Cass. civ., sez. III, sentenza 14/07/2004, n. 13065

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In tema di notificazioni, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 2002 - dichiarativa della illegittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 149 del codice di procedura civile e dell'art. 4, terzo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890, nella parte in cui prevede che la notificazione di atti a mezzo posta si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell'atto da parte del destinatario anziché a quella, antecedente, di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, - e come dalla Corte Costituzionale ribadito anche nella sentenza n. 28 del 2004, nell'ordinamento deve ritenersi operante un principio generale in base al quale, qualunque sia la modalità di trasmissione, la notifica di un atto processuale, almeno quando debba compiersi entro un determinato termine, si intende perfezionata in momenti diversi rispettivamente per il richiedente e per il destinatario della notifica, dovendo le garanzie di conoscibilità dell'atto da parte di quest'ultimo contemperarsi con il diverso interesse del primo a non subire le conseguenze negative derivanti dall'intempestivo esito del procedimento notificatorio per la parte di questo sottratta alla sua disponibilità. Peraltro, quando non vengono in rilievo ipotesi di decadenza conseguenti al tardivo compimento di attività riferibili a soggetti diversi dal richiedente la notifica (quali l'ufficiale giudiziario o il di lui ausiliario agente postale), e viceversa la norma preveda che un termine debba decorrere o altro adempimento debba essere compiuto dal tempo dell'avvenuta notificazione (come nella fattispecie prevista all'art. 369 cod. proc. civ. con riferimento al deposito in cancelleria del ricorso nel termine di venti giorni dall'ultima delle notificazioni alle parti contro le quali il ricorso stesso è proposto), la suddetta distinzione dei momenti di perfezionamento della notifica non trova applicazione, dovendo essa intendersi pertanto per entrambi compiuta, come si ricava dal tenore anche testuale della richiamata norma, al momento della sua effettuazione nei confronti del destinatario contro cui l'impugnazione è rivolta.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 14/07/2004, n. 13065
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13065
Data del deposito : 14 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. N G - Presidente -
Dott. T F - rel. Consigliere -
Dott. D B - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COMUNE DI T,in persona pro-tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA LEONESSA

28 presso Avvocato D V, difeso dagli avvocati F B, C F, con studio, in LECCE P.TTA MONTALE, 2, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
SIANATICO MCHELE, SIANATICO GIULIO, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA TAGLIAMENTO

14, presso lo studio dell'avvocato C M B, che li difende, giusta delega in atti;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 375/00 della Corte d'Appello di LECCE, sezione seconda civile emessa il 16/6/2000, depositata il 22/07/00;
RG. 89/1998;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/03/04 dal Consigliere Dott. F T;

Udito l'Avvocato C M B;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. N G che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO D P
Il Sindaco di Taranto, a seguito del crollo di un edificio nella parte vecchia della città, ordinava in data 19 maggio 1975 la requisizione di trentadue alloggi nell'immobile di proprietà dei germani Michele e G Scianatico per un periodo di sei mesi, successivamente prorogato per altrettanto tempo.
Il provvedimento di requisizione era annullato dalla sentenza definitiva in data 11 aprile 1978 del Consiglio di Stato su ricorso dei proprietari, i quali, con successiva citazione del 19 gennaio 1982 innanzi al tribunale di Taranto, convenivano in giudizio il Comune, in persona del Sindaco, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al mancato godimento degli alloggi ed al rimborso della spesa occorsa per i lavori di riparazione al fabbricato.
Il tribunale adito, avendo il Comune eccepito che il Sindaco aveva agito nella qualità di ufficiale di governo, disponeva iussu iudicis la chiamata in causa del Ministero dell'Interno e la successiva remissione della causa al foro erariale del tribunale di Lecce, che con sentenza non definitiva dichiarava la legittimazione passiva dello Stato e la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni. La Corte d'appello di Lecce rigettava sia il gravame principale di Michele e G Scianatico, che quello incidentale del Ministero dell'Interno.
Questa Corte, sul ricorso dei germani Scianatico, cassava la sentenza con rinvio ad altra sezione della medesima Corte d'appello, al riguardo stabilendo che del danno, cagionato ai proprietari degli alloggi requisiti dall'illegittimo provvedimento del sindaco, doveva rispondere non lo Stato, bensì il Comune di Taranto, nei cui confronti, pertanto, doveva essere esaminata la questione della prescrizione del credito con riferimento agli atti interruttivi proposti dai danneggiati.
