Cass. pen., sez. I, sentenza 25/07/2022, n. 29613
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Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: M G nato a CATANIA il 10/08/1991 avverso la sentenza del 23/03/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANIAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere G D G;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore M G che ha concluso chiedendo I4-126-€64341-6i4e-Gh4€4e11d-o il rigetto del ricorso. udito il difensore Sono presenti gli avvocati G A del foro di CATANIA e B M L del foro di CATANIA in difesa di M G. L'avvocato G conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso. L'avvocato B conclude riportandosi ai motivi del ricorso chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di assise di Catania, con sentenza in data 24 luglio 2018, dichiarava G M colpevole del delitto di partecipazione all'associazione di tipo mafioso denominata Cosa Nostra, clan Santapaola- Ercolano, di cui al capo di imputazione E, aggravata dal finanziamento delle attività economiche con il profitto dei delitti commessi e dalla disponibilità di armi, condannandolo alla pena di anni tredici di reclusione e alle relative pene accessorie;assolveva il suddetto per non aver commesso il fatto dai reati di concorso in omicidio premeditato di R S, sub A, di ricettazione, sub B, di detenzione e porto illegali dell'arma clandestina cal. 38 special adoperata per la commissione di detto omicidio, sub C e D. La Corte di assise di appello di Catania, in riforma della suddetta sentenza, appellata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania e dall'imputato, ha dichiarato quest'ultimo colpevole dei delitti allo stesso ascritti ai capi A, B e D, in quest'ultimo assorbito il reato sub C, nonché del delitto di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso, di cui al capo E, esclusa l'aggravante di cui al comma 6 dell'art. 416-bis cod. pen., e, ritenuta la continuazione tra i reati di cui ai capi A, B e D, ha rideterminato la pena complessiva in quella dell'ergastolo con isolamento diurno per la durata di mesi sei, condannando l'imputato, altresì, alle relative pene accessorie. 1.1. Il 24 novembre 2011, alle ore 20.45, nell'androne del palazzo di viale Moncada di Catania, gli operatori del servizio 118 erano intervenuti in soccorso di R S, trovato riverso a terra poiché attinto ad organi vitali da sette colpi, dei dieci esplosi da media distanza, provenienti da due pistole, rispettivamente di cal. 38 e 357 Magnum, di cui l'ultimo (il colpo di grazia) alla testa. In data 29 novembre 2011, in un garage di via Anselmi di Catania nella disponibilità di A M, era stata rinvenuta una pistola cal. 38 special con matricola abrasa, che, esaminata dai carabinieri del RIS di M era risultata essere l'arma utilizzata per eseguire l'omicidio di R S e poi manomessa. La vittima apparteneva alla famiglia mafiosa M, intesa "i carcagnusi". Le indagini consentivano di individuare tra i sospettati dell'omicidio G M (unitamente al fratello Alessio e al padre), in contrasto con S per questioni familiari, in quanto la vittima sarebbe venuta a conoscenza della relazione dell'imputato con la figlia C S, osteggiandola apertamente, e per questioni legate alla gestione di piazze di spaccio nel quartiere di L. Le indagini subivano una svolta con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia appartenenti ad associazioni mafiose nel cui ambito risultavano avere operato i soggetti coinvolti nella vicenda, e in particolare con le dichiarazioni di F N, D S, G S e S C. La Corte di assise di Ctania riteneva che le dichiarazióni dei collaboratori di giustizia, pur attendibili in via generale, difettassero tuttavia del requisito indispensabile dell'autonomia, avendo tutte come unica fonte F N, le cui dichiarazioni nei punti salienti del suo narrato, al pari di quelle di S e C, non risultavano riscontrate da quelle degli altri collaboranti, se non per il verosimile movente del delitto e per i contrasti tra le famiglie S e M;e che tale convergenza sul movente non consentisse di poter pervenire, al di là di ogni ragionevole dubbio, ad un giudizio di responsabilità dell'imputato in ordine all'omicidio di R S ( e ai connessi delitti ). La Corte di assise di appello di Catania, dopo avere provveduto a risentire, in ossequio al disposto di cui all'art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen., i principali collaboratori di giustizia escussi in primo grado, ossia F N, D S e S C, avere, altresì, disposto l'audizione dei collaboratori S M, D C e Antonio D'Arrigo, ai sensi dell'art. 603, comma 2, cod. proc. pen., quali prove nuove, sopravvenute dopo la sentenza di primo grado, e avere effettuato, ai sensi dell'art. 211 cod. proc. pen., il confronto tra i dichiaranti N