Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 18/07/2022, n. 22497
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Testo completo
la seguente L( SENTENZA sul ricorso 9571-2019 proposto da: Comune di Zelo Buon Persico, elettivamente domiciliato in Roma, piazza San Bernardo 101, rappresentato e difeso dall'Avv. G G;
- ricorrente -
contro
M C, elettivamente domiciliato in Roma, viale Cortina d'Ampezzo 190, rappresentato e difeso dall'Avv. C B;
- con troricorrente - 43-29 avverso la sentenza n. 1148/2018 della Corte d'appello di Milano, depositata il 17 settembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'11/05/2022 dal Consigliere D C;
letta la memoria depositata, ai sensi dell'art. 23, comma 8 bis, del d.l. n. 137 del 2020, conv., con modif., dalla n. 176 del 2020, dal P.M. in «q, persona del Sostituto Procuratore Generale R M, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO M C ha domandato al Tribunale di Lodi che fosse dichiarato nullo il licenziamento intimatogli il 14 novembre 2016 dal Comune di Zelo Buon Persico, con conseguente condanna al reintegro ed al risarcimento del danno patito a titolo di mobbing. M C era stato assunto nel :1986 dal Comune di Zelo Buon Persico, con il quale aveva poi concluso il 1° ottobre 2000 un nuovo contratto avente ad oggetto un rapporto individuale di lavoro a tempo pieno e indeterminato, ed aveva chiesto ed ottenuto, a partire dal 1° gennaio 2005, la trasformazione del rapporto di lavoro in questione da tempo pieno a part-time al 50%. Nel 2015 il Comune di Zelo Buon Persico aveva accertato che M C aveva in corso un ulteriore rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale con il Comune di Comazzo sin dal 1° dicembre 2011 e che tale circostanza non era stata mai comunicata. Il 14 novembre 2016 il Comune di Zelo Buon Persico ha comunicato a M C la risoluzione del rapporto di lavoro per avere assunto un incarico alle dipendenze di altro ente locale senza essere stato previamente autorizzato. Il Tribunale di Lodi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 119/2017, ha accolto il ricorso sul presupposto che M C, essendo impiegato a tempo parziale per 18 ore (al 50%), non fosse soggetto alla disciplina autorizzativa degli incarichi di cui all'art. 53, commi da 7 a 13, del d.lgs. n. 165 del 2001, trovando applicazione la c'eroga prevista dal precedente comma 6 del citato art. 53. Il Comune di Zelo Buon Persico ha proposto appello che la Corte d'appello di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1148/2018, ha respinto. Il Comune di Zelo Buon Persico ha presentato ricorso per cassazione sulla base di due motivi. M C ha resistito con controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente. Infatti, il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, al precedente rappresentato da Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010 non consente di ritenere inammissibile il ricorso, quantomeno perché la corte territoriale ha operato detto richiamo semplicemente per escludere l'esistenza di un divieto legislativo tout court per i dipendenti di enti locali di assumere un impiego presso un altro ente pubblico. La rado decidendí complessiva della pronuncia della Corte d'appello di Milano si fonda, piuttosto, non esclusivamente sul menzionato precedente, ma sull'esame della disciplina normativa vigente, in particolare dell'art. 1, comma 56, della legge n. 662 del 1996, letto in rapporto con l'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001. 2. Con il primo ed il secondo motivo che, stante la stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., dell"art. 1, commi 58, 60, 61 e 62, della legge n. 662 del 1996 e dell'art. 53, commi 1 e 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 perché la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere illegittimo il licenziamento in questione senza tenere conto della prospettata violazione dell'art. 1, commi 58, 60, 61 e 62, della legge n. 662 del 1996. Il Comune di Zelo Buon Persico evidenzia che la deroga all'esclusività del rapporto di lavoro pubblico privatizzato deve conformarsi ai limiti fissati dal citato art. 1, soprattutto a quelli indicati al comma 58, che vieta la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica, ed al successivo comma 58 bis, che prescrive che i dipendenti degli enti locali possano svolgere prestazioni per conto di altri enti previa autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza. Inoltre, sottolinea che il sistema delle incompatibilità concernenti il cumulo di impieghi del pubblico dipendente va ricostruito considerando che, ove quest'ultimo chieda di operare in regime di part-time, deve rispettare le condizioni, i presupposti e gli obblighi di lealtà e di completa e veritiera informazione. In particolare, precisa che l'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 