Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 11/02/2015, n. 2696
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In tema di lavoro carcerario, il termine di prescrizione dei diritti del lavoratore non decorre durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, in sé privo di stabilità, poiché, nei confronti del prestatore, è configurabile una situazione di "metus", che, pur non identificandosi necessariamente in un timore di rappresaglie da parte del datore di lavoro, è riconducibile alla circostanza che la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dall'attività lavorativa del detenuto possono non coincidere con quelli che contrassegnano il lavoro libero attesa la necessità di preservare le modalità essenziali di esecuzione della pena e le corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria. Ne consegue, peraltro, che la sospensione della prescrizione permane solo fino alla cessazione del rapporto di lavoro in quanto, in assenza di specifiche disposizioni, non può estendersi all'intero periodo di detenzione.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M L - Presidente -
Dott. D'ANTONIO Enrica - rel. Consigliere -
Dott. PATTI A P - Consigliere -
Dott. G P - Consigliere -
Dott. A F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7630-2011 proposto da:
IUDICI AGOSTINO DCIGTN58L04D960W, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIRO MENOTTI 24, presso lo studio dell'avvocato C P, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 8100/2010 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 15/12/2010 R.G.N. 7934/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/12/2014 dal Consigliere Dott. ENRICA D'ANTONIO;
udito l'Avvocato C P;
udito l'Avvocato C G;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. M M che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'appello di Roma ha rigettato la domanda di Iudici Agostino volta ad ottenere il pagamento, quale detenuto lavorante in vari carceri dal 1981 in poi, della 13 o dell'indennizzo per ferie annuali non usufruite e l'aggiornamento semestrale della mercede. La Corte d'appello ha rilevato che, pur ritenendo sanata la nullità dell'atto introduttivo del giudizio per carenza dei requisiti di cui all'art. 414 c.p.c. dichiarata dal Tribunale (non avendo il giudice rilevato la nullità alla prima udienza con concessione di un termine per l'integrazione della domanda, ne' avendo il resistente sollevato l'eccezione di nullità rilevata d'ufficio dal giudice) il ricorso era, comunque, mancante di idonee allegazioni e prova degli elementi costitutivi delle pretese.
La Corte territoriale ha rilevato con riferimento alla 13 mensilità che la semplicistica quantificazione in 1/12 della retribuzione annua non teneva conto che un'intera mensilità spettava solo a fronte di un'intera annualità di lavoro e che mancava la prova di quanto percepito. Ha osservato che essa risultava, comunque, corrisposta, - come confermato dalla circolare ministeriale del 9/3/1976 n 2294/4748 e dalle tabelle della mercede in vigore che includevano nella paga della giornata lavorativa il rateo della 13a, dell'indennità di contingenza e dell'indennità di anzianità secondo quanto disposto dalla commissione istituita ai sensi della L. n. 354 del 1975, art. 22. Secondo la Corte, inoltre, era infondata la doglianza
dell'appellante secondo cui mancava un preciso patto di conglobamento ed una specifica imputazione nel prospetto stipendiale in quanto, stante la peculiarità del lavoro carcerario, mancava un contratto individuale e l'obbligo di rilascio di un prospetto della retribuzione mentre la misura della stessa era stabilita da un'apposita commissione ed era aggiornata periodicamente e pertanto a tali atti e circolari doveva farsi riferimento.
