Cass. pen., SS.UU., sentenza 04/06/2019, n. 24906
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ato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da S A, nata a Atessa il 19/06/1969 avverso la sentenza del 06/04/2016 della Corte di appello dell'Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria depositata dalla ricorrente;udita la relazione svolta dal Consigliere C Z;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale P F, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione, e per il rigetto del ricorso agli effetti civili;udito il difensore della parte civile P C, avv. A U, che ha concluso per il rigetto del ricorso depositando nota spese;udito il difensore di A S, avv. M P B, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;RITENUTO IN FATTO 1. A S ricorreva avverso la sentenza del 6 aprile 2016 con la quale la Corte di appello dell'Aquila, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lanciano del 17 luglio 2014, aveva confermato l'affermazione di responsabilità della Sorge per il reato di falso ideologico in atto pubblico di fede privilegiata di cui agli artt. 479 e 476, comma 2, cod. pen., commesso il 19 giugno 2006, così riqualificato in primo grado il reato originariamente contestato nella violazione dell'art. 476, comma 1, cod. proc. pen., riconoscendo in favore della stessa circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, rideterminando la pena e concedendo alla Sorge i benefici di legge. La responsabilità dell'imputata era stata in particolare affermata per la falsa attestazione, quale presentatore di tre titoli cambiari emessi da P C in favore di P T e successivamente protestati, di essersi recata presso il domicilio indicato nei titoli e di avervi provveduto alle ricerche del debitore. 2. La ricorrente proponeva nove motivi. 2.1. Con i primi due motivi deduceva violazione di legge sul rigetto dell'eccezione di nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio di correlazione fra l'imputazione e la condanna, e in particolare che: - l'ipotesi aggravata del falso commesso in un atto di fede privilegiata, per la quale il Tribunale riteneva l'imputata responsabile, non era contestata nell'imputazione laddove nella stessa l'atto oggetto del falso non era specificato e comunque, nel momento in cui si precisava che i titoli venivano protestati solo successivamente, era indicato in un atto diverso da quello di protesto, e quindi necessariamente nell'attività di ricerca del debitore e di ricezione delle dichiarazioni dello stesso;- la motivazione della sentenza impugnata era meramente apparente, nel riferimento alla contestazione della commissione del falso nell'attività di presentatore delle cambiali, a fronte dell'argomentazione dell'appello con la quale si contestava che l'atto di cui all'imputazione fosse quello di protesto e che, comunque, si trattasse di un atto di fede privilegiata;- la riqualificazione in tal modo operata violava il contraddittorio secondo i principi stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria. 2.2. Con il terzo motivo deduceva violazione di legge sulla ritenuta qualità di pubblico ufficiale dell'imputata, e in particolare che: - tale qualità non era accertata e non ricorreva comunque nella figura del presentatore di titoli cambiari, considerato che l'equiparazione di tale figura al pubblico ufficiale è prevista dall'art. 2 della legge 12 giugno 1973, n. 349 ai limitati fini delle disposizioni di cui al secondo titolo del secondo libro del codice penale, che non comprende i reati di falso;- l'argomentazione della sentenza impugnata, per la quale nel predetto titolo è incluso l'art. 357 cod. pen. che detta la nozione di pubblico ufficiale, non considerava il chiaro rinvio dell'art. 2 legge n. 349 del 1973 alle sole norme incriminatrici presenti nel titolo in esame, introducendo erroneamente un secondo rinvio per effetto dell'art. 357, che ha carattere esclusivamente definitorio. 2.3. Con il quarto motivo e il quinto motivo deduceva vizio motivazionale sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, e in particolare che: - secondo la stessa ricostruzione dei fatti accolta nella sentenza impugnata, l'imputata eseguiva un accertamento telefonico parlando con la moglie del C e apprendendo dalla stessa che il marito non aveva la disponibilità economica necessaria per onorare i titoli;- la prova del dolo era ritenuta in violazione del principio del ragionevole dubbio. 2.4. Con il sesto e il settimo motivo deduceva violazione di legge sulla qualificazione giuridica del fatto, che, difettando nell'imputata la posizione di pubblico ufficiale per quanto detto in precedenza, doveva essere ricondotta all'ipotesi di cui all'art. 483 cod. pen., per la quale il termine di prescrizione era decorso precedentemente alla sentenza impugnata. 