fa riferimento agli incarichi e non, come avvenuto nella specie, a rapporti di pubblico impiego e che la corte territoriale non avrebbe tenuto conto che il controricorrente non aveva domandato di volere accedere al regime di part-time con il fine di assumere un altro impiego pubblico. Parte ricorrente prospetta, altresì, che l'art. 92 del d.lgs. n. 267 del 2000 prescrive che "I dipendenti degli enti locali a tempo parziale, purché autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, possono prestare attività lavorativa presso altri enti" e che la trasformazione del rapporto di lavoro del controricorrente da tempo indeterminato a tempo parziale era stata autorizzata esclusivamente per lo svolgimento dell'attività di libero professionista, a nulla rilevando che il rapporto con la diversa pubblica amministrazione fosse sorto in un momento successivo alla detta trasformazione, atteso che pure in questo caso avrebbe dovuto essere richiesta una specifica autorizzazione. Le doglianze sono infondate. L'impiego pubblico è storicamente caratterizzato da un rigoroso regime di incompatibilità, in base al quale al dipendente pubblico è preclusa la possibilità di svolgere attività commerciali, industriai, imprenditoriali e professionali in costanza di rapporto di lavoro con la P.A. La ratio di tale divieto, che permane anche nel sistema del pubblico impiego contrattualizzato, va rinvenuta nel principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico, espressa dall'art. 98, comma 1, Cost. Gli artt. 60 ss. del d.P.R. n. 3 del 1957, declinando il principio del servizio esclusivo della Nazione del pubblico dipendente sancito dall'art. 98 Cost., prevedevano l'incompatibilità assoluta dell'impiego pubblico con l'esercizio di altre attività. Il citato art. 60, infatti, prescriveva che "L'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del ministro competente".Questo divieto è stato successivamente mitigato dall'art. 58 del d.lgs. n. 29 del 1993, poi trasfuso nell'art. 53 dei d.lgs. n. 165 del 2001 che, nel testo ratione temporis applicabile, ha previsto la possibilità per l'amministrazione di appartenenza di autorizzare il dipendente a svolgere incarichi conferiti da altre pubbliche amministrazioni o soggetti privati, anche retribuiti, se ritenuti compatibili con l'attività svolta dal dipendente (sul punto, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010). Per l'esattezza, l'art. 53, comma 1, dispone che "Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per í rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del
- ricorrente -
contro
M C, elettivamente domiciliato in Roma, viale Cortina d'Ampezzo 190, rappresentato e difeso dall'Avv. C B;
- con troricorrente - 43-29 avverso la sentenza n. 1148/2018 della Corte d'appello di Milano, depositata il 17 settembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'11/05/2022 dal Consigliere D C;
letta la memoria depositata, ai sensi dell'art. 23, comma 8 bis, del d.l. n. 137 del 2020, conv., con modif., dalla n. 176 del 2020, dal P.M. in «q, persona del Sostituto Procuratore Generale R M, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO M C ha domandato al Tribunale di Lodi che fosse dichiarato nullo il licenziamento intimatogli il 14 novembre 2016 dal Comune di Zelo Buon Persico, con conseguente condanna al reintegro ed al risarcimento del danno patito a titolo di mobbing. M C era stato assunto nel :1986 dal Comune di Zelo Buon Persico, con il quale aveva poi concluso il 1° ottobre 2000 un nuovo contratto avente ad oggetto un rapporto individuale di lavoro a tempo pieno e indeterminato, ed aveva chiesto ed ottenuto, a partire dal 1° gennaio 2005, la trasformazione del rapporto di lavoro in questione da tempo pieno a part-time al 50%. Nel 2015 il Comune di Zelo Buon Persico aveva accertato che M C aveva in corso un ulteriore rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale con il Comune di Comazzo sin dal 1° dicembre 2011 e che tale circostanza non era stata mai comunicata. Il 14 novembre 2016 il Comune di Zelo Buon Persico ha comunicato a M C la risoluzione del rapporto di lavoro per avere assunto un incarico alle dipendenze di altro ente locale senza essere stato previamente autorizzato. Il Tribunale di Lodi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 119/2017, ha accolto il ricorso sul presupposto che M C, essendo impiegato a tempo parziale per 18 ore (al 50%), non fosse soggetto alla disciplina autorizzativa degli incarichi di cui all'art. 53, commi da 7 a 13, del d.lgs. n. 165 del 2001, trovando applicazione la c'eroga prevista dal precedente comma 6 del citato art. 53. Il Comune di Zelo Buon Persico ha proposto appello che la Corte d'appello di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1148/2018, ha respinto. Il Comune di Zelo Buon Persico ha presentato ricorso per cassazione sulla