La Corte ha affermato con riferimento alle ferie che l'indennità non poteva essere quantificata prendendo quale parametro le 4 settimane in quanto il numero dei giorni di ferie doveva essere proporzionale ai giorni e ai periodi lavorati ed all'orario e dall'estratto contributivo allegato, senza commento e spiegazione, si evinceva che il ricorrente non aveva avuto sempre la posizione di detenuto lavoratore, aveva lavorato presso altri datori di lavoro, ne' era specificato se avesse avuto licenze o permessi da consentirgli di godere di periodi di riposo o di aver svolto attività alternative con la conseguenza che non era stata fornita la prova di non aver fruito delle ferie e di avere quindi diritto all'indennità. La Corte ha rilevato, ad abundantiam con riferimento all'eccezione di prescrizione quinquennale, che questa non decorreva in costanza di rapporto di lavoro e che potevano sussistere periodi di sospensione del decorso della prescrizione ma la mancanza di idonee allegazioni impediva di valutare in che limiti potesse ritenersi sospeso il termine di prescrizione dei crediti qui avanzati. Avverso la sentenza ricorre lo Iudici formulando 7 motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste il Ministero con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 101 e 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp att. c.p.c., artt. 156 e 434 c.p.c., art. 164 c.p.c., comma 5, artt. 111 e 24 Cost., vizio di motivazione (art 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5). Censura l'affermazione della Corte secondo cui
difettavano allegazioni adeguate circa la retribuzione percepita, ma il giudice non aveva esaminato l'estratto contributivo da cui emergeva la retribuzione percepita e sullo stesso erano indicate le carceri ove era stata prestata l'attività lavorativa. Ulteriori rilievi riguardano la 13 e l'affermazione della Corte secondo la quale la sua determinazione non poteva essere effettuata sulla base della semplicistica quantificazione in 1/12 della retribuzione mancando anche la prova di quanto effettivamente percepito dal lavoratore. Censura, inoltre, l'affermazione della Corte della necessità di fare riferimento per la determinazione delle retribuzioni alle circolari emanate dalla apposita commissione la quale, invece, non aveva aggiornato da tempo la retribuzione. Il motivo in esame reca, inammissibili, commistioni di censure aventi ad oggetto violazioni di legge e vizio di motivazione formulati, tuttavia, con un'unica illustrazione e confondendosi i profili del vizio logico della motivazione e dell'errore di diritto o addirittura vizi procedurali di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4;risulta, poi, che pur prospettandosi il vizio di violazione di legge, la censura in concreto non risulta pertinente rispetto al motivo di censura rivolto alla sentenza, concernente invece doglianze riferite alla motivazione ed al valore probatorio attribuito agli elementi posti a base della decisione.
Il motivo, assommando più doglianze, non consente, pertanto, una rapida e corretta individuazione della censura. Deve, comunque rilevarsi che la Corte territoriale ha superato l'eccezione di nullità per mancanza dei requisiti di cui all'art. 414 c.p.c., accolta dal Tribunale, assumendo sul punto una decisione favorevole al ricorrente ed esaminando nel merito le richieste. Circa le doglianze relative alla 13 il motivo va esaminato congiuntamente ai motivi n 2 e 4 dovendosi sottolineare che la Corte territoriale ha dato una doppia motivazione del rigetto della domanda di pagamento della 13 ritenendo anche che il Ministero aveva provato di averla corrisposta.
2) Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione, violazione dell'art. 416 c.p.c.. Denuncia la mancanza di prova della corresponsione della 13 mensilità. Il motivo deve essere esaminato congiuntamente al motivo n 4.
3) Con il terzo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 152 del 1997, art. 2, lett. a), della direttiva 91/533/cee del 1991, del D.L. n. 112 del 2008, art. 40, dell'art. 132 c.p.p., n. 4 e art. 118 disp.
att., dell'art. 116 c.p.c. nonché vizio motivazione (art 360 n 3,4,5). Denuncia che il Ministero, datore di lavoro, non aveva depositato la documentazione lavorativa a suo tempo non consegnata al lavoratore con ciò violando precise disposizioni e che tale comportamento era valutabile ai sensi dell'art. 116 c.p.c. ai fini del riconoscimento della 13 e dell'indennità per le ferie non usufruite.
Il motivo, a prescindere dalla sua ammissibilità non essendo denunciato un vizio della sentenza, è infondato in quanto non sussiste alcun obbligo dell'amministrazione di depositare in giudizio la documentazione relativa al rapporto di lavoro intercorso con il ricorrente e, del resto, non risulta formulata alcuna istanza ex art. 210 c.p.c.. 4) Con il 4 motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione, violazione dell'art. 2687 c.c., art. 1199 c.c. (art. 360 c.p.c., n 3 e 5). Denuncia la mancanza di prova dell'avvenuto pagamento della 13a.
