Cass. pen., sez. I, sentenza 31/03/2021, n. 12394

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 31/03/2021, n. 12394
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12394
Data del deposito : 31 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: M M nato a CAGLIARI il 30/01/1993 avverso l'ordinanza del 05/06/2020 del TRIB. LIBERTA' di CAGLIARI udita la relazione svolta dal Consigliere FILIPPO CASA;
TA lette/fiaAtite le conclusioni del PG MRIO MRIA STEFANO PINELLI „te — Ge4-4, Lo R ito il difensore] procedimento a trattazione scritta ai sensi del D.L. 137/2020

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale del riesame di Cagliari, adito ex art. 310 cod. proc. pen., respingeva l'appello proposto da M M avverso il provvedimento reso dal G.I.P. del Tribunale di quella città il 28.4.2020, con il quale era stata rigettata la richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere originariamente applicata all'indagato e al di lui padre M J per il concorso nel duplice omicidio e nella soppressione del cadavere dei fratelli M D e M M, commesso il 9.2.2020 in Dolianova, loc. "Funtana de Pirastu". L'istanza di revoca era stata avanzata nell'interesse del M M alla luce del "fatto nuovo" costituito dalla intervenuta confessione del padre, il quale si era accollato, davanti al P.M. (interrogatorio del 3.4.2020), la responsabilità di entrambi gli omicidi, scagionando il figlio. Dopo un'ampia ricostruzione della fase investigativa che aveva condotto all'emissione del provvedimento di fermo del P.M. (19.3.2020) e della successiva ordinanza cautelare, il Tribunale del riesame esponeva le ragioni per le quali, così come opinato dal G.I.P., la confessione di M J non potesse in alcun modo reputarsi credibile.

2. Detto in estrema sintesi, secondo il ragionamento seguito dai Giudici dell'appello cautelare, alla credibilità della confessione ostavano un insieme di convergenti fattori: a) l'interesse di un padre alla protezione di un figlio;
b) la palese incongruenza logica della ricostruzione dei fatti operata da J e, in particolare, della scena dell'omicidio, alla stregua della quale egli si sarebbe difeso dall'aggressione perpetrata ai suoi danni dai fratelli MIRABELLO, non appena giunti con la loro auto nella strada "Funtana de Pirastu", in prossimità del luogo dove i due MRRAS stavano pascolando le pecore (prima J avrebbe sparato un colpo di fucile a scopo intimidatorio, poi ne avrebbe esploso uno in direzione del volto di M D, infine avrebbe colpito al cranio con il calcio dell'arma M M;
il tutto, mentre M M sarebbe rimasto a bordo della sua Fiat PANDA giocando con il telefono cellulare senza accorgersi di nulla);
c) il contrasto di tale ricostruzione con le emergenze probatorie acquisite.

2.1. Quanto alla narrazione dei fatti, il Tribunale cagliaritano osservava come fosse difficilmente immaginabile che, in pochi attimi, un uomo di corporatura normale fosse riuscito a difendersi da un'aggressione - di cui, fra l'altro, non vi era alcuna traccia - da parte di due uomini, giovani e prestanti, nonché muniti di armi da taglio - allo stato non rinvenute - avendo il tempo di prelevare dal bagagliaio un fucile - anch'esso non rinvenuto - evitare l'assalto e il conseguente accoltellamento, sparare un colpo d'avvertimento, poi un secondo, fatale per M D, e poi, infine, con violenza inaudita, uccidere anche M M, fracassandogli il cranio col calcio del fucile medesimo. Non valeva a smentire tale conclusione - ad avviso del Collegio de libertate - neppure la variante ricostruttiva difensiva - peraltro non esplicitata dal MRRAS - secondo cui i due MIRABELLO si sarebbero avventati sul pastore in momenti diversi, perché uno dei due (M) si sarebbe verosimilmente intimorito alla vista dell'arma o, semplicemente, accorto che non vi erano più colpi in canna, atteso che risultava difficile, anche in ragione dei violenti trascorsi tra i MRRAS e i MIRABELLO, che uno dei due fratelli avesse lasciato andare avanti l'altro, facendosi scudo di lui e restando poco più indietro. Ulteriori insuperabili profili di inverosimiglianza si appalesavano, poi, nella dinamica del caricamento dei corpi, effettuata, anche in tal caso, a suo dire, dal solo J, il quale, nel volgere di pochissimo tempo, avrebbe caricato con disinvoltura due pesanti corpi nel bagagliaio e sul sedile posteriore di un'auto a tre porte, in pieno giorno, col rischio di essere visto dai passanti lungo la strada, comunque trafficata, senza avvalersi dell'aiuto del figlio, che ben avrebbe accelerato i tempi nel far sparire le prove del duplice omicidio appena avvenuto. Profondi dubbi permanevano, inoltre, a proposito della descrizione delle modalità di abbandono e della soppressione dei corpi delle vittime, eventi accaduti nella loc. "Sa Tiria", in agro di Dolianova, a circa 6 metri dal ciglio stradale, in una folta vegetazione, dove furono rinvenuti in pessimo stato di conservazione, poiché esposti alle intemperie e agli animali selvatici della zona. Ed invero - proseguiva il Tribunale - posto che al luogo del ritrovamento si accedeva mediante un piccolo sentiero in salita, con un dislivello "pari al 56,80%, su terreno cedevole, senza punti di appoggio", appariva difficilmente credibile che un solo uomo, dopo aver parcheggiato l'auto sul ciglio della strada, fosse riuscito, da solo, a prelevare quei corpi e a caricarne in spalla il peso, lungo un percorso impervio, in un lasso di tempo brevissimo, onde evitare di incrociare possibili testimoni.

