Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 28/07/2022, n. 23669

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 28/07/2022, n. 23669
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23669
Data del deposito : 28 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

unciato la seguente SENTENZA sul ricorso 14915-2018 proposto da: L A, elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’Avv. M R;
-ricorrente -

contro

ASL n. 1, Avezzano-Sulmona-L’Aquila, elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’Avv. G L;
-controricorrente - avverso la sentenza n. 118 /2018 della Corte d’appello di L’Aquila depositata il 1° marzo 2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/06/2022 dal ConsigliereIRENE TRICOMI;udito il P.G. in udienza, in persona del Sostituto Procuratore Generale R S, la quale ha concluso per l’inammissibilità od il rigetto del ricorso;
uditi gli Avvocati M R , per la ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, e G L, per parte controricorrente, che ne ha chiestoil rigetto;
letti gli atti del procedimento in epigrafe.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. L A ha proposto ricorso per cassazione esponendo che: - era stata socia lavorat rice della Cooperativa Sociale Elleuno scs (d’ora innanzi: la Cooperativa) dal 1° settembre 2006 al 31 marzo 2013, con la funzione di Assistente tutelare di IV livello;
-la citata Cooperativa si era aggiudicata l’affidamento, da parte della ASL n. 1 Avezzano - Sulmona - L’Aquila (in prosieguo: l’ASL), del servizio di assistenza sanitaria in outsourcingper la RSA di Montereale;
- aveva prestato servizio presso la RSA di Montereale, a lle dipendenze della detta Cooperativa, con la qualifica di Assistente tutelare di IV livello,;
- nonostante l’inquadramento, aveva sempre svolto mansioni superiori inerenti alla qualifica di Operatore socio sanitario. Aveva quindi adito il Tribunale di L’Aquila chie dendo che fosse riconosciuto il proprio diritto all’inquadramento come operatore socio sanitario livello BS fin dall’inizio del rapporto di lavoro con la menzionata Cooperativa e al pagamento della retribuzione corrispondente a quella del CCNL sanità pubblica a parità di mansione livello BSS ruolo sanitario. Essa ha altresì chiesto che, dichiarato illegittimo l’utilizzo del contratto di appalto, il rapporto di lavoro fosse correttamente inquadrato nella fattispecie della somministrazione irregolare, con conseguente condanna dell’ASL predetta ( che aveva affidato a lla Cooperativa il servizio di assistenza sanitaria in outsourcing per la RSA di Montereale ) a pagarle le somme rivendicate. La ricorrente ricorda che dopo la costituzione della ASL e l’estromissione della Cooperativa Elleuno ad opera del giudice, venivano espletate prove per testi ed esperita CTU. All’esito dell’istruttoria, ravvisato un illecito appalto di mera manodopera, il Tribunale dell’Aquila , con la sentenza n. 379 del 2016, condannava l’ASL a pagare in favore della lavoratrice le somme oggetto di lite e, rispetto alla chiamata in causa,compensava le spese. L’ASL proponeva appello.

2. La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 1 18 /2018 , in accoglimento del gravame ha rigettato la domanda di L A , che a sua volta ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a due motivi (poi ulteriormente illustrati con memoria), cui l’ASL ha resistito con controricorso.