Il giudice del rinvio, con sentenza pubblicata il 22 luglio 2000, considerava che la prescrizione quinquennale dell'azione di risarcimento dei danni doveva farsi decorrere dal giorno 11 aprile 1978, data della decisione del Consiglio di Stato del definitivo annullamento del provvedimento di requisizione, sicché riteneva che il relativo termine, al momento della citazione introduttiva del giudizio da parte dei proprietari dello stabile, non era ancora maturato.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Taranto, che affida l'impugnazione a due mezzi di doglianza. Resistono con controricorso G e M S, che eccepiscono l'inammissibilità dell'impugnazione. Il Comune ricorrente ha presentato memoria.
All'odierna udienza di discussione il difensore dei resistenti ha dedotto l'improcedibilità del ricorso nella considerazione che il deposito dell'atto nella cancelleria di questa Corte sarebbe avvenuto oltre il termine di venti giorni di cui all'art. 369, primo comma, cod. proc. civ.. MOTIVI DALLA DECISIONE
Preliminarmente occorre esaminare sia la questione relativa alla dedotta improcedibilità del ricorso, secondo la tesi prospettata alla udienza odierna dal difensore dei resistenti, sia la eccezione d'inammissibilità dell'impugnazione, quale proposta con il controricorso.
Rileva questa Corte che debbono essere escluse sia l'improcedibilità del ricorso, prospettata per pretesa violazione dell'art. 369, primo comma, cod. proc. civ., sia l'inammissibilità dell'impugnazione, che
i resistenti vorrebbero far discendere da un giudicato interno, che si sarebbe formato, a seguito della sentenza di primo grado, sia sul punto relativo all'accertamento del momento di insorgenza alla data dell'11 aprile 1978 del diritto al risarcimento del danno, sia sul punto concernente l'azionabilità del medesimo diritto entro il quinquennio.
Secondo la tesi svolta in sede di discussione, l'improcedibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 369, primo comma, cod. proc. civ., dovrebbe derivare quale effetto conseguenziale del decisum della sentenza n. 28 della Corte costituzionale depositata il 23 gennaio 2004, la quale, in tema di notificazione, ha stabilito, secondo l'interpretazione costituzionalmente orientata che occorre dare del combinato disposto degli artt. 139 e 148 cod. proc. civ., che le notificazioni si perfezionano, per il notificante, non alla data di completamento delle formalità poste in essere dall'ufficiale giudiziario e da questi attestate con idonea relata, ma nel momento antecedente della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario. Assumono i resistenti che, poiché in virtù della suddetta sentenza del giudice delle leggi la notificazione del ricorso per Cassazione deve intendersi compiuta alla data della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, è da tale momento, - secondo la nuova lettura che allo stato dovrebbe darsi della norma del primo comma dell'art. 369 cod. proc. civ.- che decorrerebbe il termini di venti
giorni per il deposito nella cancelleria della Corte di Cassazione del ricorso medesimo, sicché nella specie, in cui il ricorso è stato depositato in cancelleria il 12 marzo 2001 dopo che esso era stato consegnato all'ufficiale giudiziario per la notificazione in data 17 febbraio 2001, il deposito sarebbe avvenuto oltre il termine perentorio dei venti giorni.
Ritiene questa Corte che la tesi non è fondata.
Il giudice costituzionale nella sentenza n. 28 del 2004, riaffermando l'esigenza (costituente già la ratio delle precedenti sentenze n. 69 del 1994, n. 358 del 1996 e n. 477 del 2002) che le garanzie di conoscibilità dell'atto da parte del destinatario della notificazione debbono coordinarsi con l'interesse del notificante a non vedersi addebitato l'esito intempestivo del procedimento notificatorio per la parte sottratta alla sua disponibilità, ha definitivamente ribadito che risulta ormai presente nell'ordinamento processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio secondo il quale - relativamente alla funzione che sul piano processuale, cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a svolgere per il notificante - il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario.