2.2. Ad avviso dei Giudici dell'incidente cautelare, le dichiarazioni autoaccusatorie di M J, oltre a scontrarsi con le. logica, contrastavano con le risultanze investigative e scientifiche. A parte gli unici riscontri, costituiti dagli esiti preliminari dell'esame autoptico in ordine al fatto che effettivamente M D fu ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato a distanza ravvicinata con un fucile calibro 12 (mentre M subì un trauma contusivo, di discreta entità, a livello della regione zigomatico-temporale destra, senza, però, che si potesse affermare che tale trauma fosse stato causa della morte), tutti gli altri frammenti del narrato di J restano sprovvisti di elementi di conferma nel contesto investigativo.

2.2.1. Bastava pensare, anzitutto, all'assenza di tracce sull'asfalto del riferito colpo di fucile che il dichiarante avrebbe sparato a scopo intimidatorio: conclusione non smentita dal ritrovamento, in data 8.4.2020 (quindi, a due mesi dal fatto), poco distante dal luogo del delitto, di una borra di cartuccia parzialmente interrata, considerato che il teatro del duplice omicidio è zona di caccia (consentita nel periodo dei fatti) e, dunque, frequentata da numerosi cacciatori.

2.2.2. Non erano state rinvenute nemmeno le ulteriori armi da taglio - coltello e roncola - asseritamente brandite dai MIRABELLO e poi abbandonate dal MRRAS dietro a un cespuglio (unitamente al fucile): il coltello citato da un confidente, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non poteva, allo stato, identificarsi nel pugnale rinvenuto da M S, dietro un cespuglio, e riconosciuto come quello un tempo regalato a M M, poi sequestrato dai Carabinieri, posto che quest'ultimo, secondo quanto riferito da PIANO L e dal figlio D in sede di s.i.t., non corrispondeva per fattezze a quello stesso coltello regalato dal MURA a M D (e non a M).

2.2.3. Le stesse evidenze scientifiche sulle tracce ematiche rinvenute sulla scena del crimine nonché sul pannello interno dello sportello lato guidatore della Fiat PANDA in uso a M M sconfessavano la versione di J, che descriveva il figlio come un osservatore passivo anziché un complice attivo nell'omicidio e nella soppressione del cadavere dei MIRABELLO.

2.2.3.1. Militava in tal senso - secondo il ragionamento del Tribunale sardo - anzitutto il dato obiettivo della distanza di metri 18,20 tra i due versamenti ematici più copiosi (sangue pacificamente appartenente alle vittime), palesemente incompatibile con la dinamica descritta da J - secondo cui i due fratelli erano vicini a lui durante l'aggressione - ma che rendeva ben più probabile, ancora una volta, l'ipotesi accusatoria, nel senso che uno dei fratelli, verosimilmente M, anziché avventarsi con una roncola sul MRRAS, armato di fucile, si fosse invece dato alla fuga, per poi essere "finito" da un secondo uomo, l'unico presente sul luogo, assieme a J, ossia il figlio M. L'assenza sul vestiario delle vittime di ulteriori strappi o lacerazioni non appariva elemento decisivo di riscontro alle affermazioni del MRRAS, atteso che l'assenza nei cadeveri di tessuti molli e dei visceri, determinata dal pessimo stato di conservazione, unitamente all'interrogativo irrisolto sulle cause del decesso di M, non consentivano di escludere che quest'ultimo fosse stato attinto anche da fendenti, con le armi da taglio indicate, che avevano concorso a cagionarne la morte. Non disarticolava tale ragionamento l'analisi delle macchie di sangue fatta dal difensore. Risultava, invero, ictu QCUii difficilmente ipotizzabile che il distanziamento delle chiazze ematiche più grandi o della cd. serpentina di gocce di sangue, presenti sull'asfalto, fosse frutto del trascinamento dei corpi senza vita da parte del solo J. Ciò per l'evidente ragione che le tracce ematiche avrebbero avuto differenti forma (non rotondeggiante, ma più simile a una scia) e dimensione (il trascinamento di un copro insanguinato incrementava la superficie intrisa di sangue).Né, infine, poteva essere addotta, a riprova della tesi del trascinamento dei corpi, la circostanza che in occasione del loro ritrovamento, nella loc. "Sa Pranitta", alcuni indumenti risultassero sfilati - come riferito dal MRRAS - considerato il pessimo stato in cui furono ritrovati i cadaveri, orribilmente mutilati dagli animali selvatici della zona, la cui azione aveva, con ogni probabilità, inciso sulla originaria posizione di tali-indumenti.
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