3. Il Sostituto procuratore generale Stefano Visonà ha depositato conclusioni scritte per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso, conclusioni che sono state confermate nella discussione della causa all’udienza pubblica dalSostituto procuratore generale R S.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 29 del d.lgs. n. 276/03 e 1655 cod. civ. (interposizione fittizia di manodopera) come ricostruiti dalla Corte d’Appello di L’Aquila, in riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 360, n.5, cod. proc. civ., in relazione all’art. 115 cod. proc. civ. , per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in riferimento alla ricostruzione operata in concreto dalla Corte territoriale in materia di genuinità del contratto di appalto.3. È preliminare all’esame dei motivi di ricorso la verifica della regolare instaurazione del contraddittorio, atteso che il Tribunale estendeva il contraddittorio alla Cooperativa sociale Elleunoche, pur non essendo stata estromessa, non è stata poi citata nel giudizio di appello. Nel resistere in giudizio alla domanda della lavoratrice protestando la propria estraneità al rapporto lavorativo sottostante, l’ASL aveva sostanzialmente operato una nominatio auctoris nei confronti della Cooperativa, della quale il Tribunale aveva poi disposto la chiamata in causa. Di conseguenza, la domanda di parte ricorrente doveva ritenersi automaticamente estesa, in via alternativa, anche al terzo (la Cooperativa), domanda che il giudice può e deve esaminare senza necessità che l'attore ne faccia esplicita richiesta (giurisprudenza costante: cfr.Cass. n. 5580/18;
Cass. n. 4722/18;
Cass. n. 20610/11;
Cass. n. 12317/11;
Cass. n. 13131/06 fino a risalire nel tempo a Cass. n. 586/74). A sua volta con il proprio appello l’ASL ha seguitato a negare di essere la titolare nel lato passivo del rapporto oggetto di lite, sicché anche in secondo grado si è continuato a discutere dell’individuazione del soggetto obbligato (Cooperativa o ASL) verso la lavoratrice. Pertanto, nel caso di specie si è verificata un’ipotesi paradigmatica di dipendenza di cause, con conseguente applicazione dell’art. 331 c.p.c. e nullità della sentenza impugnata, atteso che la chiamata del terzo iussu iudicis ex art. 107 c.p.c. determina una situazione di litisconsorzio necessario c.d. processuale, non rimuovibile per effetto di un diverso apprezzamento del giudice dell'impugnazione, salva l'estromissionedel chiamato con la sentenza di merito, sicché se il terzo, dopo aver partecipato al giudizio di primo grado a seguito di tale chiamata, non ha preso parte a quello di appello, si configura una violazione dell'art. 331 c.p.c. (cfr., ex aliis, Cass. n. 8790/19), rilevabile anche d'ufficio nel giudizio di legittimità (v. Cass. n. 9131/16 e altre conformi): ciò esclude l’operatività dell’art. 157, comma 3, c.p.c., riferibile solo alle nullità non rilevabili d’ufficio, con la conseguenza che esso non trova applicazione quando, come avviene nel caso di mancata integrazione del contraddittorio in causa inscindibile o in cause dipendenti, la nullità si ricollega ad un difetto di attività del giudice, cui incombeva l'obbligo di assicurare il regolare contraddittorio nel processo (cfr. Cass. n. 3855/14;
Cass. n. 11315/09). Infatti, secondo Cass. S.U. n. 26420/06 e successive conformi, nel caso in cui una domanda sia proposta alternativamente nei confronti di due soggetti e tra gli stessi vi sia contestazione circa l'individuazione dell'unico obbligato, i rapporti processuali relativi ai due convenuti sono legati dal nesso di dipendenza reciproca delle cause (la decisione di ciascuna causa comportando quella anche dell'altra) che dà luogo ad un'ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, in virtù del quale le cause medesime devono essere decise da un unico giudice e rimanere riunite anche in fase di impugnazione, ove sia ancora in discussione – come era ancora in discussione nella vicenda in oggetto - l'individuazione dell'effettivo obbligato. Nella specie, a seguito all’ordine di integrazione del contraddittorio emesso dal Tribunale si è instaurato un collegamento fra la posizione processuale della Cooperativa e quella dell’ASL che imponeva la partecipazione di entrambe le parti ai successivi gradi di giudizio, al fine di giungere ad una pronuncia che definisse del tutto il rapporto fra loro e la ricorrente, stabilendo, con riferimento alle domande proposte da quest’ultima, quali fossero stati e per quale periodo il datore di lavoro e la retribuzione dovuta, in modo da evitare la coesistenza di pronunce e, soprattutto, di giudicati in contrasto in ordine alla qualificazione e definizione della medesima vicenda sostanziale.Diversamente opinando, ossia rigettando il motivo qui esaminato malgrado la mancata integrazione del contraddittorio in grado di appello, si produrrebbe l’abnorme risultato di avere all’esito del medesimo processo il passaggio in giudicato di due statuizioni fra loro incompatibili: da un lato la sentenza di primo grado, sul presupposto dell’illiceità dell’appalto, esime da responsabilità la Cooperativa;
dall’altro, la sentenza d’appello, sul presupposto esattamente contrario (cioè l’asserita liceità dell’appalto), esime da responsabilità l’ASL;