e C, ha ritenuto, diversamente dal Collegio di primo grado, di affermare la penale responsabilità di G M in ordine all'omicidio ascrittogli. Detta Corte ha, altresì, ritenuto detto omicidio aggravato dalla premeditazione. Ha, inoltre, confermato la responsabilità di M in ordine alla partecipazione all'associazione mafiosa. Passando al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale ha, infine, rilevato che la pena temporanea complessiva di anni 18, mesi 6 di reclusione (di cui anni 15 di reclusione, così rideterminata la pena per il delitto associativo, ai quali sono stati aggiunti, considerati i criteri di cui all'art. 133 cod. pen., anni 1 e mesi 6 di reclusione per il delitto di ricettazione dell'arma e anni 2 di reclusione per gli altri delitti), da cumulare con quella dell'ergastolo, deve essere sostituita, ai sensi dell'art. 72, comma 2, cod. pen., trattandosi di pena superiore a cinque anni, con l'isolamento diurno per mesi sei. 2. Avverso la sentenza di appello G M, tramite i propri difensori, Mario Luciano B e Andrea G, propone ricorso per cassazione, articolato in due distinti atti, rispettivamente depositati il 28 luglio 2021 e il 3 agosto 2021. 2.1. Con il primo motivo di impugnazione del primo atto di impugnazione vengono dedotti violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 195 cod. pro. pen. Rileva la difesa che essendo gli unici elementi di accusa rappresentati da chiamate in reità de relato la loro valutazione è per un verso vincolata al riscontro diretto ex art. 195 cod. proc. pen. e per l'altro al criterio di cui all'art. 192, comma 3, stesso codice, necessitando di riscontri esterni individualizzanti. Osserva, quindi, che correttamente la sentenza di primo grado, ravvisata la circolarità della prova dichiarativa in quanto proveniente da un'unica fonte informativa quale F N, ha assolto M. Rilevano i difensori che la situazione probatoria non muta alla luce delle dichiarazioni dei nuovi collaboratori escussi in appello, con fonti di conoscenza, seppure indirette, diverse da Francesco N. Al riguardo osserva che: - le dichiarazioni di M non sono state riscontrate dalle fonti di riferimento e precisamente da M e S che ascoltati in appello non hanno confermato di avere rivelato a M l'autore dell'omicidio;- M non è intrinsecamente attendibile in quanto riferisce di avere appreso la notizia dell'omicidio per cui si procede dalla televisione mentre era detenuto nel carcere di Bicocca e poi precisa che veniva scarcerato a settembre 2011 e quindi due mesi prima dell'omicidio;- M inoltre non è in grado di specificare la causa del dissidio tra M e S e la fonte di Damiano S;- le dichiarazioni di C non sono state riscontrate dai testi di riferimento (Andrea N, R L e Raffaele M);- egualmente S e T, quali testi di riferimento di D'Arrigo, non ne riscontrano le dichiarazioni, e comunque il primo riferisce della sussistenza di un motivo di rancore nei suoi confronti da parte di D'Arrigo, al quale mentre erano detenuti aveva fatto sapere che la moglie lo tradiva tanto che ne era sorta una lite in sala colloqui;- i tre testi indiretti introdotti in appello non hanno contribuito a superare il limite individuato dalla sentenza di primo grado, attesa l'assenza di riscontri diretti ex art. 195 cod. proc. pen.;- N e C entrano in contraddizione nel corso del confronto disposto dalla Corte territoriale e la sentenza impugnata incorre nel vizio motivazionale nel valutare le risultanze di detto confronto. Quanto a quest'ultimo profilo osserva il difensore che la Corte territoriale tende a sminuire le discrasie rimaste all'esito di tale confronto tra le dichiarazioni di N e C, quanto a) all'assenso, se non mandato, di N all'uccisione di S da parte di M, che sarebbe stato dedotto da C da un sorriso di N, circostanza smentita da quest'ultimo che nega addirittura il fatto storico, b) alla partecipazione di N, la sera prima dell'omicidio, al sopralluogo sul cavalcavia sito nei pressi dell'attività commerciale di S, a riprova della conoscenza da parte del suddetto dell'intento omicidiario di M, negata da N e 'riferita da C, c) alla presenza di C e N dopo l'omicidio in un negozio di barbiere e all'acquisizione in quell'occasione da Raffaele M, padre dell'imputato, della conferma del fatto che ad uccidere S sarebbe stato proprio il figlio Gaetano, su cui i due collaboratori non concordano pur affermando genericamente che Raffaele M era solito vantarsi delle azioni dei figli. Rileva, quindi, il difensore che: - malgrado la Corte territoriale si sforzi di far emergere fonti informative diverse da N, lo stesso è l'unica fonte informativa dei collaboratori, con le evidenti implicazioni sulla circolarità della prova dichiarativa, e promana dallo stesso imputato G M, con le implicazioni in termini di confessione