Deduce, inoltre, che se fosse vero che era stata pagata, in assenza di esplicita imputazione, le maggiori somme andavano imputate al maggior credito per mancato adeguamento semestrale della retribuzione.
Il motivo, congiuntamente esaminato con il precedente secondo motivo, è infondato. La Corte ha rigettato la domanda in quanto ha ritenuto corrisposta detta voce retributiva, in accoglimento di quanto affermato dal Ministero, poiché inglobata nella paga base. Secondo la Corte, infatti, la 13 risultava corrisposta, unitamente alla retribuzione, e che ciò trovava conferma nella circolare ministeriale n 2294/4748 del 9/3/1976 e nelle tabelle delle retribuzioni in vigore che includevano nella paga della giornata lavorativa il rateo della 13 in base alle disposizioni della commissione istituita ai sensi della L. n. 354 del 1975, art. 22. In particolare la Corte territoriale ha evidenziato che la mercede stabilita nelle tabelle per giornata lavorativa era costituita da rateo di paga base, ratei indennità di contingenza, della 13 mensilità e dell'indennità di anzianità. La decisione della Corte, vertendosi su una questione di fatto adeguatamente motivata, non è censurabile in Cassazione. La Corte di appello ha dato conto delle fonti del proprio convincimento ed ha argomentato in modo logicamente congruo, ne' il ricorrente ha eccepito di non aver ricevuto i compensi come indicati nella tabella.
Il ricorrente lamenta la mancata prova della sussistenza di un preciso patto di conglobamento. Censura l'affermazione della Corte secondo cui, stante la peculiarità del lavoro carcerario, non era necessario tale patto richiesto solo in caso di rapporti di lavoro privato che è regolato da un contratto individuale in cui il rilascio del prospetto paga mensile, con l'indicazione delle singole voci retributiva, è obbligatorio.
Il motivo anche sotto tale profilo è infondato. Il conglobamento è disposto, in via generale, con riferimento a tutti i rapporti di lavoro intercorsi tra il Ministero ed i detenuti come evidenziato dalla Corte. E ciò in coerenza con la natura di un rapporto che non prevede contratto individuale scritto e che è, in quanto a disciplina, etero integrato dalla normativa secondaria richiamata in atti. Pertanto, è in tale rapporto necessaria e sufficiente la applicazione della regola generale e la specificazione contenuta nelle tabelle dell'inclusione nella paga oraria del rateo di 13. Le censure relative alla natura privata del rapporto di lavoro intercorso tra i detenuti e l'amministrazione penitenziaria sono irrilevanti in quanto ciò che è stato evidenziato dalla Corte territoriale è proprio la particolarità di alcuni profili del rapporto di lavoro in esame.
5) Con il quinto motivo denuncia vizio di motivazione, violazione dell'art. 112 c.p.c., e dell'art. 2109 c.c.. Deduce che aveva chiesto una mensilità a titolo di ferie in quanto il Ministero poteva diversificare le modalità di fruizione delle ferie attraverso permessi, attività alternative ma non poteva negare la retribuzione. Il motivo è infondato. La Corte ha affermato che contrariamente a quanto sostenuto nell'atto di appello dall'estratto contributivo, allegato senza commento e spiegazione alcuna, emergevano periodi di lavoro per i quali erano stati versati i contributi molto variabili che andavano da 3 a 23 settimane accanto a periodi di attività lavorativa alle dipendenze di terzi, a periodi di disoccupazione e che pertanto il ricorrente non sempre aveva avuto la posizione di detenuto lavoratore, ne' era specificato se avesse goduto di licenze o permessi che gli avessero consentito di godere di periodi di riposo. La Corte ha dunque concluso che il ricorrente non aveva fornito elementi dotati di un minimo di precisione atti a dare la prova di non aver fruito delle ferie e di avere diritto all'indennità sostitutiva.
