato ed al riguardo vanno richiamati i principi sopra riportati in tema di interpretazione dei contratti e della clausole contrattuali aggiungendo che, come è noto, il ricorrente in cassazione ha l'obbligo di precisare in qual modo l'asserita violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale si sia in concreto realizzata.
Nella specie il detto obbligo non è stato rispettato dal CARCO che nel motivo di ricorso in esame si è limitato a contrapporre alla propria interpretazione della lettera della clausola di cui all'art. 5 della convenzione del 1987 a quella fornita dalla corte di appello senza precisare l'errore logico e giuridico commesso dalla corte di merito nel procedere all'interpretazione letterale della detta clausola. Il ricorrente ha inoltre sostenuto che dalla documentata attività sarebbe desumibile la comune intenzione delle parti di escludere "che le opere di dranaggio conseguenti ad eventi calamitosi possano imputarsi agli operatori privati del porto". La tesi è inammissibile non avendo la ricorrente precisato la documentazione acquisita erroneamente (o non) esaminata dalla corte di appello. I ricorsi vanno pertanto rigettati con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento in favore del Comune di Rapallo delle spese del giudizio di cassazione liquidate a carico di ciascun ricorrente nella misura indicata in dispositivo. Nessun provvedimento in ordine alle spese va pronunciato con riferimento alla posizione dell'intimato Porto Turistico Internazionale di Rapallo che non ha svolto attività difensiva in questa sede di legittimità.

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