La stessa sentenza ha, tuttavia, chiarito che la produzione degli effetti collegati alla notificazione stessa è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario e che, ove a favore o a carico di costui la legge preveda termini o conseguenze o, comunque, adempimenti decorrenti dalla notificazione, questi debbano calcolarsi o correlarsi al momento in cui la notifica si perfeziona anche nei suoi confronti. Orbene - pur ammessa la validità del principio della distinzione fra i due diversi momenti di perfezionamento delle notificazioni degli atti processuali in tutti quei casi in cui sarebbe irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di attività riferibili non al notificante, ma a soggetti diversi quali l'ufficiale giudiziario e l'agente postale suo ausiliario- è da rilevare che in ogni altra ipotesi, in cui la norma suppone che un termine debba decorrere od altro adempimento debba essere compiuto dall'avvenuta notificazione, questa deve essere intesa come compiuta e perfezionata anche nei confronti del destinatario dell'atto. Tale è certamente l'ipotesi regolata dal primo comma dell'art. 369 cod. proc. civ. del deposito in cancelleria del ricorso nel termine
di venti giorni dall'ultima notificazione alle parti contro le quali il ricorso stesso è proposto.
La lettera della norma al riguardo è esplicita nello stabilire che deve trattarsi di notificazione perfezionata nei confronti del destinatario contro cui l'impugnazione è rivolta.
La ratio della disposizione, inoltre, logicamente suppone che il deposito in cancelleria debba riguardare il ricorso per Cassazione nella sua completezza di atto mediante cui, nell'avvenuta conoscenza dell'impugnazione da parte del destinatario, risulti già instaurato il contraddittorio.
Infine, poiché dalla scadenza del termine di cui all'art. 369, primo comma, cod. proc. civ. decorre per il resistente (art. 370, primo
comma, stesso codice) il termine entro cui deve essere notificato il controricorso, si rischierebbe, secondo la tesi avanzata dai resistenti, che detto termine potrebbe essere già decorso quando la parte, che volesse contraddire al ricorso, ancora non sia venuta a conoscenza dell'impugnazione e dei relativi motivi. Anche l'eccezione di inammissibilità del ricorso (che è stata proposta in base alla preclusione che dovrebbe derivare dalla sussistenza di un giudicato interno, a seguito della sentenza di primo grado, sia in ordine all'accertamento del momento di insorgenza alla data dell'11 aprile 1978 del diritto al risarcimento del danno, sia sul punto riguardante l'azionabilità del medesimo diritto entro il quinquennio) non può essere accolta.
Secondo il costante indirizzo di questo giudice di legittimità (ex plurimis;
Cass., n. 1524/2000;
Cass., n. 11290/99;
Cass., n. 11615/98), la sentenza della Corte di Cassazione di annullamento con rinvio, che fissa i criteri in indicando o in procedendo che debbono informare la decisione della causa, comporta che devono ritenersi implicitamente e definitivamente precluse tutte le questioni che costituiscono il presupposto logico-giuridico della pronuncia, con la conseguenza che, ostandovi il giudicato interno, è precluso alle parti di rimettere in discussione le questioni medesime in sede di rinvio e (a maggior ragione) in sede di ricorso per Cassazione avverso la sentenza pronunciata nel giudizio di rinvio. Più in particolare, nel ribadire che l'efficacia preclusiva della sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di cassazione concerne non solamente le questioni dedotte nel giudizio di legittimità, ma anche quelle che in tale giudizio potevano essere prospettate dalle parti o rilevate d'ufficio dalla stessa Corte come necessario presupposto della sentenza, è stato pure precisato (Cass., n. 7176/2001;
Cass., n. 5800/7) che, per tale ragione, non può essere rilevata in sede di rinvio la sussistenza di un giudicato interno, non eccepito dalla parte interessata nel precedente giudizio di legittimità definito con la sentenza di annullamento. La precedente sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte, oltre che individuare non nello Stato ma nel Comune di Taranto il destinatario della domanda di risarcimento dei danni reclamati dai germani Scianatico, stabiliva anche che il giudice del rinvio avrebbe dovuto esaminare "ogni questione circa la prescrizione della pretesa risarcitoria fatta valere dagli Scianatico... con riferimento agli atti interrativi proposti nei confronti del Comune di Taranto e non invece con riguardo a quelli posti in essere nei confronti del Ministero dell'Interno".