in tal modo si vanificherebbe proprio quella che è la ratio(prevenire il rischio di giudicati contraddittori) di tutte le norme che consentono o impongono la partecipazione di una pluralità di parti all’interno del medesimo processo. Ciò dimostra anche il concreto pregiudizio sofferto da parte ricorrente, che all’esito del processo si troverebbe a non poter far valere né contro la Cooperativa né contro l’ASL i propri crediti retributivi (che pur nessuna delle statuizioni di merito ha negato in termini di an o quantum debeatur ) sol perché i giudici di primo e secondo grado hanno emesso pronunce fra loro contraddittorie in ordine all’individuazione del soggetto obbligato. Tale concreto pregiudizio sofferto dalla ricorrente supera ogni altra obiezione sollevata a riguardo. D’altronde, secondo Cass. S.U. n. 36596/21 la parte che impugni la sentenza d'appello deducendone la nullità per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia;
invero, la violazione determinata dall'avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo. In altre parole, con la citata sentenza n. 36596/21 le Sezioni Unite – risolvendo un contrasto insorto in seno alla giurisprudenza della Corte – hanno chiarito, sia pure riguardo ad una diversa lesione della legge processuale, che le violazioni del contraddittorio e del diritto di difesa non hanno bisogno di specifica allegazione, da parte del ricorrente, del concreto pregiudizio sofferto a causa dell’errorin procedendo. Deve escludersi, poi, che nel caso in esame la sentenza di prime cure abbia implicitamente revocato l’originario ordine di chiamata in causa ed estromesso la Cooperativa nel momento in cui, in motivazione, ha riconosciuto la non necessità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultima. A smentire l’ipotesi vi è l’esplicita pronuncia del Tribunale sulle spese di lite concernenti la posizione della Cooperativa. Inoltre, un’eventuale revoca solo in sentenza sarebbe stata priva di rilievo una volta eseguito l’ordine e ormai celebratosi il processo anche nei confronti del terzo chiamato in causa. Si consideri, poi, che l’estromissione è un istituto che non ha carattere generale, potendo essere disposta esclusivamente nelle ipotesi normativamente indicate (v. artt.108, 109 e 111 c.p.c. e artt. 1586 cpv. c.c. e 1777 c.c.), accomunate tutte da una medesima ratio: evitare di costringere una parte a partecipare al processo il cui esito le risulti sostanzialmente indifferente pur essendo consapevole che, nondimeno, la sentenza farà stato anche nei suoi confronti.Infine, quand’anche a dispetto di quanto precede si volesse supporre che l’intento del Tribunale fosse stato proprio quello –implicito ed erroneo – di estromettere dal giudizio la citata Cooperativa (ma, giova ribadire, nulla autorizza tale congettura), ad ogni modo resterebbe il rilievo dirimente che, secondo la migliore dottrina e la costante giurisprudenza di questa S.C., una sentenza che (con formula del tutto impropria) estrometta un soggetto ritenendolo privo di legittimazione passiva o di titolarità nel lato passivo del rapporto controverso ha –in realtà - un diverso valore, ossia quello di una pronuncia di rigetto della domanda proposta contro di lui (cfr., ex aliis, Cass.n. 7625/13). Né esistono sanzioni processuali per il caso in cui il giudice dia luogo ad un litisconsorzio erroneamente ritenendolo necessario: esistono, semmai, sanzioni per l’ipotesi inversa (v. artt. 307 comma 3, 331 cpv. e 354 comma 1 c.p.c.), che si verifica quando una parte, la cui partecipazione sia necessaria da un punto di vista sostanziale o processuale, venga pretermessa. Pertanto, è vano domandarsi se l’ordine del primo giudice sia stato emanato (erroneamente) ai sensi dell’art. 102 c.p.c. o (correttamente) ex art. 107 c.p.c.: una volta creatasi una pluralità di parti (ancorché originariamente non necessaria) e non essendo possibile estromettere una di esse per le ragioni sopra ricordate, il constatato permanere anche in appello d’un rapporto di reciproca dipendenza delle cause importa un litisconsorzio necessario processuale governato dall’inderogabile norma dell’art. 331 c.p.c. Né nella vicenda in oggettopuò applicarsi la giurisprudenza secondo cui, in materia di litisconsorzio necessario processuale, l’interesse tutelato che la parte può fare valere rispetto al terzo che abbia partecipato al giudizio di primo grado su ordine del giudice, ma non sia stato chiamato in appello ad integrare il contraddittorio, è quello ad ottenere una pronuncia di merito e non una sentenza di mero rito, sicché la cassazione della sentenza d’appello è ammessa solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella impugnata (Cass., Sez.1, n. 2966 del 7 febbraio 2020): al contrario, nella presente controversia la decisione del giudice di rinvio dovrà definire la lite nel merito anche nei confronti del terzo pretermesso, attesa la summenzionata permanenza della domanda alternativamente valevole nei confronti dell’originaria convenuta (l’ASL) e del terzo chiamato in causa (la Cooperativa). Neppure può sostenersi che sulla non necessità della partecipazione al giudizio della Cooperativa si sia formato un giudicato implicito ostativo all’applicazione, in appello, dell’art. 331 c.p.c., atteso che è proprio tale norma ad impedire la formazione del giudicato riguardo alla posizione della parte erroneamente pretermessa.
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