base di due motivi. M C ha resistito con controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente. Infatti, il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, al precedente rappresentato da Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010 non consente di ritenere inammissibile il ricorso, quantomeno perché la corte territoriale ha operato detto richiamo semplicemente per escludere l'esistenza di un divieto legislativo tout court per i dipendenti di enti locali di assumere un impiego presso un altro ente pubblico. La rado decidendí complessiva della pronuncia della Corte d'appello di Milano si fonda, piuttosto, non esclusivamente sul menzionato precedente, ma sull'esame della disciplina normativa vigente, in particolare dell'art. 1, comma 56, della legge n. 662 del 1996, letto in rapporto con l'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001. 2. Con il primo ed il secondo motivo che, stante la stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., dell"art. 1, commi 58, 60, 61 e 62, della legge n. 662 del 1996 e dell'art. 53, commi 1 e 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 perché la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere illegittimo il licenziamento in questione senza tenere conto della prospettata violazione dell'art. 1, commi 58, 60, 61 e 62, della legge n. 662 del 1996. Il Comune di Zelo Buon Persico evidenzia che la deroga all'esclusività del rapporto di lavoro pubblico privatizzato deve conformarsi ai limiti fissati dal citato art. 1, soprattutto a quelli indicati al comma 58, che vieta la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica, ed al successivo comma 58 bis, che prescrive che i dipendenti degli enti locali possano svolgere prestazioni per conto di altri enti previa autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza. Inoltre, sottolinea che il sistema delle incompatibilità concernenti il cumulo di impieghi del pubblico dipendente va ricostruito considerando che, ove quest'ultimo chieda di operare in regime di part-time, deve rispettare le condizioni, i presupposti e gli obblighi di lealtà e di completa e veritiera informazione. In particolare, precisa che l'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 fa riferimento agli incarichi e non, come avvenuto nella specie, a rapporti di pubblico impiego e che la corte territoriale non avrebbe tenuto conto che il controricorrente non aveva domandato di volere accedere al regime di part-time con il fine di assumere un altro impiego pubblico. Parte ricorrente prospetta, altresì, che l'art. 92 del d.lgs. n. 267 del 2000 prescrive che "I dipendenti degli enti locali a tempo parziale, purché autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, possono prestare attività lavorativa presso altri enti" e che la trasformazione del rapporto di lavoro del controricorrente da tempo indeterminato a tempo parziale era stata autorizzata esclusivamente per lo svolgimento dell'attività di libero professionista, a nulla rilevando che il rapporto con la diversa pubblica amministrazione fosse sorto in un momento successivo alla detta trasformazione, atteso che pure in questo caso avrebbe dovuto essere richiesta una specifica autorizzazione. Le doglianze sono infondate. L'impiego pubblico è storicamente caratterizzato da un rigoroso regime di incompatibilità, in base al quale al dipendente pubblico è preclusa la possibilità di svolgere attività commerciali, industriai, imprenditoriali e professionali in costanza di rapporto di lavoro con la P.A. La ratio di tale divieto, che permane anche nel sistema del pubblico impiego contrattualizzato, va rinvenuta nel principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico, espressa dall'art. 98, comma 1, Cost. Gli artt. 60 ss. del d.P.R. n. 3 del 1957, declinando il principio del servizio esclusivo della Nazione del pubblico dipendente sancito dall'art. 98 Cost., prevedevano l'incompatibilità assoluta dell'impiego pubblico con l'esercizio di altre attività. Il citato art. 60, infatti, prescriveva che "L'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del ministro competente".Questo divieto è stato successivamente mitigato dall'art. 58 del d.lgs. n. 29 del 1993, poi trasfuso nell'art. 53 dei d.lgs. n. 165 del 2001 che, nel testo ratione temporis applicabile, ha previsto la possibilità per l'amministrazione di appartenenza di autorizzare il dipendente a svolgere incarichi conferiti da altre pubbliche amministrazioni o soggetti privati, anche retribuiti, se ritenuti compatibili con l'attività svolta dal dipendente (sul punto, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010). Per l'esattezza, l'art. 53, comma 1, dispone che "Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per í rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del
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