Assegnando al giudice del rinvio lo scrutinio circa la sussistenza o meno della prescrizione del credito dei germani Scianatico, implicitamente questa Corte escludeva che sulla questione si fosse formato il giudicato in virtù della pronuncia di primo grado del tribunale.
È, pertanto, evidente che la dedotta inammissibilità del ricorso non può essere fondata su una situazione che le parti non potevano rimettere in discussione nel giudizio di rinvio e che non possono riproporre in questa sede.
Con il primo motivo d'impugnazione deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 2043, 2934, 2935 e 2947 cod. civ. in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.- il Comune
ricorrente critica la denunciata sentenza, perché, avendo essa affermato che nessuna prescrizione si era verifi-cata per il fatto che prima dell'annullamento dell'illegittimo provvedimento di requisizione non era sussistente una situazione di tutelabilità del diritto soggettivo, detta statuizione non aveva tenuto conto della successiva evoluzione giurisprudenziale conseguente alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 500 del 22 luglio 1999. Assume il Comune ricorrente che il precedente indirizzo (secondo cui il privato, che è titolare di una situazione di diritto soggettivo, deve prima ottenere dal giudice amministrativo l'annullamento del provvedimento illegittimo della la pubblica amministrazione e, solo dopo che la situazione soggettiva è restituita alla condizione originaria, può agire per ottenere dal giudice ordinario il risarcimento del danno per il pregiudizio che l'esecuzione del provvedimento gli ha cagionato) si pone ormai in contrasto con il principio nuovo di cui alla predetta sentenza n. 500 del 1999, che, riconosciuta la valenza di norma primaria alla disposizione dell'art. 2043 cod. civ. ed ammessa la responsabilità aquiliana con
riferimento alla lesione di situazioni sostanziali connesse ad interessi legittimi, ha reso possibile la tutele immediata innanzi al giudice ordinario anche delle predette situazioni. La conseguenza che se ne dovrebbe trarre - precisa il Comune ricorrente - è che, non dovendo la parte attendere dal giudice amministrativo l'annullamento dell'atto lesivo della situazione soggettiva sostanziale per potere domandare il risarcimento del danno, la prescrizione del relativo diritto, non trovando più l'ostacolo (art. 2935 cod. civ.) del divieto di proporre subito la domanda al giudice ordinario, non può iniziare a decorrere dal momento del definitivo annullamento del provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione, sicché, nella specie, il diritto azionato dai germani Scianatico doveva essere dichiarato prescritto relativamente alla illegittima occupazione degli immobili requisiti nel periodo anteriore al 19 gennaio 1977 essendo da allora trascorsi cinque anni al momento della proposizione della domanda in data 19 gennaio 1982.
La censura, anche se denuncia un vizio della sentenza ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., non può essere accolta, perché l'errore di diritto, che riguarda la motivazione, non ne travolge l'esatta decisione, che risulta conforme a diritto secondo la corretta motivazione che di seguito questa Corte, proprio in considerazione degli argomenti che derivano per effetto della sentenza n. 500 del 1999, è autorizzata a dare (art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.) in sostituzione di quella esposta dal giudice
del merito.
La correzione va fatta in base al principio, enunciato da questa Corte con la sentenza n. 3726 del 28 marzo 2000 e confermato con la successiva sentenza n. 17940 del 25 novembre 2003, secondo cui, rispetto al diritto al risarcimento del danno derivato dall'esecuzione di provvedimenti illegittimi della pubblica amministrazione, la domanda, che il privato propone al giudice amministrativo per ottenere l'annullamento di tali provvedimenti, determina, a norma degli art. 2943, primo comma, e 2945, primo e secondo comma, cod. civ., l'interruzione della prescrizione, la quale non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce quel giudizio.
