Cass. pen., sez. II, sentenza 12/11/2020, n. 31860

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 12/11/2020, n. 31860
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 31860
Data del deposito : 12 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PUSCEDDU FABIO nato a ROMA il 30/01/1964 avverso la sentenza del 27/09/2018 della CORTE APPELLO di ROMAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale S T nonché le conclusioni del difensore di fiducia dell' imputato e della parte civile

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 27/09/2018, confermava la sentenza del Tribunale di Velletri in data 10 Dicembre 2014 in forza della quale P F era stato condannato alla pena di giustizia per il reato di truffa oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile Banca Popolare del Lazio. La corte territoriale, nel ribadire la ricostruzione operata dal giudici di primo grado, rilevava che sulla scorta delle complessive risultanze processuali doveva ritenersi comprovato che il PUSCEDDU, legale rappresentante della Pianeta Vending s.r.l. - società addetta al prelievo delle monete dai dispensatori di generi alimentari e bevande presso ospedali e scuole - nelle distinte di versamento, relative al prelievo delle monete dai citati dispensatori, sul conto corrente acceso presso la Banca Popolare del Lazio, con la quale era stato stipulato dalla suindicata società, un contratto avente ad oggetto il servizio di conteggio delle monete metalliche prelevate, dichiarava falsamente di avere prelevato e versato l' importo di euro 189.010,31 mentre l' effettivo controvalore delle monete era pari ad euro 52.174,91, così procurandosi un ingiusto vantaggio patrimoniale con altrui danno.

2. Avverso detta pronunzia propone ricorso per cassazione l' imputato, a mezzo difensore di fiducia, formulando i seguenti motivi: a. violazione ed erronea applicazione dell' art. 336 cod. proc. pen. La difesa del ricorrente lamenta che la corte territoriale aveva erroneamente disatteso l' eccezione di improcedibilità per difetto di querela non potendo dispiegare i propri effetti la querela sporta dal direttore della filiale della Banca Popolare del Lazio per conto di detto istituto, in difetto di una valida procura speciale;
b. nullità della sentenza ex art. 606 lett. d) cod. proc. pen. per mancata assunzione di una prova decisiva ed ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. sotto il profilo della illogicità della motivazione quanto al rigetto delle richieste istruttorie ed alla valutazione della prova;
vizio di motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. relativamente all' elemento psicologico del reato. Lamenta che, in modo del tutto illogico, la corte di appello, nel confermare le ordinanze dei giudici di primo grado con cui erano stati revocati i testi a discarico Sacchetti e Cipolla e disattese le richieste istruttorie ex art. 507 cod. proc. pen. concernenti l' acquisizione dei filmati dei conteggi effettuati dalla società di fiducia della banca la Delta Valori, l' acquisizione delle distinte di versamento nel periodo dei fatti e l' esperimento di apposita consulenza sulla macchina conta soldi "Talaris Mach" onde verificare la possibilità di un grossolano errore nel conteggio dei denari, aveva precluso all' imputato di comprovare circostanze decisive ai fini della verifica dell' elemento psicologico del reato, vale a dire che la differenza di importi era imputabile ad un malfunzionamento della macchinetta conta soldi;
c. vizio di motivazione per contraddittorietà della stessa. Lamenta che la corte di merito, in modo del tutto erroneo a contraddittorio, aveva affermato la giustezza dei conteggi del denaro in questione, dato del quale non sussisteva prova alcuna anche in ragione del fatto che i giudici di merito non aveva consentito l' acquisizione dei filmati delle operazioni di conteggio né avevano disposto l' audizione del funzionario della Delta Valori.

3. Il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nella persona di S T, ha inviato alla cancelleria a mezzo P.E.C. in data 23 Giugno 2020 conclusioni scritte ex art. 83, comma 12 ter, decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, chiedendo dichiararsi l' inammissibilità del ricorso.

3.1. Il difensore dell' imputato ha inviato alla cancelleria a mezzo P.E.C. in data 1 Luglio 2020 conclusioni scritte ai sensi della richiamata norma, con le quali ha replicato alle deduzioni del P.G. ed insistito sui motivi del ricorso chiedendone l' accoglimento.

