Cass. pen., sez. III, sentenza 20/03/2023, n. 11558
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da P M A, nato a Milano il 17/03/1972 avverso la sentenza del 18/03/2022 della Corte di Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere C C;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Domenico A.R. Seccia, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 marzo 2022 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del 23 febbraio 2021 del Tribunale di Pavia, in forza della quale M A P, nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. Titano Costruzioni, era stato condannato alla pena di anni uno mesi due di reclusione per il reato di cui all'art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 relativamente agli anni d'imposta 2013 e 2014, con confisca per equivalente fino a concorrenza di euro 561.882,43. 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su cinque complessi motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo il ricorrente, allegando erronea applicazione della legge penale e vizio motivazionale in relazione alla sussistenza del reato di omessa dichiarazione, ha anzitutto richiamato il metodo induttivo - analitico cui era ricorsa la Guardia di finanza al fine di ricostruire il reddito imponibile della società Titano Costruzioni, in tesi fondato su documentazione societaria non contestata, dalla quale non si evinceva quanto sostenuto dalla difesa circa l'effettività delle perdite su crediti in ragione dei mancati pagamenti da parte dei clienti. Al contrario, come dedotto con l'atto di appello, gli operanti avevano commesso numerosi errori in relazione agli elementi positivi e negativi di reddito, dal momento che, al contrario, gli ingenti costi di esercizio avevano comportato rilevante perdita economica e una conseguente perdita fiscale. Ciò posto, la sentenza impugnata - che aveva disatteso la deposizione della commercialista O in quanto fondata su bozze di bilancio e su documentazione inidonea, rispetto a quanto ricostruito dagli operanti sulla base dei dati reperiti - aveva errato quanto all'applicazione del principio di cassa e non di competenza, applicabile alle società di capitali come quella rappresentata dal ricorrente;
nonché in ordine ai conteggi delle note di credito e alla determinazione dei costi per il personale. In generale, peraltro, andavano smentite le affermazioni secondo cui le bozze di bilancio fossero fondate su documentazione non idonea, dal momento che i dati di bilancio erano stati ricavati dalle scritture contabili sulle quali le registrazioni erano state correttamente eseguite, come si evinceva dall'analitica indicazione dei costi del personale nonché dall'indicazione delle svalutazioni sui crediti. In realtà i ricavi accertati coincidevano con quanto indicato nelle bozze di bilancio, e ulteriore documentazione avrebbe solamente comportato un aumento dei costi. Era stata quindi la difesa a produrre dati oggettivi in luogo degli errori degli operanti, e le perdite di esercizio in realtà abbattevano completamente la base imponibile.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha lamentato l'illogicità manifesta della sentenza quanto all'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Per un verso la motivazione doveva ritenersi apodittica, non spiegando le ragioni dell'inutilità di detto richiesto incombente (i prospetti della dottoressa O erano stati infatti compilati dopo l'esame testimoniale in primo grado), e dall'altro tale documentazione era stata ritenuta non sufficientemente chiara e probante. La norma di cui all'art. 603, comma 1, cod. proc. pen. era appunto applicabile in ipotesi siffatte.
2.3. Col terzo motivo è stata allegata l'illogicità manifesta della sentenza in relazione alla regola di giudizio del ragionevole dubbio. In particolare, doveva ritenersi sufficiente che la tesi antagonista rispetto a quella della pubblica accusa non fosse meramente congetturale, ed anzi i dati processuali davano conto della tesi alternativa, quanto alle perdite ed ai mancati incassi. D'altronde, quanto all'illogicità della motivazione, doveva ritenersi che anche la ricostruzione della Guardia di finanza era stata compiuta con dati parziali e quindi col metodo induttivo, e la tesi alternativa trovava ampio supporto documentale e dichiarativo negli atti processuali.
2.4. Col quarto motivo, quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo, la sentenza impugnata aveva riconosciuto che il P non era comunque il reale amministratore della società, sostenendo peraltro che lo stesso imputato dovesse comunque rispondere in ragione della sua posizione formale. In tal modo vi sarebbe stata compatibilità del dolo specifico di evasione col dolo eventuale, dal momento che sarebbe stato accettato il rischio connesso alla carica formalmente ricoperta. Al contrario doveva invece ritenersi che la peculiare finalità sottesa al dolo specifico risultava incompatibile con la mera accettazione del rischio, ed invero il mero prestanome in tanto poteva rispondere in concorso con l'amministratore di fatto in quanto ne avesse condiviso il medesimo elemento soggettivo. In specie la sentenza impugnata aveva ritenuto responsabile il ricorrente sulla base del solo dolo eventuale e sulla considerazione che egli avrebbe conosciuto, o avrebbe dovuto conoscere, compiti e responsabilità dell'amministratore di società. Mentre in concreto, data la situazione della società, mai avrebbe potuto accettare il rischio di commettere il reato di omessa dichiarazione fiscale. Al riguardo veniva semmai richiesta la devoluzione della questione alle Sezioni Unite, in relazione alla compatibilità tra dolo specifico e dolo eventuale.
2.5. Col quinto motivo infine, quanto alla ritenuta recidiva infra- quinquennale, la Corte territoriale, confermando la sentenza del primo Giudice, aveva omesso ogni motivazione specifica sul punto, limitandosi a sostenere che l'imputato meritava una sanzione più grave in quanto soggetto incline a sottrarsi ai doveri di carattere latarnente tributario. Nulla invece era stato verificato, se e in che misura la pregressa condanna avesse funzionato come comportamento criminogeno.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilità del ricorso.
