Cass. pen., sez. II, sentenza 05/11/2020, n. 30893

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 05/11/2020, n. 30893
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 30893
Data del deposito : 5 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

to la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: S A nato il 13/11/1951 a ROMA S G nato il 04/10/1977 a ROMA avverso la sentenza del 14/12/2015 della CORTE DI APPELLO DI ROMAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Piero MESSINI D'AGOSTINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale G L, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione;
udito il difensore della parte civile avv. C B, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore avv. L P, che ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 14/12/2015 la Corte di appello di Roma - per quanto in questa sede rileva - confermava la decisione di primo grado con la quale A S e G S erano stati condannati per il delitto di tentata estorsione aggravata, commesso in concorso tra loro in danno di Franco Dell'Aquila.

2. Hanno proposto ricorso A S e G S, a mezzo del comune difensore di fiducia, chiedendo l'annullamento della sentenza in ragione dei seguenti motivi. Quanto a quelli comuni.

2.1. Violazione di legge ed erronea applicazione dell'art. 521 cod. proc. pen. Nel capo d'imputazione e nella sentenza di primo grado non vi era alcun riferimento alla circostanza aggravante del "numero delle persone", prevista dall'art. 628, terzo comma, cod. pen., richiamato dall'art. 629, secondo comma, cod. pen., per la prima volta comparso nella motivazione della sentenza di appello, con un radicale mutamento delle circostanze di fatto e conseguente lesione dei diritti di difesa.

2.2. Violazione della legge penale ed erronea applicazione delle norme riguardanti la prescrizione. Dovendosi fare riferimento alla ipotesi di estorsione semplice, il reato contestato era ampiamente estinto per prescrizione al momento della pronuncia della sentenza di appello. In relazione alla posizione del solo G S.

2.3. Vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità, desunta soltanto dalle dichiarazioni della persona offesa, che tuttavia non ha riconosciuto in G S la persona, vista in una sola occasione in compagnia di A S, che ben avrebbe potuto riferire allo stesso Franco Dell'Aquila di essere accompagnato dal figlio Gianluca solo per millanteria, al fine di recuperare il proprio credito usurario.

2.4. Violazione della legge penale, in quanto la Corte di appello non ha chiarito il grado di partecipazione psicologica di G S, coinvolto in un unico episodio, considerato che egli non aveva alcun interesse nella vicenda e ben poteva ignorare i rapporti del padre con Dell'Aquila.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati limitatamente ai due motivi comuni ai ricorrenti, che possono essere congiuntamente esaminati.

