Cass. pen., sez. VI, sentenza 14/05/2018, n. 21318
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la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1. P P, nato a La Spezia il 18/12/1969 2. G G, nato a La Spezia il 23/07/1950 avverso la sentenza in data 17/02/2017 della Corte d'appello di Genova visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;udita la relazione svolta dal consigliere A C;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale G D L, che ha concluso il rigetto di entrambi i ricorsi;uditi, per i ricorrenti, gli avvocati M A, difensore di fiducia di P P, e A L, difensore di fiducia di G G, che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 17 febbraio 2017, la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale della Spezia, per quanto di interesse in questa sede, ha: -) confermato la dichiarazione di penale responsabilità di P P e G G, entrambi per il delitto di peculato continuato commesso dal 2007 al 23 gennaio 2009 in relazione a parte dei fatti così contestati e ritenuti in primo grado, ed il primo anche per il delitto di promotore, capo ed organizzatore di un'organizzazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di peculato;-) dichiarato la prescrizione nei confronti di entrambi per altra parte dei fatti contestati e ritenuti come peculato in primo grado, previa riqualificazione degli stessi nel delitto di frode informatica, nonché, nei confronti del solo G, per la contestazione di partecipazione ad associazione per delinquere;-) condannato P P alla pena di cinque anni, tre mesi e otto giorni di reclusione e G G alla pena di due anni e ventitré giorni di reclusione. Precisamente, la sentenza impugnata ha ritenuto entrambi gli imputati responsabili di peculato per essersi appropriati - nella qualità di incaricati di pubblico servizio, quali amministratori di due società, entrambe di fatto controllate da P, convenzionate con enti concessionari dell'Azienda Autonoma Monopoli di Stato, e svolgenti, per effetto di tali convenzioni, funzione di terzi raccoglitori del denaro delle giocate di intrattenimento con vincita in denaro, di cui all'art. 110, commi 6 e 7, T.U.L.P.S. - delle somme destinate, sin dal momento dell'incasso, all'Azienda Autonoma Monopoli di Stato a titolo di prelievo erariale unico (cd. PREU), avente natura tributaria, e corrispondenti al 12 % di quanto materialmente percepito, falsificando ed alterando le comunicazioni ed i dati delle giocate, mediante una scheda cd. "clone" di contabilizzazione sistemata, al posto di quella originale, in numerosi congegni collegati alla rete telematica dell'Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato, ed installati in locali pubblici, a disposizione dei giocatori. I giudici di secondo grado, invece, hanno riqualificato come frode informatica, dichiarandone la prescrizione, la condotta, anch'essa realizzata dai medesimi imputati, e nella medesima qualità, consistita nell'appropriazione delle somme sulle giocate effettuate mediante congegni privi di nulla osta per la messa in esercizio, e quindi mai collegati alla rete telematica dell'Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato, ovvero mediante congegni ufficialmente dismessi. La Corte d'appello, ancora, ha ritenuto P P capo di un'associazione per delinquere finalizzata ad appropriarsi illecitamente di somme di spettanza dell'Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato a titolo di prelievo erariale unico attraverso l'installazione di molteplici congegni da gioco presso numerosi esercizi pubblici, ed ha quantificato gli importi complessivamente oggetto di illecita appropriazione, attraverso le condotte di peculato o di frode informatica, in una somma non inferiore a 1.449.829,74 euro. 2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe l'avvocato M A, quale difensore di fiducia di P P, e l'avvocato A L, quale difensore di fiducia di G G. 3. Il ricorso proposto nell'interesse di P P è articolato in sei motivi. 3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 192 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla valutazione delle prove. Si deduce che la dichiarazioni accusatorie a carico, rese dai testimoni assistiti ex art. 197-bis cod. proc. pen. A D, P B e A L, sono state valutate senza considerare le affermazioni del ricorrente, secondo il quale il sistema delle schede cd. "clone" era stato ideato ed attuato a sua insaputa. Si specifica che la versione difensiva è attendibile, in particolare, perché: -) D era colui il quale teneva la contabilità complessiva degli incassi e consegnava il denaro a P;-) il programma per clonare le schede era stato trovato nel computer di D, e proprio a casa di D;-) le chiavi di accesso al deposito nel quale si trovavano gli apparecchi con le schede originali erano state trovate nella disponibilità di L;-) D, secondo le dichiarazioni del teste M C, aveva acquistato schede "bianche", ossia clonabili, e ricevuto un programma utile per procedere alla clonazione delle schede, già cinque o sei mesi prima del gennaio 2009;-) D, B e L avevano avviato una nuova società operante nel settore di apparecchi da gioco dopo la "rottura" con P, il quale era stato costretto ad adire l'Autorità giudiziaria per accedere ai libri contabili della società "Bar Nini" e far sospendere D dalla carica di amministratore di questa. Si osserva, poi, che le valutazioni sull'attendibilità dei dichiaranti sono assolutamente generiche e non tengono conto di smentite obiettivamente rilevabili: ad esempio D ha dichiarato che il sistema delle schede cd. "clone" è stato avviato nel settembre/ottobre 2007 e cessò dopo il sequestro del "Bar scacco matto", eseguito il 18 settembre 2008, mentre invece lo stesso fu operativo già dal giugno 2007 ed è stato contestato fino al gennaio 2009, e che gli apparecchi con le schede cd. "clone" sono cinquanta, mentre in realtà risultano quasi cento. Si rileva, ancora, che sono state fraintese le dichiarazioni 3 ti( di A S e M C: il primo non ha mai detto che P dava disposizione di sostituire le schede cd. "clone" con quelle originali, in relazione agli accertamenti della Guardia di Finanza;il secondo ha espressamente riferito che gli acquisti di schede con assegni a firma di D risalivano a cinque o sei mesi prima della data apposta sul primo assegno, e, quindi, al periodo in cui si assume in corso l'attività delittuosa ascritta a P. 3.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 314 e 359 cod. pen. e 179 r.d. 23 maggio 1924, n. 827, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio. Si deduce che l'attività di raccolta del denaro delle giocate, così come regolata dall'art. 179 r.d. n. 827 del 1924, è attività meramente esecutiva. Di conseguenza, in difetto della qualifica soggettiva, il reato configurabile è quello di frode informatica, ormai estinto per prescrizione. 3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 314 e 640-ter, secondo comma, cod. pen., a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla qualificazione giuridica dei fatti, da sussumersi nella fattispecie di frode informatica invece che, come ritenuto nella sentenza impugnata, di peculato. Si deduce che il posizionamento della scheda cd. "clone" nel congegno, prima della messa in esercizio di questo, integra un'attività fraudolenta funzionale ad entrare nel possesso del denaro delle giocate e, quindi, anche delle somme percepite a titolo di prelievo erariale unico (PREU). Si rappresenta che, siccome la frode precede la ricezione del denaro, e, quindi, l'impossessamento, il reato configurabile è quello di frode informatica, ormai estinto per prescrizione. 3.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 416 cod. pen., a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità e sussistenza del reato di associazione per delinquere. Si deduce che l'associazione per delinquere è stata identificata con l'operatività della società "Mondo Automatico", di cui era amministratore P P, senza considerare che la stessa aveva uno scopo lecito, aveva operato come tale prima, durante e dopo il periodo relativo alle condotte in contestazione ed è stata "sfruttata" per scopi illeciti solo per superare contingenti fasi di crisi. Si aggiunge che manca qualunque elemento per ritenere un programma criminoso indeterminato, e che, quindi, deve ritenersi sussistente un'ipotesi di concorso di persone nel reato, e non, invece, di partecipazione ad associazione per delinquere. 4 ( 3.5. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla determinazione della pena. Si deduce che la pena base è stata fissata in quattro anni di reclusione, valorizzandosi la pluralità di episodi illeciti, poi, però, valutati ai fini dell'aumento per la continuazione, e senza tener conto né della modesta entità del profitto ricollegabile a ciascun fatto, e quindi anche a quello ritenuto più grave, né della sostanziale incensuratezza del ricorrente. 3.6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione di legge a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo al numero di episodi di peculato ritenuti integrati. Si deduce che la sentenza impugnata ha ritenuto sussistenti novantacinque episodi di peculato, individuandoli sulla base del numero di apparecchi messi in esercizio con schede cd. "clone", e che, però, il peculato non è determinato dalla messa in esercizio dei singoli apparecchi, bensì dall'omesso versamento del PREU alla scadenza, da corrispondere il quindici ed il trenta di ogni mese. Di conseguenza, gli episodi non possono essere più di quarantaquattro, posto che questo è il numero delle "quindicine" intercorse tra il 30 aprile 2007, data della prima installazione di apparecchio con scheda cd. "clone", e 23 gennaio 2009, data indicata come finale nell'imputazione.
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