La Corte territoriale ha in sostanza affermato che il numero dei giorni di ferie maturati doveva essere proporzionale ai giorni e ai periodi lavorati ed all'orario e che dalla documentazione prodotta si evinceva che il ricorrente non aveva neppure avuto sempre la posizione di detenuto lavoratore e che difettavano specifiche allegazioni in merito all'effettiva consistenza oraria dell'attività lavorativa necessaria al fine di determinare le ferie maturate e conseguentemente l'indennità sostitutiva dovuta. Non è qui in discussione il diritto del detenuto lavoratore di godere di un periodo di ferie retribuito ed in difetto, di percepire un compenso. La sentenza della Corte Cost. n 158/2001 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo la L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 20, comma 16 - recte: comma 17-, in riferimento all'art. 36 Cost., comma 3, e art. 27 Cost., comma 3, - nella parte in cui non riconosce il
diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che presti la propria attività lavorativa alle dipendenze dell'amministrazione carceraria. Secondo la Corte Costituzionale "Infatti, da un lato, il ruolo assegnato al lavoro nell'ambito di una connotazione non più esclusivamente afflittiva della pena comporta che, ove si configuri un rapporto di lavoro subordinato, questo assuma distinta evidenza dando luogo ai correlativi diritti ed obblighi. D'altro lato, la garanzia del riposo annuale - imposta in ogni rapporto di lavoro subordinato, per esplicita volontà del Costituente - non consente deroghe e va perciò assicurata ad ogni lavoratore senza distinzione di sorta, dunque anche al detenuto, sia pure con differenziazione di modalità.... Vero è che il lavoro del detenuto, specie quello intramurario, presenta le peculiarità derivanti dalla inevitabile connessione tra profili del rapporto di lavoro e profili organizzativi, disciplinari e di sicurezza, propri dell'ambiente carcerario;per cui è ben possibile che la regolamentazione di tale rapporto conosca delle varianti o delle deroghe rispetto a quella del rapporto di lavoro in generale. Tuttavia, ne' tale specificità, ne' la circostanza che il datore di lavoro possa coincidere con il soggetto che sovrintende alla esecuzione della pena, valgono ad affievolire il contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione, deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato". Ha affermato, ancora, la Corte Costituzionale che "Il diritto al riposo annuale integra appunto una di quelle "posizioni soggettive" che non possono essere in alcun modo negate a chi presti attività lavorativa in stato di detenzione. La Costituzione sancisce chiaramente (art. 35) che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, e (all'art. 36, comma 3) che qualunque lavoratore ha diritto anche alle ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi¯;garanzia che vale ad assicurare il soddisfacimento di primarie esigenze del lavoratore, fra le quali in primo luogo la reintegrazione delle energie psicofisiche. È ovvio che le rilevate peculiarità del rapporto di lavoro dei detenuti comportano che le concrete modalità (di forme e tempo) di realizzazione del periodo annuale continuativo retribuito (con sospensione dell'attività lavorativa), dedicato al riposo o ad attività alternative esistenti nell'istituto carcerario, devono essere compatibili con lo stato di detenzione. Esse possono, quindi, diversificarsi a seconda che tale lavoro sia intramurario (alle dipendenze dell'amministrazione carceraria o di terzi), oppure si svolga all'esterno o in situazione di semiliberta;diversificazioni che spetta al legislatore, al giudice o all'amministrazione precisare".
Ciò non toglie che il ricorrente è onerato dalla prova del numero di giornate di ferie maturate e non pagate e tale prova non può essere fornita con il semplice richiamo alla documentazione che si assume depositata o a confuse e parziali ricostruzioni dell'attività lavorativa effettuata anche nel presente giudizio dovendo essere invece fornite precise indicazioni del periodo di attività, del numero delle ore lavorate giornaliere, settimanali o mensili. I fatti su cui il ricorrente fonda le sue pretese dovevano essere specificamente indicati fin dal ricorso introduttivo non potendo a tale obbligo supplire una produzione documentale che presuppone invece la preventiva estrinsecazione del fatto, così che ove non vi sia stata tempestiva allegazione del fatto, attività riservata alla parte, il giudice non può rilevarlo d'ufficio.
6) Con il sesto motivo denuncia vizio di motivazione, violazione dell'art. 2941 c.c., n 6. Censura la decisione sulla prescrizione e lamenta che la Corte territoriale aveva ritenuto che il termine di prescrizione quinquennale potesse decorrere durante lo stato detentivo e non già solo alla cessazione dello stesso. Rileva, altresì, che il Ministero aveva eccepito il maturarsi della prescrizione per la sussistenza della stabilità reale ma la Corte aveva accolto l'eccezione di prescrizione con altra motivazione. Il motivo è infondato.