2. Come sostenuto dalla difesa, la sentenza di primo grado risulta priva di ogni riferimento ad una circostanza aggravante del reato di tentata estorsione, che nel capo d'imputazione non era espressamente contestata, mancando sia il richiamo alla norma sia il dato testuale ("con l'aggravante di..."). Avuto riguardo ad alcune deduzioni difensive, va premesso che la Corte di appello ha la facoltà di dare al fatto una definizione giuridica più grave, ai sensi dell'art. 597, comma 3, cod. proc. pen., pur non potendo irrogare una pena più alta, in presenza dell'appello del solo imputato. Anche da ultimo questa Corte ha ribadito che il giudice di appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, pur senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell'istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell'accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio (Sez. 5, n. 5083 del 14/01/2020, Prundu, Rv. 278143;
Sez. 5, n. 11235 del 27/02/2019, G., Rv. 276125). Nel contempo, va ribadito il principio secondo il quale non viola il divieto di reformatio in peius la decisione del giudice d'appello che proceda ad una diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto, ostativa alla declaratoria d'estinzione per prescrizione, in quanto tale divieto impedisce solo un deteriore trattamento sanzionatorio per il reo, ma non garantisce a quest'ultimo un trattamento sotto ogni profilo più favorevole di quello riservatogli dal primo giudice (Sez. 2, n. 467122 del 30/10/2019, Coletta, Rv. 277599;
Sez. 1, n. 49671 del 24/09/2019, Maksutoski, Rv. 277859;
Sez. 6, n. 32710 del 16/07/2014, Schepis, Rv. 260663;
Sez. 1, n. 6116 del 11/12/2013, dep. 2014, Battaglia, Rv. 259466;
Sez. 1, n. 474 del 17/12/2012, dep. 2013, Presti, Rv. 254207). Nel caso di specie, però, la questione si pone in termini diversi, in quanto il giudice di appello ha ritenuto che fosse contestata in fatto una circostanza aggravante e, in particolare, quella della minaccia commessa da più persone riunite, prevista nell'art. 628, terzo comma n. 1, cod. pen., richiamato dall'art.629, secondo comma, cod. pen. (sinteticamente la sentenza impugnata ha fatto riferimento al "numero delle persone"). Non si tratta, dunque, di una riqualificazione giuridica, ferma restando la descrizione della condotta, bensì di una interpretazione del capo d'accusa, nel quale si ritiene essere stata contestata in fatto la suddetta circostanza aggravante (per la tesi secondo la quale la definizione giuridica non comprende le circostanze aggravanti... v., di recente, Sez. 5, n. 31996 del 27/03/2019, Messina Denaro, Rv. 277249). Risulta pertinente, allora, la recente sentenza delle Sezioni unite di questa Corte (n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436), con la quale la questione è stata risolta in termini condivisi dal Collegio. Secondo detta pronuncia, per contestazione in fatto si intende, in conformità ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità con particolare riguardo alle circostanze aggravanti, una formulazione dell'imputazione che non sia espressa nell'enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell'indicazione della specifica norma di legge che la prevede, ma riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie, consentendo all'imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi. La precisazione degli elementi fattuali costitutivi dell'aggravante può dirsi dunque indiscutibilmente riconosciuta quale condizione perché la contestazione in questa forma possa essere ritenuta valida, pure in una prospettiva sostanzialistica fondata, come le Sezioni unite avevano avuto modo di affermare con riguardo alla correlazione fra l'accusa e la decisione, sulla concreta possibilità per l'imputato di difendersi sull'oggetto dell'addebito (v. Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, C, Rv. 248051;
con specifico riferimento alle circostanze aggravanti, v. Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, Fo, Rv. 216430)». Da questa condizione - ha osservato la sentenza Sorge - discende che l'ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto determina il livello di precisione e determinatezza che rende l'indicazione di tali elementi, nell'imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell'accusa da parte dell'imputato. Nella prospettiva così delineata - argomenta la stessa pronuncia - «è evidente come la contestazione in fatto non dia luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche t- oggettive. In questi casi, invero, l'indicazione di tali fatti materiali è idonea a riportare nell'imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l'adeguato esercizio dei diritti di difesa dell'imputato. Diversamente avviene con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative;
risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l'ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative. Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell'imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell'imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale. Né può esigersi dall'imputato, pur se assistito da una difesa tecnica, l'individuazione dell'esito qualificativo che connota l'ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell'autorità giudiziaria sulla base dei dati di fatto contestati, trattandosi per l'appunto di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse. La necessità dell'enunciazione in forma chiara e precisa del contenuto dell'imputazione, prevista dalla legge processuale, impone che la scelta operata dalla pubblica accusa fra tali possibili conclusioni sia portata a conoscenza della difesa;
non potendosi pertanto ravvisare una valida contestazione della circostanza aggravante nella mera prospettazione in fatto degli elementi materiali della relativa fattispecie». In conformità a detti principi, si è successivamente escluso che possa ritenersi validamente contestata in fatto la circostanza aggravante di cui all'art. 576, comma 5-bis, cod. pen. in un capo di imputazione per lesioni che menzioni la qualità di ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza della vittima, senza contenere riferimenti chiari e precisi alla commissione del fatto "nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio" (Sez. 5, n. 33523 del 20/06/2019, Atia, Rv. 276590);
la circostanza aggravante di cui all'art. 617-quinquies, comma secondo, cod. pen., qualora essa venga delineata solo attraverso il rinvio al comma quarto dell'art. 617-quater cod. pen. (Sez. 5, n. 49142 del 30/09/2019, Z, Rv. 278052);
la fattispecie aggravata di cui all'art. 612, comma secondo, cod. pen., qualora nell'imputazione non sia esposta la natura grave della minaccia, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma (Sez. 5, n. 13799 del 12/02/2020, T, Rv. 279158).
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