Cass. civ., sez. III, sentenza 28/11/2007, n. 24762
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In relazione a giudizio d'appello introdotto con ricorso (nella specie, controversia agraria soggetta al rito del lavoro), il giudice - che abbia assegnato un termine per l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di convenuto rimasto contumace in primo grado ed al quale la notificazione del ricorso in appello non abbia potuto essere eseguita per essere deceduto - viola l'art. 184 bis cod. proc. civ. se non prenda in considerazione l'istanza con la quale l'appellante, richiedendo di essere rimesso in termini, allega l'impossibilità, a lui non imputabile, di eseguire nel termine assegnato la notificazione agli eredi collettivamente ed impersonalmente nell'ultimo domicilio del defunto per essere risultato che il destinatario della notifica era deceduto da oltre un anno.
La morte della parte contumace non produce automaticamente l'interruzione del processo, occorrendo invece che l'evento sia notificato o certificato dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notifica di uno degli atti previsti dall'art. 292 cod. proc. civ., senza che spieghi influenza la conoscenza acquisita "aliunde". Tale interruzione opera di diritto nel senso che si perfeziona nel momento dell'evento ovvero della sua notificazione, dichiarazione o certificazione indipendentemente da un provvedimento del giudice, il quale, però, è tenuto a provvedere non appena abbia notizia del perfezionamento della fattispecie interruttiva per evitare che sia illegittimamente svolta ulteriore attività processuale.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V P - Presidente -
Dott. D B - rel. Consigliere -
Dott. F G - Consigliere -
Dott. F N - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C G, LO CHIATTO RITA, elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA A ZOAGLI MAMELI 9 SC L, presso lo studio dell'avvocato G B, difesi dall'avvocato P G, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
G E;
- intimato -
e sul 2^ ricorso n 01675/04 proposto da:
G E, elettivamente domiciliato in ROMA V.LE DEI SS PIETRO E PAOLO 24, presso lo studio dell'avvocato P C, difeso dall'avvocato L U G, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
nonché contro
C G, LO CHIATTO RITA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 22/03 della Corte d'Appello di CATANZARO, sezione specializzata agraria, emessa il 14/06/03, depositata il 15/10/03, r.g. 154/03
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/10/07 dal Consigliere Dott. Bruno DURANTE;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Gaetano Cirillo e Michelina Procopio hanno adito la sezione specializzata agraria del tribunale di Vibo Valentia ed, assumendo di avere usucapito terreni intestati catastalmente ad Enrico G ed Enrica B, hanno chiesto la corrispondente declaratoria, previo accertamento dell'inesistenza di qualsiasi rapporto di natura agraria.
Il G si è opposto alla domanda;ha svolto domanda riconvenzionale di rilascio dei terreni e condanna delle controparti al pagamento dei canoni di affitto scaduti e non pagati;la B non si è costituita in giudizio.
La sezione adita, istruita la causa, ha rigettato la domanda attrice ed accolto quella riconvenzionale di rilascio dei terreni. Il Cirillo e la Procopio hanno proposto appello;il G ha resistito;a richiesta degli appellanti la sezione specializzata agraria della corte di appello di Catanzaro ha accordato termine per integrare il contraddittorio nei confronti degli eredi della B nel frattempo deceduta, fissando la nuova udienza di discussione;a tale udienza gli appellanti hanno dedotto di non avere potuto integrare il contraddittorio mediante notifica collettiva ed impersonale agli eredi, essendo la B deceduta il 29.10.2001, ed hanno chiesto un nuovo termine;la sezione ha pronunciato sentenza con la quale ha dichiarato inammissibile l'appello e compensato interamente le spese del grado, considerando che il termine accordato non è stato osservato e tanto a norma dell'art. 331 c.p.c., comma 2, applicabile nella specie, ha comportato inammissibilità dell'impugnazione senza che rilevino, per la natura perentoria del termine, eventuali cause ostative alla sua osservanza (forza maggiore o altro).
Il Cirillo e Rita Lo Chiatto, erede della Procopio, hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi;il G ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con un motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti (art. 335 c.p.c.). 2. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia "violazione ed errata applicazione dell'art. 300 c.p.c.";nella specie l'appello è stato proposto nei confronti del G e della B nelle forme previste dal rito lavoristico applicabile alle controversie agrarie e, cioè, mediante deposito del ricorso nella cancelleria del giudice "ad quem", sicché erroneamente i Giudici di appello hanno applicato il disposto dell'art. 331 c.p.c., che postula che l'impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte le parti necessarie del giudizio (cause inscindibili) e fa obbligo al giudice di ordinare l'integrazione del contraddittorio, sanzionando l'inosservanza dell'ordine con l'inammissibilità dell'impugnazione;dalla relata di notifica del ricorso di appello è risultato che la B, contumace nel giudizio di primo grado, è deceduta;riguardando l'evento interruttivo parte contumace, i giudici di appello avrebbero dovuto dichiarare l'interruzione del processo invece di ordinare l'integrazione del contraddittorio;la violazione dell'art. 300 c.p.c., che ne è seguita può essere denunciata, oltre che dagli
eredi della parte defunta, dalle altre parti che vi abbiano interesse, come per l'appunto i ricorrenti che a causa della mancata interruzione hanno subito la riduzione del tempo per individuare gli eredi e provvedere alla notifica dell'atto di impugnazione;peraltro, i ricorrenti non sono stati in grado di osservare il termine fissato per fatto ad essi non imputabile e precisamente per il ritardo con il quale il comune di Firenze ha spedito il certificato di morte della B.