Cass. civ., SS.UU., sentenza 26/06/2009, n. 15031

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Le controversie tra sostituto d'imposta e sostituito, relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario, ma rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l'esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario. (Principio di diritto affermato d'ufficio dalle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., in riferimento all'opposizione all'esecuzione forzata intrapresa dal difensore antistatario della parte vittoriosa in giudizio per la riscossione delle somme trattenute dalla parte soccombente a titolo di ritenuta IRPEF sull'onorario).

L'art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, a norma del quale i soggetti indicati nell'art. 23 dello stesso decreto sono tenuti ad operare una ritenuta d'acconto dell'IRPEF dovuta sulle somme da loro pagate a titolo di compenso per prestazioni di lavoro autonomo, è applicabile anche quando il lavoratore autonomo non è diretto creditore dell'ente che procede al pagamento e versa la somma quale debitore del debitore, come nel caso in cui il pagamento sia eseguito, a seguito di esecuzione coattiva, dal debitore del debitore (parte soccombente) al difensore antistatario della parte vittoriosa.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 26/06/2009, n. 15031
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15031
Data del deposito : 26 giugno 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. V P - Presidente di Sezione -
Dott. P R - Presidente di Sezione -
Dott. M A - rel. Consigliere -
Dott. F F M - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. M D CLSO Lucio - Consigliere -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. N A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 23685/2007 proposto da:
C M (CPPMRA41B06Z315K), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 13, presso lo studio dell'avvocato D'ANTONIO MAURO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PROPERZIO 32, presso lo studio dell'avvocato C F, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato L E, giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 23777/2007 della GIUDICE DI PACE di ROMA, depositata il 20/06/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/04/2009 dal Consigliere Dott. A M;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. NARDI Vincenzo, che ha concluso per il dichiararsi la giurisdizione del giudice tributario.
RILEVATO IN FATTO
L'avv. Mario C ricorre contro il comune di Roma, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Giudice di Pace ha accolto l'opposizione dell'ente comunale avverso la esecuzione forzata intrapresa dal legale per ottenere il pagamento della somma di Euro 407,47, corrispondente alla ritenuta irpef operata dal predetto ente, in qualità di sostituto d'imposta, sulla maggior somma dovuta (e corrisposta al netto della ritenuta stessa) a titolo di onorario.
A sostegno dell'odierno ricorso, il C prospetta tre motivi. Il Comune di Roma resiste con controricorso ed eccepisce la inammissibilità del ricorso, in quanto trattandosi di procedura iniziata prima dell'entrata in vigore della L. n. 52 del 2006, sulla riforma delle esecuzioni mobiliari, la sentenza impugnata era suscettibile di appello e non di ricorso per cassazione. CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, va rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per l'asserita violazione della L. n. 52 del 2006, formulata dalla parte resistente, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il ricorso per Cassazione è inammissibile soltanto se "proposto avverso sentenza pubblicata in data anteriore al 1 marzo 2006 all'esito di giudizio di primo grado su opposizione all'esecuzione, trattandosi di sentenza soggetta ad appello, in quanto solo in tale data è entrato in vigore il nuovo testo dell'art. 616 c.p.c., introdotto dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14, che ha sostituito il precedente regime dell'appellabilità
con quello della non impugnabilità della sentenza" (Cass. 20414/2006;
conf. 5342/2009). Ne deriva che correttamente, nella
specie, è stato proposto ricorso per cassazione, avverso la sentenza pubblicata il 20 giugno 2007. Nè questa interpretazione contrasta con i principi della carta costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. (v. Cass. 976/2008). Nel merito, il ricorso non può trovare accoglimento.

2. Con il primo motivo, la parte ricorrente eccepisce la inammissibilità dell'opposizione proposta dal comune di Roma, in quanto la procedura esecutiva originaria, relativa al pagamento dell'onorario, si sarebbe esaurita con una ordinanza di assegnazione pronunciata ai sensi dell'art. 553 c.p.c., in data 28 aprile 2006, per cui l'opposizione oggetto dell'odierno ricorso, alla data 3 luglio 2006, quando appunto è stata proposta, non era più ammissibile. Infatti, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 615 e 553 c.p.c., e vizi di motivazione, la difesa del C prospetta alla Corte il seguente quesito di diritto: "se sia ammissibile l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., comma 2, proposta avverso un'espropriazione presso terzi dopo che sia
stata pronunciata l'ordinanza di assegnazione ai sensi dell'art. 553 c.p.c.". Il quesito è generico e il motivo è carente di autosufficienza. È generico perché totalmente privo di riferimenti alla fattispecie concreta, in relazione alla quale si da per scontatè che sarebbe stato pronunciato un provvedimento preclusivo dell'opposizione comunale, ma nell'ambito di un'altra procedura esecutiva (relativa al pagamento dell'onorario e non alla legittimità della ritenuta), della quale, inoltre, non si sa assolutamente nulla. Il motivo è carente di autosufficienza perché non fornisce la specifica indicazione degli atti processuali sui quali si fonda (come e quando l'eccezione è stata dedotta dinanzi al giudice di pace e da dove risulta la data del provvedimento di assegnazione, che comunque riguarderebbe un'altra procedura?). Il motivo, quindi è inammissibile.