4. La difesa ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso è infondato.
5.1. In relazione al primo profilo di doglianza, che in ogni caso è sostanzialmente replicato anche nel secondo e nel terzo motivo (sì che la relativa trattazione rimane necessariamente pressoché unitaria),
udita la relazione svolta dal consigliere C C;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Domenico A.R. Seccia, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 marzo 2022 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del 23 febbraio 2021 del Tribunale di Pavia, in forza della quale M A P, nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. Titano Costruzioni, era stato condannato alla pena di anni uno mesi due di reclusione per il reato di cui all'art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 relativamente agli anni d'imposta 2013 e 2014, con confisca per equivalente fino a concorrenza di euro 561.882,43. 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su cinque complessi motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo il ricorrente, allegando erronea applicazione della legge penale e vizio motivazionale in relazione alla sussistenza del reato di omessa dichiarazione, ha anzitutto richiamato il metodo induttivo - analitico cui era ricorsa la Guardia di finanza al fine di ricostruire il reddito imponibile della società Titano Costruzioni, in tesi fondato su documentazione societaria non contestata, dalla quale non si evinceva quanto sostenuto dalla difesa circa l'effettività delle perdite su crediti in ragione dei mancati pagamenti da parte dei clienti. Al contrario, come dedotto con l'atto di appello, gli operanti avevano commesso numerosi errori in relazione agli elementi positivi e negativi di reddito, dal momento che, al contrario, gli ingenti costi di esercizio avevano comportato rilevante perdita economica e una conseguente perdita fiscale. Ciò posto, la sentenza impugnata - che aveva disatteso la deposizione della commercialista O in quanto fondata su bozze di bilancio e su documentazione inidonea, rispetto a quanto ricostruito dagli operanti sulla base dei dati reperiti - aveva errato quanto all'applicazione del principio di cassa e non di competenza, applicabile alle società di capitali come quella rappresentata dal ricorrente;
nonché in ordine ai conteggi delle note di credito e alla determinazione dei costi per il personale. In generale, peraltro, andavano smentite le affermazioni secondo cui le bozze di bilancio fossero fondate su documentazione non idonea, dal momento che i dati di bilancio erano stati ricavati dalle scritture contabili sulle quali le registrazioni erano state correttamente eseguite, come si evinceva dall'analitica indicazione dei costi del personale nonché dall'indicazione delle svalutazioni sui crediti. In realtà i ricavi accertati coincidevano con quanto indicato nelle bozze di bilancio, e ulteriore documentazione avrebbe solamente comportato un aumento dei costi. Era stata quindi la difesa a produrre dati oggettivi in luogo degli errori degli operanti, e le perdite di esercizio in realtà abbattevano completamente la base imponibile.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha lamentato l'illogicità manifesta della sentenza quanto all'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Per un verso la motivazione doveva ritenersi apodittica, non spiegando le ragioni dell'inutilità di detto richiesto incombente (i prospetti della dottoressa O erano stati infatti compilati dopo l'esame testimoniale in primo grado), e dall'altro tale documentazione era stata ritenuta non sufficientemente chiara e probante. La norma di cui all'art. 603, comma 1, cod. proc. pen. era appunto applicabile in ipotesi siffatte.
2.3. Col terzo motivo è stata allegata l'illogicità manifesta della sentenza in relazione alla regola di giudizio del ragionevole dubbio. In particolare, doveva ritenersi sufficiente che la tesi antagonista rispetto a quella della pubblica accusa non fosse meramente congetturale, ed anzi i dati processuali davano conto della tesi alternativa, quanto alle perdite ed ai mancati incassi. D'altronde, quanto all'illogicità della motivazione, doveva ritenersi che anche la ricostruzione della Guardia di finanza era stata compiuta con dati parziali e quindi col metodo induttivo, e la tesi alternativa trovava ampio supporto documentale e dichiarativo negli atti processuali.
2.4. Col quarto motivo, quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo, la sentenza impugnata aveva riconosciuto che il P non era comunque il reale amministratore della società, sostenendo peraltro che lo stesso imputato dovesse comunque rispondere in ragione della sua posizione formale. In tal modo vi sarebbe stata compatibilità del dolo specifico di evasione col dolo eventuale, dal momento che sarebbe stato accettato il rischio connesso alla carica formalmente ricoperta. Al contrario doveva invece ritenersi che la peculiare finalità sottesa al dolo specifico risultava incompatibile con la mera accettazione del rischio, ed invero il mero prestanome in tanto poteva rispondere in concorso con l'amministratore di fatto in quanto ne avesse condiviso il medesimo elemento soggettivo. In specie la sentenza impugnata aveva ritenuto responsabile il ricorrente sulla base del solo dolo eventuale e sulla considerazione che egli avrebbe conosciuto, o avrebbe dovuto conoscere, compiti e responsabilità dell'amministratore di società. Mentre in concreto, data la situazione della società, mai avrebbe potuto accettare il rischio di commettere il reato di omessa dichiarazione fiscale. Al riguardo veniva semmai richiesta la devoluzione della questione alle Sezioni Unite, in relazione alla compatibilità tra dolo specifico e dolo eventuale.
2.5. Col quinto motivo infine, quanto alla ritenuta recidiva infra- quinquennale, la Corte territoriale, confermando la sentenza del primo Giudice, aveva omesso ogni motivazione specifica sul punto, limitandosi a sostenere che l'imputato meritava una sanzione più grave in quanto soggetto incline a sottrarsi ai doveri di carattere latarnente tributario. Nulla invece era stato verificato, se e in che misura la pregressa condanna avesse funzionato come comportamento criminogeno.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilità del ricorso.
4. La difesa ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso è infondato.
5.1. In relazione al primo profilo di doglianza, che in ogni caso è sostanzialmente replicato anche nel secondo e nel terzo motivo (sì che la relativa trattazione rimane necessariamente pressoché unitaria),
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