Cass. pen., sez. II, sentenza 24/06/2019, n. 27816

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 24/06/2019, n. 27816
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 27816
Data del deposito : 24 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto nell'interesse di: R G, nato a Fano il 14.12.1942, contro la sentenza della Corte di Appello di Ancona dell'8.7.2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. P C;
udito il PM, nella persona del sostituto procuratore generale dott. S S, che ha concluso per il rigetto del ricorso. udito l'Avv. F D C, in sostituzione dell'Avv. E C, in difesa di G R, che ha concluso riportandosi al ricorso di cui ha chiesto l'accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza dell'8.7.2016 ha confermato quella con cui il Tribunale di Pesaro aveva riconosciuto G R responsabile dei reati di violazione di domicilio pluriaggravata ed estorsione aggravata in concorso sicché, esclusa la ipotesi di cui all'art. 116 cod. pen., ritenute altresì le circostanze attenuanti generiche giudicate equivalenti alle contestate aggravanti ed il vincolo della continuazione tra le varie ipotesi di reato, lo aveva condannato alla pena finale di anni 5 e mesi 9 di reclusione ed Euro 800 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;
aveva inoltre applicato le pene accessorie di legge e revocato l'indulto concesso in data 19.7.2007 dalla Corte di Appello di Roma ed in data 14.2.2007 dal Tribunale di Milano;

2. ricorre per Cassazione il R con ricorso sottoscritto dall'Avv. E C lamentando:

2.1 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 210 e 530 cod. proc. pen.: rileva come i coimputati per i fatti del 2.8.2009 in danno di P A risultano giudicati in separato procedimento nel quale, in conseguenza di una sua denuncia, rispondono anche di fatti di estorsione ai suoi danni;
segnala, quindi, come le dichiarazioni di costoro, acquisite ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen., fossero in realtà prive di alcuna effettiva valenza riproponendo, in questa, sede la propria versione dei fatti secondo cui egli sarebbe stato in realtà vittima di una "tranello" ordito da costoro per "incastrarlo" e ricattarlo essendo egli del tutto ignaro delle reali intenzioni con cui i malviventi si erano con lui recati presso l'Argalia dove avevano agito in maniera così repentina da non consentirgli alcuna reazione;
segnala che la Corte di Appello, pur avendo sostanzialmente condiviso questa ricostruzione, ha tuttavia, in maniera evidentemente illogica, avallato e confermato la decisione del Tribunale;

2.2 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 393 e 629 cod. pen.: richiama, sul punto, le censure difensive articolate con l'atto di appello in merito alla affermazione del Tribunale secondo cui egli non poteva vantare alcun diritto nei confronti dell'Argalia aggiungendo che la Corte territoriale ha preferito escludere il reato di cui all'art. 393 cod. pen. sotto altro e diverso profilo rispetto a quanto ritenuto dal Tribunale;
richiama, a tal fine, la deposizione dell'Argalia e la ricostruzione della vicenda contrattuale intervenuta tra costui e la ditta Fra.Rovi., il cui legale rappresentante è il di lui figlio, con la promessa di vendita rimasta inadempiuta dalla persona offesa sicché la riconsegna dell'immobile non poteva in alcun modo essere considerato un ingiusto profitto corrispondendo, invece, al pieno diritto di esso ricorrente;
ribadisce, ancora, l'insussistenza del delitto di estorsione sotto il profilo dell'elemento psicologico che aveva animato la sua condotta, finalizzata semplicemente al soddisfacimento ed alla realizzazione di un proprio preciso diritto;

2.3 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 116 e 629 cod. pen.: ribadisce come la stessa ricostruzione offerta dai coimputati (con particolare riferimento alle dichiarazioni di M S) conferma che la spedizione punitiva nei confronti dell'Argalia era stata organizzata da costoro al fine di poterlo successivamente ricattare e che egli non era certamente consapevole né si era prefigurato quale fosse la loro effettiva intenzione, sussistendo pertanto tutte le condizioni per riconoscere l'attenuante di cui all'art. 2 116 cod. pen. sollecitata dallo stesso Pubblico Ministero anche al fine di adeguare la pena alla effettiva gravità del fatto;

2.4 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 629 e 614 cod. pen.: sottolinea che la condotta di violazione di domicilio, esprimendo la natura minatoria e violenta del fatto di cui al capo b), doveva necessariamente ritenersi assorbita in quest'ultimo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I fatti sono stati ricostruiti dalle due sentenze di merito con valutazione conforme delle medesime emergenze processuali e sull'impulso offerto dalla denuncia dello stesso odierno ricorrente.

2. Il ricorso è in gran parte (ovvero relativamente ai primi tre motivi) inammissibile perché del tutto generico in quanto le censure ivi articolate riproducono e reiterano (in termini persino letterali) gli argomenti già prospettati nell'atto di appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente tuttavia non ha in alcun modo considerato e di cui non ha in sostanza tenuto conto al fine di confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato limitandosi, in maniera per l'appunto inammissibilmente generica, a lamentare una presunta ma inesistente carenza o illogicità della motivazione (cfr., per la inammissibilità del ricorso in quanto genericamente riproduttivo delle doglianze spese in appello, Cass. Pen., 3, 18.7.2014 n. 44.882, C;
Cass. Pen., 2, 29.1.2014 n. 11.951, Lavorato;
Cass. Pen., 6, 11.3.2009 n. 20.377, Arnone).

2.1 Quanto al primo ed al terzo motivo, infatti, la Corte (cfr., pagg.

9-10 della sentenza in verifica) ha risposto all'omologa censura articolata con l'atto di appello richiamando, da un lato, le dichiarazioni dei coimputati ma, per altro verso, e soprattutto, gli esiti della attività di captazione delle conversazioni intercorse tra costoro e che sono state ritenute - nel loro contenuto - pienamente in grado di corroborare la ipotesi ricostruttiva formulata dalla pubblica accusa con riguardo al ruolo ricoperto, alla iniziativa assunta ed alle finalità perseguite dall'odierno ricorrente. Il ricorso, dal canto suo, si è del tutto disinteressato della motivazione offerta dalla Corte con riguardo a questo profilo, essendosi la difesa limitata a ribadire la illogicità delle conclusioni cui i giudici di appello erano pervenuti partendo dalle dichiarazioni rese dai coimputati e di cui si è dedotta la inattendibilità senza, in realtà, tener conto del fatto che la verifica sul punto, imposta comunque dall'art. 192 comma 3 cod. proc. pen., era stata correttamente operata dai giudici di secondo grado che, a tal fine, avevano valorizzato proprio il dato desunto dalla attività di intercettazione del quale, tuttavia, il ricorso si è completamente disinteressato. Il terzo motivo è egualmente reiterativo di argomentazioni già spese con l'atto di appello e sulle quali, ancora una volta, la Corte di Appello ha motivato in maniera esaustiva e coerente con le emergenze fattuali di cui ha dato puntualmente conto laddove il ricorso si è nuovamente limitato a riproporre la tesi difensiva senza tener conto in alcun modo delle considerazioni svolte nella sentenza impugnata.
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