3.2. La parte civile Banca Popolare del Lazio Società Cooperativa per Azioni ha inviato alla cancelleria a mezzo P.E.C. conclusioni scritte ex art. 83 comma 12 ter decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, chiedendo rigettarsi il ricorso e confermarsi le statuizioni civili, con liquidazione delle spese di lite come da allegata nota.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. Osserva il Collegio che il primo motivo è manifestamente infondato. Il ricorrente lamenta che la corte territoriale ha erroneamente ritenuto valida la querela sporta dal responsabile della filiale della banca, presso la quale la società di cui l'imputato era legale rappresentante aveva aperto un conto corrente, in contrasto con il principio di diritto esposto nella sentenza della Corte di Cassazione nella sentenza n. 2061/1999. Trattasi di censura del tutto infondata in quanto, ad avviso della Corte, il collegio di secondo grado, nel ritenere valida e rituale la querela in questione, ha fatto buon governo dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità. Va premesso che la persona offesa dal reato, titolare del diritto di querela a norma dell'art. 120 cod. pen., deve essere individuata nel soggetto titolare dell'interesse direttamente protetto dalla norma penale e la cui lesione o esposizione a pericolo costituisce l'essenza dell'illecito. Nella specie, trattandosi di un imprenditore-persona giuridica, occorre considerare che l' imprenditore nello svolgimento della propria attività spesso si avvale della collaborazione di altri soggetti fra cui gli "institori". La disciplina giuridica dell'institore è contenuta nel titolo II "del lavoro nell'impresa" del libro V "del lavoro" del c.c. dall'art. 2203 all'art. 2205. L'art. 2203 c.c. rubricato "preposizioni institoria" recita testualmente: "E' institore colui che è preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale. La preposizione può essere limitata all'esercizio di una sede secondaria o di un ramo particolare dell'impresa. Se sono preposti più institori, questi possono agire disgiuntamente, salvo che nella procura sia diversamente disposto". Di norma la figura dell'institore si identifica con il direttore generale dell'impresa o di una filiale o di un settore produttivo della stessa;
trattasi di soggetto il quale ha il potere di rappresentanza sostanziale e processuale. Nel caso della rappresentanza sostanziale, anche senza espressa procura, egli può compiere in nome dell'imprenditore tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa o del ramo al quale è preposto, non può invece compiere atti che travalicano dalla gestione dell'impresa Nel caso della rappresentanza processuale, l'institore può stare in giudizio sia come "attore" sia come "convenuto" per le obbligazioni che dipendono da atti compiuti nell'esercizio dell'impresa alla quale è preposto (ex art. 2204 comma 2 c.c.), quindi non soltanto per gli atti compiuti da lui ma anche per gli atti posti in essere direttamente dall'imprenditore. I poteri rappresentativi determinati dalla legge nei confronti dell'institore possono essere ampliati oppure limitati dall'imprenditore sia all'atto della preposizione sia successivamente. In definitiva è il codice civile che attribuisce a chi materialmente gestisce un ramo di impresa il potere di compiere tutti gli atti inerenti l'esercizio di quella impresa, atti cui devono essere compresi il diritto di sporgere querela per fatti inerenti strettamente l'esercizio commerciale, come nel caso concreto l'adempimento di obbligazioni in favore dell'impresa cui il gestore è anche temporaneamente preposto. Da tanto consegue che nella fattispecie, con riferimento ad truffa contestata riguardante una posizione gestita da una filiale della Banca Popolare del Lazio Società Cooperativa per Azioni, trova applicazione il principio di legittimità che esclude, con riferimento all'art. 337 c.p.p., comma 3, la nullità della querela che sia priva delle indicazioni della fonte dei poteri di rappresentanza conferiti al legale rappresentante della persona che ha proposto l'istanza di punizione e ciò in forza del principio di tassatività delle cause di nullità sancito dall'art. 177 cod. proc. pen. (Cass. 6^ 30.4.99 n. 7845 depositata 10.6.99, rv. 214735). Si evidenzia che la stessa disposizione di legge di cui all'art. 377 c.p.p., comma 3 si limita a richiedere l'indicazione della fonte dei poteri di rappresentanza da parte del soggetto che la presenta e non già la prova della veridicità delle dichiarazioni di quest'ultimo sul punto: tale veridicità, pertanto, deve presumersi fino a contraria dimostrazione e non incombe alla parte alcun onere di allegazione documentale (Cass. 5^ 16.1.97 n. 1460 depositata 17.2.97, rv. 206841;
Cass. 6^ 12.12.96 depositata 6.2.97 n. 1131, rv. 206900). Tale approccio ermeneutico appare, del resto, in linea oltre che con le disposizioni del codice civile citate con il costante orientamento della Cassazione Civile secondo cui l'attività posta in essere da filiali o succursali di una banca - prive di personalità giuridica, così come indicato nella Direttiva CEE n. 780 del 12 dicembre 1977 ed espressamente ribadito dall'art. 1, lett. e), del d.lgs. n. 385 del 1993 - va imputata all'istituto di credito di cui costituiscono un'articolazione periferica;
tuttavia, ai dirigenti preposti a tali filiali è di regola riconosciuta la qualità di institore ex art. 2203 c.c., dalla quale deriva la loro legittimazione attiva e passiva in giudizio in nome della banca preponente, con imputazione a quest'ultima dell'attività giudiziaria da essi svolta. (Sez. 1, Sentenza n. 1365 del 26/01/2016, Rv. 638498 - 01). Deve, quindi, ritenersi che nel caso di una querela proposta dal "direttore" di una società, l'imputato, il quale sostenga che il preposto non sia autorizzato dallo statuto o da una successiva delibera a vagliare di volta in volta l'opportunità di proporre l'istanza di punizione, deve dare la prova del proprio assunto, perchè la querela venga dichiarata priva di rilievo, prova che nella specie il ricorrente non ha fornito, con conseguente manifesta infondatezza della censura proposta.
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