Cass. civ., SS.UU., sentenza 07/12/2006, n. 26182

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Nel giudizio dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione instaurato da un avvocato in materia disciplinare sono parti necessarie unicamente il Consiglio dell'Ordine che ha irrogato la sanzione impugnata e il P.G. presso la Suprema Corte.

Le decisioni che il Consiglio Nazionale Forense adotta in sede disciplinare devono essere adeguatamente motivate per non incorrere nel vizio di cui all'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. (richiamato dal quarto comma dello stesso articolo, come risultante a seguito delle modifiche introdotte per effetto dell'art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) e, al riguardo, devono porre riferimento a tutte le circostanze di fatto prese in considerazione per giustificare la legittimità e la congruità della sanzione disciplinare, ragion per cui si appalesa insufficiente la motivazione del provvedimento in cui il predetto Consiglio si limiti a richiamare genericamente gli atti istruttori penali relativi alla vicenda rilevante anche sul piano disciplinare e i fatti inerenti ad una sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. nei confronti del destinatario della sanzione disciplinare. (Nella specie, la S.C., sulla scorta del principio enunciato, ha cassato con rinvio la decisione disciplinare adottata nei riguardi del ricorrente, siccome fondata su una motivazione meramente apparente, incentrata sull'affermazioni apodittiche, che si erano risolte nella constatazione che la sola imputazione dei reati di concussione e ricettazione era da reputarsi un elemento sufficiente ad integrare un capo di incolpazione e aveva costituito, di per sé, un fatto notorio tale da provocare clamore nell'opinione pubblica e discredito per la classe forense, prescindendo, però, da qualsiasi riscontro obiettivo).

Anche le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono soggette all'obbligo di motivazione sancito per ogni provvedimento giurisdizionale dall'art. 111, comma sesto, Cost. e, pertanto, il vizio di violazione di legge per il quale le suddette decisioni sono censurabili dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione comprende anche il difetto di motivazione, riconducibile all'art. 360, comma primo, n. 5) cod. proc. civ., richiamato dall'ultimo comma del medesimo articolo (nel testo modificato dall'art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), che si traduca in omissioni, lacune o contraddizioni incidenti su punti decisivi dedotti dalle parti o rilevabili d'ufficio, senza che la deduzione del suddetto vizio possa essere intesa ad ottenere un riesame delle prove e degli accertamenti di fatto, o un sindacato sulla scelta discrezionale del Consiglio in ordine al tipo o all'entità della sanzione, ovvero a denunciare un travisamento di fatto, col diverso rimedio della revocazione. Anche nel caso in cui sia prospettato l'omesso od insufficiente esame delle istanze istruttorie dirette a dimostrare i richiamati punti decisivi della controversia, è necessario che il ricorso in questione ponga riferimento, a pena di inammissibilità, all'esposizione del contenuto delle richieste probatorie non accolte, onde consentire al giudice di legittimità il controllo della loro rilevanza ai fini di una diversa decisione della controversia in conseguenza dell'espletamento delle prove dedotte.

La pretesa punitiva esercitata dal Consiglio dell'Ordine forense in relazione agli illeciti disciplinari commessi dai propri iscritti ha natura di diritto soggettivo potestativo che, sebbene di natura pubblicistica, resta soggetto a prescrizione, dovendo escludersi che il termine di cui all'art. 51 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 possa intendersi come un termine di decadenza, insuscettibile di interruzione o di sospensione. La previsione, da parte del citato art. 51 di un termine quinquennale di prescrizione, mentre delimita nel tempo l'inizio dell'azione disciplinare, vale anche ad assicurare il rispetto dell'esigenza che il tempo dell'irrogabilità della sanzione non venga protratto in modo indefinito, perché al procedimento amministrativo di inflizione della sanzione è da ritenere applicabile non già la regola dell'effetto interruttivo permanente della prescrizione sancito dall'art. 2945, secondo comma, cod. civ., bensì quello dell'interruzione ad effetto istantaneo di cui al precedente art. 2943 cod. civ., con la conseguente idoneità interruttiva anche dei successivi atti compiuti dal titolare dell'azione disciplinare in pendenza del relativo procedimento. È, peraltro, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del menzionato art. 51 sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, 104, 105, 106, 108 e 111 Cost..

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 07/12/2006, n. 26182
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 26182
Data del deposito : 7 dicembre 2006
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P G - Primo Presidente f.f. -
Dott. V A - Presidente di sezione -
Dott. V P - Presidente di sezione -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. V U - rel. Consigliere -
Dott. G G - Consigliere -
Dott. M A - Consigliere -
Dott. P P - Consigliere -
Dott. F M - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avv. B A, elettivamente domiciliato in Roma, Via Giovanni Paisiello, n. 55, presso il prof. avv. SCOCA F G, che lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
ORDINE DEGLI AVVOCATI DI CHIETI, CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI CHIETI, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE;