Premesso che la parte che eccepisce la prescrizione non è tenuta a specificare la norma di legge ed il tipo di prescrizione applicabile, essendo compito esclusivo del giudice la qualificazione giuridica dei fatti e l'individuazione della disciplina applicabile (SSUU n 10955/2002), come questa Corte ha più volte affermato (n 9969/2007, n. 22077/2007n. 24642/2007, n. 21573/2007, n 6952/2010, n 3111/2010) il termine di prescrizione non decorre in costanza di rapporto di lavoro del detenuto con l'amministrazione della giustizia in quanto il rapporto non gode di stabilità. In particolare si è evidenziato che "Le oggettive caratteristiche del lavoro carcerario presentano tratti comuni a quelli che in altri rapporti di lavoro giustificano la non decorrenza del termine prescrizionale dei diritti del lavoratore durante lo svolgimento del rapporto e che non si identificano necessariamente col timore di rappresaglie da parte del datore di lavoro, come può accadere nel caso del lavoro nautico, marittimo od aereo, pur non potendosi escludere nei confronti del lavoratore carcerario la configurabilità di una situazione di "metus", comunque giustificativa di detta sospensione, riconducibile alla circostanza che la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto di lavoro dei detenuti possono non coincidere del tutto con quelle che contrassegnano il lavoro libero, in funzione della necessità di mantenere integre le modalità essenziali di esecuzione della pena e di assicurare le corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria".
Del resto,come rimarcato nelle richiamate sentenze di questa Corte, neppure la certezza della stabilità reale talvolta è stata ritenuta sufficiente alla decorrenza della prescrizione in pendenza del rapporto, come è avvenuto quando le dimensioni dell'impresa non fossero esattamente rilevabili dal lavoratore e presentassero oggettiva incertezza (Cass. 8 novembre 1995, n. 11615) oppure nel caso di una serie di contratti di lavoro a tempo determinato da convertire in un unico contratto a tempo indeterminato ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 2 (Cass. 15 dicembre 1997, n. 7565). Inoltre, "la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto di lavoro dei detenuti possono non coincidere con quelle che contrassegnano il lavoro libero, se ciò risulta necessario per mantenere integre le modalità essenziali di esecuzione della pena e per assicurare le corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria" (così Corte Cost. n. 341 del 2006 cit), ciò che può determinare nel lavoratore una situazione di metus giustificativa della sospensione della prescrizione.
Ritenuto, pertanto, che la prescrizione non corre in costanza di rapporto di lavoro tra il detenuto lavoratore e l'amministrazione carceraria ma soltanto dalla cessazione del rapporto stesso, è infondata l'ulteriore questione posta dal ricorrente secondo il quale permane la sospensione del termine prescrizionale una volta cessato il rapporto di lavoro e protraentesi il rapporto detentivo dovendo decorrere il termine prescrizionale solo dalla cessazione della detenzione. La tesi del ricorrente non può trovare accoglimento atteso che non trova fondamento in disposizioni normative mentre il principio affermato nelle citate pronunce di questa Corte è chiaramente da intendersi nel limitato senso della sospensione con riferimento al rapporto di lavoro a nulla rilevando la condizione di detenuto.
Ne consegue, pertanto, che per ogni rapporto di lavoro instaurato con l'amministrazione della giustizia deve ritenersi sorto un autonomo diritto a conseguire i relativi crediti (mercede, 13, ferie e indennità sostitutiva). Pertanto, alla cessazione di ciascun rapporto inizia il decorso del termine prescrizionale relativo ai crediti del detenuto lavoratore.
7) Con il settimo motivo denuncia vizio di motivazione. Rileva che aveva formulato una domanda subordinata di pagamento delle ferie qualora non accolta quella di pagamento della 13. Con riferimento alla 13 si richiama quanto esposto al motivo n 4 e per ferie al motivo n 5. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente a pagare le spese del presente giudizio.