indiretta del medesimo;- il dato che all'indomani dell'omicidio N si sia incontrato con P e P e subito dopo con lo stesso imputato che, allorché i due sarebbero rimasti soli, gli avrebbe ammesso l'omicidio, viene sconfessato sia da P che da P che non confermavano la circostanza;- il dato raccontato da N relativo al prelievo di due pistole il giorno precedente all'omicidio ad opera di P unitamente all'imputato è invalidato dal dato documentale di cui a una sentenza passata in giudicato prodotta dalla difesa,del ritrovamento, pochissimo tempo dopo l'omicidio, dell'arma del delitto presso un terzo soggetto che la deteneva per conto di un clan avverso a quello di ritenuta appartenenza di M. Col secondo motivo di detto atto di impugnazione vengono denunciati violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen.) in punto di necessaria valutazione dei riscontri individualizzanti alle dichiarazioni dei testimoni imputati di reato connesso nonché con riferimento al comma 2 della citata norma in punto di gravità, precisione e concordanza indiziaria fra tutti gli elementi raccolti. La difesa lamenta che la Corte territoriale non si è confrontata col dato, da essa documentato con la produzione della sentenza passata in giudicato del G.u.p. del Tribunale di Catania, del ritrovamento dell'arma del delitto, appena qualche giorno dopo il fatto di sangue, nella disponibilità di A M, in quanto dal medesimo detenuta per conto di B A T, inserito nel clan degli "Stiddari" di Gela, a sua volta collegato al clan Cappello di Catania. Dato di rilievo straordinario, secondo i difensori, essendo il clan in ultimo citato storicamente avverso al clan M cui partecipava la vittima, come si dà atto nella stessa sentenza. Si duole la difesa che la Corte territoriale con scarna motivazione ritiene non provati contrasti fra S e gli "Stiddari" ovvero il clan Cappello, tralasciando che la prova è in re ipsa, già nell'appartenenza a gruppi storicamente avversi e nel fatto che T gestiva proprio una piazza di spaccio nello stesso quartiere di S che si occupava altresì di spaccio nel medesimo quartiere e che per tale motivo aveva subito in passato attentati per mano del clan Cappello;e che, quindi, non abbia approfondito la tesi alternativa al costrutto accusatorio introdotta dal dato oggetto di sentenza definitiva relativo al ritrovamento dell'arma del delitto nelle mani di un clan avverso a quello di ritenuta appartenenza di M. Tale dato, unitamente all'assenza di tracce biologiche di M, ricollegabili all'uso dell'arma, e alla carenza di indagini specifiche in capo a M, che evidenzino elementi di collegamento col M, rappresenta, secondo i difensori, un riscontro esterno alla tesi alternativa dagli stessi rappresentata e contrasta insanabilmente col racconto circolare offerto da N circa il procacciamento dell'arma grazie alla collaborazione di P la sera antecedente l'omicidio, circostanza già smentita da P;nonché con la tesi secondo cui la prova che il movente dell'omicidio sia addebitabile ad una questione sentimentale e non ad un affare mafioso si ricaverebbe dal fatto che l'arma non apparteneva all'arsenale del gruppo N, bensì venne procurata autonomamente dal killer. Rilevano i difensori che l'unico elemento esterno valorizzato dalla Corte territoriale come riscontro al narrato dei collaboratori, quello relativo all'intercettazione tra tale B e T, in cui i loquenti e in particolare T farebbero riferimento ai fratelli M come "quelli del Sucaru", risulta smentito dal chiarimento offerto da T che, sentito al riguardo, ha ribadito di aver fatto riferimento ad una notizia già divulgata dalla stampa;e comunque non è di pari forza rispetto alla riferibilità, accertata in maniera definitiva, dell'arma del delitto ad un soggetto non collegato in alcun modo a M. Concludono i difensori col ritenere non superati dalla riapertura dell'istruttoria dibattimentale le dicotomie e comunque i limiti evidenziati dal primo Giudice. Col terzo motivo del primo atto di impugnazione la difesa,, rileva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della circostanza aggravante della premeditazione. I difensori censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ritiene configurabile detta aggravante per il solo motivo che la sera prima dell'omicidio M si sarebbe approvvigionato di due armi, secondo il racconto offerto da F N, senza minimamente tenere in considerazione le dichiarazioni di smentita di P e le risultanze obiettive emergenti dalla sentenza irrevocabile prodotta, relative alla riferibilità dell'arma, a breve distanza temporale dall'omicidio, ad un clan diverso da quello di riferimento di M. I difensori concludono per l'annullamento dell'impugnata sentenza con tutte le statuizioni che seguono.
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