Cass. pen., sez. III, sentenza 20/03/2020, n. 10397
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a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da C G nato a Bovalino il 27/04/1963 avverso la ordinanza del 11/07/2019 del Tribunale di Reggio Calabria;visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere G N;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dr. L C, che ha concluso chiedendo la dichiarazidne di inammissibilità del ricorso;udito il difensore, avv. S F che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 11 luglio 2019, il Tribunale di Reggio Calabria, sezione del riesame, adito ai sensi dell'art. 309 del codice di rito avverso il provvedimento con cui il gip del medesimo tribunale, in data 15.5.2019 aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di G C (in relazione alle provvisorie incolpazioni di cui ai capi a) c) e) e1) f) e g)) , confermava l'ordinanza impugnata. 2. Avverso la pronuncia del tribunale della cautela propone ricorso per cassazione C G mediante il proprio difensore, deducendo quattro motivi di impugnazione. 3. Deduce con il primo i vizi di cui all'art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 73 DPR 309/90 e 110 cod. pen., 23 L. 110/75 e 648 cod. pen. Sarebbe illogica la motivazione relativa ai gravi indizi inerenti i fatti di cui ai capi el) ed f), secondo cui il ricorrente sarebbe utilizzatore esclusivo del terreno adibito a piantagione di sostanza stupefacente, per assenza di dati oggettivi illustrativi di una condotta del C afferente la piantagione medesima, atteso che invece l'unico elemento valorizzato sarebbero le dichiarazioni di C Bruno, oltre ad alcune deduzioni elaborate in maniera illogica dai giudici del riesame rispetto ad indizi privi di precisione e gravità, taluni anche esclusi nei confronti di altri indagati, ovvero non adeguatamente inquadrati nei loro contesti temporali (come il riferito consumo di qualche birra nei pressi del luogo in questione). Né sarebbe rilevante una conversazione intercettata, il cui significato di ritenuta pregnanza criminale sarebbe il frutto di un viziato ragionamento "circolare" che parte dalla presunzione per cui il C parlava di sostanza stupefacente, disponendo di una piantagione della stessa. Quanto alla detenzione delle armi, il tribunale non avrebbe considerato alcuni dati quali l'assenza di perimetrazione, la presenza nei pressi del luogo ove erano collocate, di due strade e di abitazioni, che osterebbero alla formulazione di un giudizio di gravità indiziaria. 4. Rappresenta con il secondo motivo i vizi di cui all'art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all'art. 74 comma 2 DPR 309/90 e 273 cod. proc. pen. con riguardo al capo a) di incolpazione. Mancherebbero in motivazione gli indicatori necessari per la corretta individuazione di una condotta inserita in un contesto associativo ex art. 74 del DPR 309/90. Vi sarebbe solo una inammissibile presunzione per cui la coltivazione di piazzole di sostanze stupefacente di cui al capo c), oggetto di dichiarazioni confessorie da parte del ricorrente, dovrebbe essere necessariamente inserita nel contesto dei fatti associativi di cui al capo a). Del resto mancherebbe anche la prova per cui la sostanza così coltivata sarebbe stata poi destinata alla filiera riconducibile del contesto associativo ricostruito. Mancherebbero quindi elementi concreti per trasformare un concorso di persone in un'associazione per delinquere in assenza di indizi circa la sussistenza di un accordo stabile volto alla coltivazione di più piazzole di sostanza stupefacente. Peraltro sarebbe assente ogni dato idoneo a suffragare la tesi del ruolo di individuatore di piazzole per la piantagione di canapa attribuito dai giudici al ricorrente, all'interno dell'associazione rinvenuta. Come anche mancherebbe ogni elemento a supporto della tesi per cui la fase della commercializzazione dello stupefacente sarebbe affidata ad altri sodali. La motivazione sarebbe illogica anche alla luce di decisioni del gip attributive al C della semplice attività di coltivatore e non di "individuatore", come anche di quella di esonerarlo da responsabilità in relazione al capo h). 5. Rappresenta con il terzo motivo i vizi di cui all'art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all'art. 59 e 74 comma 4 DPR 309/90 e 192 125 comma 3 273 cod. proc. pen. La considerazioni dei giudici del tribunale per cui le armi in contestazione e di cui alla aggravante dell'art. 74 comma 4 DPR 309/90 sarebbero state usate per scopi venatori, si porrebbe in contrasto con la necessità per cui la relativa configurazione di tale circostanza presupporrebbe la disponibilità delle armi in capo a tutti gli associati e non solo di alcuni. Manca la motivazione altresì circa la consapevolezza della esistenza di armi in seno alla associazione, oltre ad emergere la mancata risposta ai rilievi difensivi proposti. 