2.5. Con l'ottavo motivo deduceva l'intervenuta prescrizione del diritto risarcitorio della parte civile, e in particolare che: - il rinvio a tali fini dell'art. 2947, comma 3, cod. civ. alla prescrizione prevista per il reato doveva intendersi riferito ai soli termini previsti dall'art. 157 cod. pen. e non anche al prolungamento di detti termini per effetto degli atti interruttivi stabilità dall'art. 160 cod. pen., essendo pertanto il termine prescrizionale pari nella specie a sei anni, sia che il fatto fosse riqualificato ai sensi dell'art. 483 cod. pen. per quanto detto al punto precedente, sia che lo stesso fosse mantenuto nell'originaria imputazione non aggravata dalla natura dell'atto;- il termine di cui sopra era decorso al momento in cui la costituzione di parte civile era presentata all'udienza preliminare il 17 settembre 2012. 2.6. Con il nono motivo deduceva vizio motivazionale sulla ritenuta sussistenza del danno risarcibile, e in particolare che:- l'esistenza quanto meno di un danno morale non era provata e neppure allegata dalla parte civile, essendo la motivazione della sentenza impugnata apparente nel riferimento alla ravvisabilità in re ipsa di un danno siffatto;- altrettanto apparente era la motivazione per cui un danno all'immagine e un principio di danno patrimoniale potevano essere individuati nella documentazione prodotta dalla parte civile con riguardo al rifiuto di linee di credito e di forniture commerciali derivanti dall'inserimento del C nell'elenco dei soggetti protestati, a fronte della deduzione difensiva di insufficienza di detta documentazione. 3. La parte civile P C depositava memoria a sostegno della richiesta di rigetto del ricorso. 4. Con ordinanza del 4 dicembre 2018 la Quinta Sezione penale di questa Corte, investita della decisione sul ricorso, rilevava l'esistenza di due opposti indirizzi giurisprudenziali sulla questione, che si considerava posta con il primo motivo di impugnazione, relativa alla legittimità di una contestazione in fatto della circostanza aggravante della natura fidefacente dell'atto oggetto della condotta di falso, prevista dall'art. 476, comma 2, cod. pen. Osservava in particolare che, per il primo di tali indirizzi, l'aggravante non può essere ritenuta ove la stessa non sia esplicitamente contestata, quanto meno mediante sinonimi o formule equivalenti;e che invece, per il secondo orientamento, l'aggravante deve ritenersi validamente contestata ove la natura fidefacente dell'atto, pur se non espressamente indicata, emerga inequivocabilmente dalla tipologia dell'atto stesso. Rimetteva pertanto il ricorso alle Sezioni Unite per la soluzione del contrasto. 5. Con decreto del 31 gennaio 2019 il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissandone la trattazione per l'odierna udienza. 6. La ricorrente, in data 8 aprile 2019, ha depositato memoria a sostegno dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La questione rimessa alle Sezioni Unite è posta nei seguenti termini: "Se possa essere ritenuta in sentenza dal giudice la fattispecie aggravata del reato di falso in atto pubblico, ai sensi dell'art. 476, comma 2, cod. pen., qualora la natura fide facente dell'atto considerato falso non sia stata esplicitamente contestata ed esposta nel capo di imputazione".2. L'oggetto della questione, così come appena prospettata, può essere indicato in forma essenziale nella ammissibilità o meno di una contestazione in fatto della circostanza aggravante prevista dall'art. 476, comma 2, cod. pen.;ove per «contestazione in fatto» si intende, e si intenderà nel seguito - in conformità ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità con particolare riguardo alle circostanze aggravanti - una formulazione dell'imputazione che non sia espressa nell'enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell'indicazione della specifica norma di legge che la prevede, ma riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie, consentendo all'imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi (Sez. 1, n. 51260 del 08/02/2017, Archinito, Rv. 271261;Sez. 6, n. 4461 del 15/12/2016, dep. 2017, Quaranta, Rv. 269615;Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, Chatbi, Rv. 255793;Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, Diaji, Rv. 253776;Sez. 5, n. 38588 del 16/09/2008, Fornaro, Rv. 242027). Si tratta di una questione sottesa ai due primi motivi del ricorso, anche se per il vero non esplicitamente dedotta negli stessi, incentrati sull'eccezione di nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio di correlazione fra l'imputazione e la condanna. Le censure proposte sul punto investono infatti, in primo luogo, la stessa configurabilità di una contestazione dell'aggravante in esame, sia pure in fatto, nell'imputazione formulata a carico della Sorge;che la ricorrente esclude sia per la riferibilità della