3. Con il secondo motivo, viene eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito, considerato incompetente a decidere la questione relativa alla legittimità della ritenuta irpef operata sull'onorario corrisposto all'avvocato C. Il quesito sottoposto alla Corte è formulato nei seguenti termini: "se la questione relativa alla legittimità della ritenuta d'acconto IRPEF esorbita dalla giurisdizione del Giudice ordinario e rientra nella giurisdizione del Giudice tributario". Il problema è mal posto e tuttavia ritiene il Collegio che debba essere ricondotto nei suoi corretti termini, ai sensi dell'art. 363 c.p.c., comma 3, trattandosi di questione di particolare importanza. A ben vedere, infatti, nelle controversie tra sostituto d'imposta e sostituito, la materia del contendere non è costituita dalla sussistenza e/o dal contenuto dell'obbligo di effettuare la ritenuta (an e quantum), che sono questioni che attengono al rapporto tributario tra sostituto ed erario (e che certamente rientrano nella competenza del giudice tributario). Le questioni relative all'indebito pagamento dei tributi (rectius: versamento della ritenuta) o all'omesso pagamento, seguono la regola generale della devoluzione al giudice tributario attraverso l'impugnazione dell'atto (espresso o presunto) che segue la richiesta del rimborso o dell'atto impositivo con il quale viene fatta valere la pretesa tributaria rimasta insoddisfatta. Ciò che è oggetto di lite nel rapporto tra sostituto e sostituito, è il legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa, che il sostituto esercita nei confronti del sostituito nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, quindi di competenza del giudice ordinario, il fatto che il diritto alla rivalsa sia previsto da una norma tributaria non trasforma il rapporto tra soggetti privati in un rapporto tributario, di tipo pubblicistico, che implica invece l'esercizio del potere impositivo nell'ambito di un rapporto sussumibile allo schema potestà - soggezione. Se manca un soggetto investito di potestas impositiva manca anche il rapporto tributario, così come se manca un provvedimento che sia espressione di tale potere non si configura la speciale lite tributaria che, per definizione, nasce dal contrasto rispetto ad una concreta ed autoritativa pretesa impositiva. Le controversie tra sostituto e sostituito, invece, nascono o dal fatto che il sostituito contesta il diritto di rivalsa esercitato dal sostituto - per mancanza del presupposto di fatto (omesso versamento diretto della ritenuta) o per mancanza del presupposto giuridico (il sostituto non doveva versare la ritenuta) - ovvero dal fatto che il fisco pretenda, dal sostituto o dal sostituito, mediante notifica di un atto impositivo, un maggior versamento rispetto a quello effettuato ed il destinatario di tale pretesa intenda rivalersi sull'altro soggetto. In tutti questi casi, la lite nasce perché le parti private, nei loro rapporti diretti (privati), ritengono che siano state erroneamente interpretate e/o applicate le norme che regolano quei rapporti, e non rileva che successivamente il fisco eserciti una azione ex autoritate, in relazione alla quale le parti possono difendersi direttamente (nei confronti dell'ente impositore) dinanzi al giudice speciale tributario. I rapporti tra le due giurisdizioni, civile e tributaria, in caso di contemporanea pendenza dei due processi, vanno disciplinati, ricorrendone i presupposti, in base all'art. 295 c.p.c.. In linea di principio, la riscossione volontaria delle imposte mediante versamenti diretti può essere effettuata dal contribuente o dal sostituto che opera la ritenuta alla fonte. Entrambi sono destinatari di specifici ed autonomi obblighi tributari (per la cui violazione sono previste sanzioni "pubbliche"), i cui effetti soltanto indirettamente si riflettono sui rapporti interpersonali. L'Erario si rivolge al sostituto, gravandolo di particolari obblighi (di dichiarazione e di versamento diretto della ritenuta) per agevolare e garantire la riscossione, che viene anticipata al momento in cui viene corrisposta al contribuente una somma che partecipa del presupposto impositivo. Finisce qui il versante pubblico del rapporto (sostituto-fisco) ed inizia quello privatistico, nel cui ambito si sviluppano le controversie di dare ed avere tra sostituito e sostituito, in relazione all'esercizio del diritto di rivalsa da parte del sostituto, cui corrisponde una obbligazione ex lege a carico del sostituito. Nè rileva che il sostituto abbia eventualmente effettuato il versamento nelle casse pubbliche, invece che spontaneamente, in forza di un apposito atto impositivo i cui effetti, comunque, riguardano soltanto il sostituto destinatario. Al punto che, ove mai il sostituto abbia erroneamente pagato somme non dovute (per la mancata impugnazione dell'atto impositivo o perché si sia mal difeso), non potrà rivalersene sul sostituito, il quale ben potrà difendere i propri diritti dinanzi al giudice ordinario, eccependo che il sostituto non può riversare sul sostituito i propri errori, anche se, per ipotesi, siano indotti da un provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione,

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