- intimati -

avverso la decisione del Consiglio Nazionale Forense n. 6, pubblicata il 22 marzo 2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 30 novembre 2006 dal Relatore Cons. Dott. U V;

udito l'avv. GIGLI per delega dell'avv. F G Scoca;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PALMIERI Raffaele, che ha con eluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso con assorbimento degli altri e rinvio della causa al Consiglio Nazionale Forense.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con Delib. 10 maggio 1993, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Chieti disponeva l'apertura di un procedimento disciplinare a carico del Dott. proc. A B, sottoposto a processo per i reati di concussione continuata e ricettazione, e contestualmente ne disponeva la sospensione in attesa della definizione del processo penale;
quindi, divenuta irrevocabile la sentenza con la quale era stata applicata su richiesta dell'imputato la pena, condizionalmente sospesa, di anni lino, mesi sei e giorni sette di reclusione e di L. 300.000 di multa, disponeva la prosecuzione del procedimento e, previa contestazione degli stessi fatti, ritenuti contrari ai doveri di correttezza, lealtà e probità professionale, infliggeva all'incolpato la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione forense per la durata di nove mesi con decisione del 25 luglio 1994. Su ricorso depositato il 27 ottobre 1994 dall'avv. B il Consiglio Nazionale Forense, con decisione del 25 novembre 2005 - 22 marzo 2006, confermava la pronunzia impugnata. Dichiarata la inammissibilità delle censure n svolte nelle diverse memorie aggiunte depositate dal ricorrente, e ritenuta la manifesta infondatezza delle questioni di illegittimità costituzionale sollevate con riferimento sia alla violazione del principio di immutabilità del collegio giudicante nel giudizio dinanzi al Consiglio dell'Ordine sia alla mancanza di un termine di prescrizione dell'azione disciplinare nei confronti degli avvocati e procuratori legali, affermava che i fatti che avevano formato oggetto del procedimento penale concluso con una sentenza di patteggiamento dovevano essere autonomamente valutati sotto il profilo probatorio dall'organo disciplinare e sosteneva che, non avendo il Consiglio dell'Ordine proceduto ai necessari accertamenti, a tanto doveva provvedere il Consiglio Nazionale Forense;
ciò premesso, giungeva alla conclusione che i fatti trovavano conferma negli atti istruttori penali e non erano stati contestati dal ricorrente tanto più che il Giudice penale aveva escluso la sussistenza degli estremi per una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., sicché l'illecito addebitato al ricorrente, pur non attenendo all'attività forense, offendeva gravemente per la sua notorietà e il clamore suscitato la dignità e il prestigio della classe forense. Contro la decisione ricorre per Cassazione l'avv. A B con sei motivi proponendo contestuale istanza di sospensione dell'esecuzione della decisione impugnata.
Non hanno presentato difese gli intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Dev'essere disposta preliminarmente la riunione al presente ricorso di quello avente a oggetto l'istanza di sospensione dell'esecuzione della decisione impugnata (N.R.G. 18792/06 bis).
Va dichiarata quindi la carenza di legittimazione passiva dell'Ordine degli Avvocati di Chieti e del Consiglio Nazionale Forense in quanto nel giudizio dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia disciplinare sono parti necessarie unicamente il Consiglio dell'Ordine che ha irrogato la sanzione impugnata e il Procuratore Generale presso la Suprema Corte (Cass. 11 aprile 2003, n. 5715). Passando alle censure sollevate dall'avv. B, debbono essere esaminate con priorità, per motivi di ordine logico, quelle articolate con il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso che investono questioni di carattere pregiudiziale.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 54, comma 1, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 51 e dell'art. 111 Cost., e,
in via subordinata, si solleva l'eccezione di legittimità costituzionale del predetto art. 51 per contrasto con gli artt. 3, 24, 104, 105, 106, 108 e 111 Cost., e si sostiene che erroneamente la decisione impugnata avrebbe escluso la decorrenza del termine di prescrizione anche nel corso del procedimento giurisdizionale di impugnazione della sanzione disciplinare irrogata dal Consiglio dell'Ordine in base alla considerazione che l'illecito disciplinare assomiglia all'illecito penale come può dedursi dai richiami alle norme del codice di procedura penale contenuti nel R.D. n. 37 del 1934, artt. 51 e 64. A conclusione dell'illustrazione del motivo in esame il ricorrente - in osservanza dell'art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile nella specie ai sensi del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 - ha formulato il quesito di diritto con il quale ha chiesto alla Corte di affermare se il termine di cinque anni stabilito dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 157, art. 51, per la conclusione del procedimento
disciplinare nei confronti di un avvocato sia assoggettato al principio dell'effetto interruttivo permanente ai sensi degli artt. 2945, co. 2, e 2943 cod. civ., ovvero se, in via meramente gradata, sia suscettibile di interrom pere il predetto termine un'ordinanza istruttoria meramente reiterativa e sprovvista di natura e valenza propulsiva.
Premesso che la violazione del R.D. del 1934, art. 54, cumulativamente dedotta dal ricorrente, deve ritenersi frutto di un errore poiché la norma suddetta non riguarda la materia della prescrizione in contestazione ma disciplina la ricusazione dei componenti del consiglio dell'ordine, che non viene in questione nella specie, la censura in esame sembra doversi interpretare nel senso che la prescrizione dell'azione disciplinare non dovrebbe ritenersi soggetta all'effetto interruttivo sospensivo di cui all'art. 2945 cod. civ., ma dovrebbe continuare anche nel corso del processo di impugnazione in sede giurisdizionale promosso dal

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