condotta descritta in detta imputazione ad atti non specificati o comunque diversi dal protesto delle cambiali, sia, in ogni caso, per l'impossibilità di ricondurre tale condotta ad un falso commesso in atti fidefacenti. Su questa tematica, tuttavia, il ricorso non si confronta con le argomentazioni complessivamente svolte nelle due sentenze di merito in ordine alla descrizione della condotta contestata ed alle relative implicazioni giuridiche. Nella sentenza impugnata, in particolare, richiamato il tenore letterale dell'imputazione ove la stessa addebitava all'imputata di avere «in qualità di presentatore dei titoli cambiari [...] ricevendo un atto nell'esercizio delle sue funzioni di pubblico ufficiale, attestato falsamente di essersi recata nel luogo e nel domicilio indicati nei suddetti effetti nonché di aver proceduto alle ricerche del debitore», si osservava che alla Sorge era puntualmente contestata una condotta di falso realizzata nello svolgimento dell'attività di presentatore degli effetti cambiari, segnatamente nei compiti relativi alle ricerche da effettuarsi presso il domicilio del debitore, e si richiamavano i principi giurisprudenziali sull'attribuzione di fede privilegiata agli atti formati nell'espletamento di tali funzioni. Per quest'ultimo aspetto la decisione della Corte territoriale deve ritenersi integrata dalle considerazioni della sentenza di primo grado sulla qualificazione giuridica delle attestazioni del presentatore degli effetti cambiari in ordine alle ricerche eseguite presso il domicilio del debitore ed alle dichiarazioni dallo stesso rese in quella sede. Il Tribunale ricostruiva infatti la posizione del presentatore, in conformità a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, quale concorrente con quella del notaio nella formazione dell'atto di protesto, nelle attività rispettivamente attribuite dalla legge al presentatore quanto alla richiesta di pagamento ed all'acquisizione delle dichiarazioni del debitore, ed al notaio quanto all'accertamento del mancato pagamento e all'elevazione del protesto;derivandone, con riguardo alla figura del presentatore, che le attestazioni dello stesso acquisiscono autonoma rilevanza nell'ambito dell'atto di protesto (Sez. 5, n. 8303 del 17/06/1986, Carlevalis, Rv. 173590). Questa conclusione è del resto conforme al chiaro contenuto della normativa speciale sulla funzione del presentatore degli effetti cambiari. L'art. 4, secondo comma, legge 12 giugno 1973, n. 349 (Modificazioni alle norme sui protesti della cambiali e degli assegni bancari), prevede infatti testualmente che l'atto di protesto «fa piena prova, ai sensi dell'articolo 2700 del codice civile, anche delle dichiarazioni del debitore e degli altri fatti che il presentatore riferisce avvenuti in sua presenza o da lui compiuti»;ciò dopo aver coerentemente premesso che l'atto deve essere sottoscritto anche dal presentatore. La dichiarazione di quest'ultimo ha pertanto una sua propria funzione attestativa, evidenziata dall'autonoma sottoscrizione del dichiarante;e tuttavia costituisce parte integrante dell'atto di protesto (come esplicitamente rilevato in motivazione nella citata sentenza Carlevalis), al quale la norma attribuisce direttamente la piena funzione probatoria di quanto riportato dal presentatore. Detta dichiarazione partecipa dunque della natura fidefacente che dell'atto di protesto è indiscutibilmente propria secondo quanto affermato dalla Corte Suprema (per tutte v. Sez. 5, n. 5274 del 20/02/1996, Panzitta, Rv. 205064), con la conseguente ravvisabilità del reato di falso ideologico in atto pubblico di fede privilegiata là dove, come nel caso di specie, il presentatore attesti, contrariamente al vero, di aver svolto le proprie ricerche presso il domicilio del debitore (Sez. 5, Carlevalis, cit.). Ne segue l'infondantezza dell'affermazione della ricorrente per la quale alla Sorge non sarebbe stata contestata in fatto l'ipotesi aggravata di cui all'art. 476, comma 2, cod. pen. attraverso l'indicazione nell'imputazione di una condotta di falso commessa in un atto fidefacente e, in particolare, nell'atto di protesto;emergendo viceversa tale indicazione dal riferimento alla realizzazione del falso in un'attività, quella del presentatore degli effetti cambiari, che dell'atto di protesto è per quanto detto una componente essenziale.E' peraltro opportuno sottolineare che a tali conclusioni, con riguardo alla sussistenza di una contestazione in fatto dell'aggravante ed alla stessa configurabilità della circostanza, si giunge all'esito di un'articolata ricostruzione giuridica della figura e delle funzioni del presentatore dei titoli cambiari, attraverso l'esame della normativa speciale in materia. Una considerazione, questa, che meriterà nel seguito di essere rammentata.
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