Cass. pen., sez. VI, sentenza 26/05/2023, n. 23259
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: L U, nato a Cosenza il 25/02/1957 avverso l'ordinanza del 27/09/202 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere E A G;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale R G che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avvocato G G che ha concluso insistendo per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. U L chiede l'annullamento del provvedimento con il quale il Tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riesame avverso l'ordinanza di applicazione della misura degli arresti domiciliari in relazione al reato di cui agli art. 110, 353, 416-bis.1 cod. pen. e 7 del decreto legislativo 159 del 2011. Al ricorrente è contestato, in concorso con D B, G C, Adolfo D'Ambrosio e I M di avere, mediante promessa e con intesa collusiva, turbato lo svolgimento dell'asta pubblica relativa ad un immobile acquistato dal C attraverso procedura telematica svoltasi davanti al giudice di pace di Cosenza, attraverso la successiva rinuncia inoltrata dal C in data 11 dicembre 2019 alla definizione del procedimento a seguito di intese promosse dal B e "patrocinate" dall'odierno ricorrente.
2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale per la ritenuta configurabilità del reato di cui all'art. 353 cod. pen. piuttosto che il meno grave reato di cui all'art. 354 cod. pen. (astensione dai pubblici incanti) e cumulativi vizi di motivazione. Risulta che G C si sia astenuto dal completare la procedura di aggiudicazione dell'immobile a seguito delle pressioni, e in conseguenza del timore, ingeneratogli da Adolfo D'Ambrosio, come dallo stesso C dichiarato. Ne consegue che G C non è concorrente nel reato ma persona offesa e che il ricorrente, ingeritosi nella vicenda perché amico del C, non è stato autore della condotta illecita ma mero intermediario intervenuto in funzione di tutela della persona offesa che aveva già "accompagnato" nel procedimento di acquisto e dei suoi interessi per fargli conseguire il rimborso della caparra versato. Le conclusioni dell'ordinanza impugnata sono contraddittorie rispetto alle descritte emergenze indiziarie e non esaminano le risultanze delle investigazioni difensive (le dichiarazioni rese dal C e dalla moglie). Analogo vizio di violazione di legge è ravvisabile nella ritenuta configurabilità dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa (art. 416-bis.1 cod. pen.), non sussistendo il consapevole contributo del ricorrente di avvantaggiare l'associazione, risultato, peraltro, smentito dalla circostanza che era stata restituita la caparra corrisposta dal C. Denuncia, infine, violazione di legge e vizio di motivazione, nonché sua carenza, per la ritenuta sussistenza di esigenze
udita la relazione svolta dal consigliere E A G;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale R G che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avvocato G G che ha concluso insistendo per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. U L chiede l'annullamento del provvedimento con il quale il Tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riesame avverso l'ordinanza di applicazione della misura degli arresti domiciliari in relazione al reato di cui agli art. 110, 353, 416-bis.1 cod. pen. e 7 del decreto legislativo 159 del 2011. Al ricorrente è contestato, in concorso con D B, G C, Adolfo D'Ambrosio e I M di avere, mediante promessa e con intesa collusiva, turbato lo svolgimento dell'asta pubblica relativa ad un immobile acquistato dal C attraverso procedura telematica svoltasi davanti al giudice di pace di Cosenza, attraverso la successiva rinuncia inoltrata dal C in data 11 dicembre 2019 alla definizione del procedimento a seguito di intese promosse dal B e "patrocinate" dall'odierno ricorrente.
2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale per la ritenuta configurabilità del reato di cui all'art. 353 cod. pen. piuttosto che il meno grave reato di cui all'art. 354 cod. pen. (astensione dai pubblici incanti) e cumulativi vizi di motivazione. Risulta che G C si sia astenuto dal completare la procedura di aggiudicazione dell'immobile a seguito delle pressioni, e in conseguenza del timore, ingeneratogli da Adolfo D'Ambrosio, come dallo stesso C dichiarato. Ne consegue che G C non è concorrente nel reato ma persona offesa e che il ricorrente, ingeritosi nella vicenda perché amico del C, non è stato autore della condotta illecita ma mero intermediario intervenuto in funzione di tutela della persona offesa che aveva già "accompagnato" nel procedimento di acquisto e dei suoi interessi per fargli conseguire il rimborso della caparra versato. Le conclusioni dell'ordinanza impugnata sono contraddittorie rispetto alle descritte emergenze indiziarie e non esaminano le risultanze delle investigazioni difensive (le dichiarazioni rese dal C e dalla moglie). Analogo vizio di violazione di legge è ravvisabile nella ritenuta configurabilità dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa (art. 416-bis.1 cod. pen.), non sussistendo il consapevole contributo del ricorrente di avvantaggiare l'associazione, risultato, peraltro, smentito dalla circostanza che era stata restituita la caparra corrisposta dal C. Denuncia, infine, violazione di legge e vizio di motivazione, nonché sua carenza, per la ritenuta sussistenza di esigenze
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