6. Rappresenta con il quarto motivo i vizi di cui all'art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 274, 275 e 125 comma 3 cod. proc. pen. I giudici non avrebbero tenuto conto delle dichiarazioni parzialmente confessorie rese dal C in sede di riesame per valutare le esigenze cautelari, al contrario escludendo ogni circostanza sintomatica di resipiscenza o quantomeno collaborazione in capo al C. Sarebbero stati altresì silenti sull'intervallo di tempo intercorso tra i fatti e la data di applicazione della misura, a fronte di un periodo di attività della ritenuta associazione pari ad oltre 20 mesi prima della esecuzione della misura custodiale. Sarebbe altresì contraddittoria la motivazione, laddove pur escludendo che il C si sia mai dedicato alla commercializzazione dello stupefacente sostiene che se assegnato agli arresti domiciliari potrebbe cedere droga a singoli acquirenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo dedotto, relativo alla motivazione inerente gravi indizi per i fatti di cui ai capi e1) ed f), appare manifestamente infondato. Con particolare riferimento al capo el) di cui al reato ex art. 73 DPR 309/90, il tribunale ha innanzitutto premesso come si tratti della stessa area effigiata in foto - trappole rinvenute in occasione del sequestro della piantagione di cui al capo b), e comprensive delle immagini, presso la predetta zona (per la quale è contestazione al capo c) relativamente al quale C G ha ammesso gli addebiti), tra gli altri, di Pizzata Marco, C Francesco, Andrea Bruno Paolo e C G, ripresi mentre erano intenti a coltivare la sostanza stupefacente. Da tale circostanza, confortata dalla presenza presso la piantagione di cui al capo el) ispezionata dalla p.g., del medesimo albero di ulivo raffigurato nelle predette foto - trappola, già emerge quindi la conferma della utilizzazione per la coltivazione di marijuana nel 2016, da parte di vari coindagati e, per quanto di interesse, da parte di C G. Si aggiunge la circostanza per cui si tratta di terreno nella piena disponibilità della famiglia C, stante la presenza, alla luce delle sit rese da C Bruno in presenza del difensore, di bestiame di proprietà e atteso l'utilizzo del medesimo terreno per il pascolo di una capra oltre che per intrattenersi - insieme, C Bruno e G - per bere qualche birra. Il quadro indiziario si arricchisce di una intercettazione intercorsa tra C Bruno e G in cui i due parlano di recarsi "là per l'erba", dialogo congruamente ritenuto dal tribunale come riscontrante i dati prima illustrati siccome in linea con gli stessi;laddove la tesi del riferimento ad altro tipo di "erba" ovvero a piante foraggere, viene confutata dal collegio della cautela attraverso una attenta e ragionevole analisi della conversazione, valorizzante sia il carattere "monco" della frase, tale da non potere essere certamente riferita alla predetta pianta piuttosto che ad una specificazione dei luoghi da raggiungere, sia l'immediata interruzione della stessa ad opera di C Bruno, sintomatica, secondo il tribunale, di timori correlati alla esistenza di eventuali operazioni tecniche in corso. Si tratta invero di un adeguato complesso indiziario idoneo a confortare l'ipotesi accusatoria di cui al capo el) a carico del ricorrente. Rispetto al quale rileva altresì la valorizzazione da parte del tribunale delle dichiarazioni che avrebbe reso, nell'immediatezza e spontaneamente, C Bruno, a carico di C G, in ordine alla gestione della piantagione in esame. Quanto poi alla attribuzione a C G della detenzione e porto in luogo pubblico di sei armi clandestine, sub specie di fucili da caccia, di cui al capo f), acclarata la corretta riconduzione al medesimo della piantagione di cui al capo el), appare pienamente logica e ragionevole l'attribuzione, in concorso, anche delle condotte relative ai predetti sei fucili sul rilievo sia del loro rinvenimento nell'area della piantagione - risultando inverosimile l'occultamento di armi, da parte di terzi, di armi, in zona frequentata e gestita dai protagonisti della illecita coltivazione - sia della intercettazione di conversazioni relative alla effettuazione di battute di caccia da parte di soggetti, tra cui il C G, peraltro privi di licenza ad usarle. Rispetto a tale organica e lineare ricostruzione le deduzioni difensive si traducono nella mera diversa lettura di dati indiziari, priva della capacità di rappresentare vizi giuridicamente rilevanti, e come tale inammissibile in questa sede, atteso che l'epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, M, Rv. 265482;Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, B, Rv. 234148;Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, D V, Rv. 235507). La Suprema Corte ha altresì ribadito, con specifico riferimento alla fase della cautela, tale principio, laddove ha precisato che il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del tribunale del riesame, essendo, invece, circoscritto all'esame dell'atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 9212 del 02/02/2017 Rv. 269438 - 01 Sansone).
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