Nell'alternativa tra il riconoscimento della funzione di vero e proprio atto di esercizio della situazione di interesse protetto al giudizio iniziato e proseguito dalla parte davanti al giudice amministrativo prima della proposizione della domanda di risarcimento del danno al giudice ordinario e l'attribuzione al giudizio amministrativo medesimo della diversa funzione di giudizio conservativo rispetto al risarcimento del danno, le sentenze predette hanno privilegiato questa seconda opzione, ponendo l'accento sul fatto che la parte, quando agisce per l'annullamento del provvedimento amministrativo, da inizio ad un giudizio che manifesta, quantomeno, la volontà di assicurarsi, sulla base della situazione di interesse protetto lesa dal provvedimento, utilità giuridiche rilevanti nella prospettiva, oltre che della tutela in forma specifica della sua situazione di interesse, di una futura condanna al risarcimento del danno per il pregiudizio non potuto evitare. In applicazione del suddetto principio, che questo collegio pienamente condivide, e in considerazione degli elementi di fatto richiamati nella sentenza impugnata, l'eccezione di prescrizione avanzata dal Comune ricorrente era,comunque, da rigettare. Infatti, prima che fosse pronunciata la sentenza del Consiglio di Stato dichiarativa dell'illegittima requisizione degli alloggi, la prescrizione era stata interrotta dalla domanda di annullamento, che ne aveva impedito il corso sino alla data della pronuncia definitiva del giudice amministrativo del giorno 11 aprile 1978, termine questo che la Corte distrettuale avrebbe dovuto qualificare come iniziale di un nuovo periodo di prescrizione e non come momento originario della prescrizione stessa.
Con il secondo motivo d'impugnazione - pure deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 2043, 2934, 2935 e 2947 cod. civ. in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. - il Comune ricorrente assume che, data la natura di illecito permanente del comportamento della pubblica amministrazione, anche a ritenere che la prescrizione non potesse riguardare il risarcimento dei danni verificatisi entro il periodo di efficacia del decreto di requisizione e della sua proroga, per i danni derivati nel successivo periodo di occupazione dell'immobile, che potevano essere reclamati immediatamente senza la necessità della preventiva declaratoria di illegittimità dell'occupazione, per questa il termine di prescrizione doveva ritenersi decorso alla data dell'introduzione del giudizio.
In proposito il ricorrente richiama il precedente di questa Corte n. 7867 del 19 luglio 1995, in base al quale l'occupazione illegittima di un immobile derivante da una requisizione abusiva integra un illecito permanente in cui il comportamento lesivo non si esaurisce uno actu, ma perdura nel tempo, fino a quando l'immobile viene rimesso nella disponibilità del proprietario, con la conseguenza che il diritto al risarcimento del danno sorge con l'inizio del fatto illecito generatore del danno stesso, rinnovandosi di momento in momento, onde la prescrizione di tale diritto ha inizio da ciascun giorno rispetto al fatto già verificatosi (art. 2935 cod. civ.) e che devono, perciò, dichiararsi prescritti i danni maturati prima del quinquennio anteriore alla proposizione della domanda (art. 2947 cod. civ.), ad eccezione di quelli verificatisi prima della scadenza
del termine di efficacia del decreto di requisizione, per i quali il proprietario dell'immobile non poteva far valere il suo diritto, compresso dal provvedimento amministrativo e, perciò, degradato ad interesse, fino al momento dell'annullamento del decreto da parte del giudice amministrativo.
Osserva, tuttavia, questa Corte che il principio innanzi richiamato dal ricorrente circa la valutazione frazionata dei due periodi di una ininterrotta occupazione nel senso gli effetti del provvedimento amministrativo verrebbero ad incidere su uno soltanto di essi, non è, nella specie, proponibile alla stregua degli argomenti addotti a sostegno del rigetto del primo motivo del ricorso, per cui, proprio in relazione al carattere di illecito permanente collegato all'unica condotta di illegittima occupazione, l'effetto interruttivo della prescrizione, ricollegabile al giudizio amministrativo con funzione conservativa, non può che riguardare anche i danni relativi al periodo per il quale il ricorrente assume, invece, che sarebbe maturata la prescrizione.
La suddetta considerazione esime, peraltro, questa Corte dal precisare che l'eccezione di prescrizione nel giudizio di merito era stata proposta con il solo riferimento alla pretesa erroneità dell'indicato termine di decorrenza, senza la precisazione del diverso limite oggettivo dei suoi effetti, secondo la specificazione contenuta nel motivo d'impugnazione per Cassazione. Il ricorso, pertanto, è rigettato ed il Comune ricorrente è condannato a pagare le spese del presente giudizio di Cassazione nella misura indicata in dispositivo.

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